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View of Specific Trials of a Communitarian Spirituality. Reflection in the Light of the Experience of the Focolare Movement

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Academic year: 2021

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DOI: https://doi.org/10.18290/rt20675-5

KATARZYNAWASIUTYŃSKA

PROVE SPECIFICHE DI UNA SPIRITUALITÀ COMUNITARIA. UNA RIFLESSIONE ALLA LUCE DELL’ESPERIENZA

DEL MOVIMENTO DEI FOCOLARI

SPECIFIC TRIALS OF A COMMUNITARIAN SPIRITUALITY. REFLECTION IN THE LIGHT OF THE EXPERIENCE

OF THE FOCOLARE MOVEMENT

Abstract. Contemporary life of the Church, against the background of dynamic cultural changes of

the surrounding society, is marked by an urgent call to discover and value the community dimen-sion, to the mysticism of living together. In view of the spread of spirituality of communion, a ques-tion arises about the corresponding asceticism, about the specific forms of purificaques-tion and spiritual trials that it may encounter. From this perspective, we read the experience of the Focolare Movement, referring primarily to the writings of its founder, Chiara Lubich. The reflection revolves around two basic concepts that relate to the mystical and ascetic dimensions: unity – Jesus forsaken.

Key words: Chiara Lubich; communitarian spirituality; Jesus forsaken; unity.

L’epoca attuale è segnata fortemente da diversi «teams», «communities» e «net-works» che in modo paradossale agiscono in un contesto di crescente individu-alismo, isolamento e grande solitudine. In questo habitat, pur con delle differenze legate alla cultura e alle complesse condizioni locali, vive il singolo cristiano e tutta la Chiesa che fa sue «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi» (GS 1). Eppure, è la stessa Chiesa che san Cipriano definì «un popolo adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (cf. LG 4) e per la quale Cristo pregò «perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi» (Gv 17,21). Il cristiano, innestato per il battesimo nella vita della Santissima Trinità, è chiamato a vivere il suo rapporto con Dio attraverso un’esperienza ecclesiale, e dunque per principio comunitaria.

DrKATARZYNA WASIUTYŃSKA – dr teologii, współpracuje z Zakładem Teologii Systematycznej na Wydziale Teologicznym UAM w Poznaniu; adres do korespondencji: ul. Kazimierza Wielkiego 31/2 30-074 Kraków, e-mail: kwasiutynska@gmail.com; ORCID: https://orcid.org/0000-0002-1468-3370.

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È proprio questo aspetto della spiritualità, con l’ascesi e le prove che le sono proprie, che ci si propone di esaminare nella presente riflessione. A questo scopo si considera prima la riscoperta della dimensione comunitaria della vita cristiana e il richiamo a una «mistica del noi». Da questa prospettiva viene dato poi un breve sguardo alla vocazione all’unità nel carisma di Chiara Lubich (1920-2008), fon-datrice del Movimento dei Focolari. Nella parte successiva si analizzano le prove tipiche della spiritualità comunitaria così come emergono dagli scritti della Lubich, per allargare infine lo studio alle prime riflessioni maturate all’interno del Movi-mento a partire dalla sua esperienza.

1. DIMENSIONE COMUNITARIA DELLA VITA CRISTIANA

Quella cristiana è un’esperienza dello Spirito nel quale la teologia vede il legame d’amore, fatto Persona, fra il Padre e il Figlio. La vita divina funge dunque da modello dei rapporti tra i membri della comunità ecclesiale che diventa uno spazio teologale in cui si può sperimentare e conoscere qualcosa dell’essere stesso di Dio. Lo ribadì con forza Giovanni Paolo II nella Vita consecrata, quando scrisse che «la vita fraterna intende rispecchiare la profondità e la ricchezza di tale mistero [di comunione], configurandosi come spazio umano abitato dalla Trinità, che estende così nella storia i doni della comunione propri delle tre Persone divine. Molti sono, nella vita ecclesiale, gli ambiti e le modalità in cui s’esprime la comu-nione fraterna. La vita consacrata ha sicuramente il merito di aver efficacemente contribuito a tener viva nella Chiesa l’esigenza della fraternità come confessione della Trinità» (VC 41).

Pur nello specifico della sua forma più stabile e precisa, la vita comunitaria dei consacrati non è l’unica espressione di quel mistero di comunione. Infatti, fu ancora Giovanni Paolo II a richiamare la Chiesa intera all’inizio del terzo millen-nio a promuovere una spiritualità della comumillen-nione che plasma la persona umana in ogni contesto della sua esistenza e attività. «Spiritualità della comunione signi-fica innanzitutto sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto. Spiritualità della comunione significa inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell’unità profonda del Corpo mistico, dunque, come “uno che mi appartiene”, per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia. Spiritualità della comunione è pure capacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c'è nel-l'altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un “dono per me”, oltre

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che per il fratello che lo ha direttamente ricevuto» (NMI 43). Senza dubbio, si tratta di una capacità sublime di accogliere il fratello in quanto «altro da me», nel-la sua diversità che in un primo momento ferisce l’individualismo innato, ma di seguito permette di scoprire la ricchezza che viene dall’essere usciti da se stessi.

Se questo movimento verso le persone viene vissuto secondo la logica di un amore radicale e totalitario, così come si rivela in Gesù Dio Uno e Trino, esse diventano un vero dono che anziché disturbare l’interiorità abitata da Dio, la allarga. Leggiamo nell’Evangelii gaudium di papa Francesco: «quando viviamo la mistica di avvicinarci agli altri con l’intento di cercare il loro bene, allarghiamo la nostra interiorità per ricevere i più bei regali del Signore. Ogni volta che ci incontriamo con un essere umano nell’amore, ci mettiamo nella condizione di scoprire qualcosa di nuovo riguardo a Dio. Ogni volta che apriamo gli occhi per riconoscere l’altro, viene maggiormente illuminata la fede per riconoscere Dio» (EG 272). Il Papa non solo parla frequentemente di una «spiritualità del noi» cioè dell’esperienza di Dio vissuta con gli altri e grazie a loro, ma usa volentieri il termine «mistica» accompagnato da complementi come, appunto, «di avvicinarci agli altri», oppure: «del noi», «dell’incontro», «di vivere insieme», «fraternità mistica»1.

Il riferimento diretto alla mistica dimostra l’esistenza di un legame forte fra l’esperienza di amore fraterno vissuta nella comunità e l’unione intima con Dio con una sua conoscenza sempre più profonda. Infatti, se guardiamo all’altro come al dono di Dio «per me», «i più bei regali del Signore», solo allora ci disponiamo ad accogliere la grazia che accompagna ogni incontro e lo rende sacro. Senza dubbio, questa forma di esperienza mistica nel senso più ampio del termine2, porta con sé anche delle esigenze specifiche e dunque un’ascesi particolare. Infatti, lo sforzo umano in cui si esprime la tensione a rendersi più capaci possibile

1 Cf. PAPA FRANCESCO, Visita pastorale a Loppiano, 10.5.2018 («spiritualità del noi», «mistica del noi»); EG 87 («mistica di vivere insieme») e 92 («fraternità mistica»); Lettera apostolica a tutti

i consacrati in occasione dell’Anno della vita consacrata, 21.11.2014, 2 («mistica dell’incontro»). Alla mistica del noi è dedicato un numero intero della rivista «Ekklesia» (2)2019, n. 1, cf. in particola-re: PAPA FRANCESCO, Mistica dell’incontro, «Ekklesìa» (2)2019, n. 1, pp. 2-3; P. CODA, Allargare

l’in-teriorità, «Ekklesìa» (2)2019, n. 1, pp. 19-21.

2 Qui intendiamo la mistica come un’esperienza profonda e personale in cui Dio si fa presente nella vita di una persona, un’unione intima con Lui a cui tutti sono chiamati (cf. CCC 2014). Dell’importanza di questa dimensione interiore per la fede stessa dell’uomo contemporaneo era con-vinto Rahner quando così descriveva la spiritualità del futuro: «E già stato detto che il cristiano del futuro o sarà un mistico o non esisterà affatto. Se s’intende per mistica non strani fenomeni parapsico-logici, ma un’autentica esperienza di Dio, che sgorga dal centro dell’esistenza, allora quest’afferma-zione è molto giusta e diventerà ancor più chiara nella sua verità e nella sua rilevanza nella spiritualità del futuro» (K. RAHNER, Elementi di spiritualità nella Chiesa del futuro, in: Problemi e prospettive di

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a contenere il dono divino, cioè l’atto continuo di conversione e di purificazione, sono presenti in ogni cammino spirituale pur con modalità diversificate, consone all’esperienza a cui Dio guida la persona. Per approfondire meglio questa ascesi specifica della spiritualità di comunione, ci avvaliamo dell’esempio concreto del Movimento dei Focolari.

2. VOCAZIONE ALL’UNITÀ: CARISMA SPECIFICO DEL MOVIMENTO DEI FOCOLARI E LA SUA ASCETICA

Il richiamo di Giovanni Paolo II a una spiritualità di comunione provocò una particolare consonanza spirituale in Chiara Lubich che negli anni 40 del secolo scorso si sentì chiamata a offrire tutta la sua vita per rispondere alla preghiera sacerdotale di Gesù: «perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te» (Gv 17,21). In pochi anni nacque attorno a lei dapprima un gruppo di ragazze, poi una comunità variopinta nella città di Trento, infine un vasto movi-mento il cui spirito raggiunse diverse regioni dell’Italia, dell’Europa e anche degli altri continenti. La Lubich, come succede di solito agli iniziatori di nuove correnti spirituali nella Chiesa, non pensò a una nuova fondazione, ma seguì la spinta a incarnare il Vangelo in modo radicale, attirando con il suo entusiasmo ed esem-pio molti altri3. Tuttavia con il passare del tempo, per lo sviluppo del movimento e le reazioni della Chiesa istituzionale che ne seguivano4, lei si rese sempre più

conto della novità e originalità della via intrapresa.

Nei primi anni della storia del Movimento non si conoscevano termini come: spiritualità collettiva/comunitaria o spiritualità di comunione che saranno frutto di una riflessione posteriore. Si parlava sempre di unità, in riferimento diretto alla preghiera sacerdotale di Gesù, nonostante l’infelice associazione con la propaganda comunista dell’epoca. Scriveva la Lubich in una lettera del 1948: «Il libro di Luce che il Signore va scrivendo nella mia anima ha due aspetti: una pagina lucente di misterioso amore: Unità. Una pagina lucente di misterioso dolore:

3 Per conoscere meglio gli inizi del Movimento dei Focolari raccontati dalla fondatrice stessa cf. C. LUBICH, I. GIORDANI, Erano i tempi di guerra: agli albori dell’ideale dell’unità, Roma 2007;

L. ABIGNENTE, Memoria e presente: la spiritualità del Movimento dei Focolari in prospettiva storica, Roma 2010.

4 Uno studio dettagliato di quei primi anni della formazione del Movimento in seno alla Chiesa in Italia viene offerto da: L. ABIGNENTE, «Qui c’è il dito di Dio». Carlo de Ferrari e Chiara Lubich:

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Gesù abbandonato5. Sono due aspetti di una unica medaglia. A tutte le anime

mo-stro la pagina Unità. Per me e per le anime in prima linea dell’Unità: unico tutto

è Gesù abbandonato»6.

Infatti, sin dagli inizi Chiara colse un profondo legame fra il disegno dell’unità e la kenosi di Cristo culminante nell’evento della croce, in cui Egli avendo speri-mentato la disunità massima fra l’umano e il divino, la colmò definitivamente con il suo amore. In Gesù crocifisso e abbandonato riconobbe il segreto, «la chiave dell’unità»7 sia fra l’uomo e Dio, sia fra gli uomini stessi. Spiegando l’immagine

della medaglia riportata sopra diceva di trovare fra le sue due faccie tutto il Vangelo. Questa affermazione sembra confermare la natura dei carismi presenti nella storia della Chiesa: essi non sono che una prospettiva particolare da cui rileggere la Buona novella nei contesti e tempi precisi, sotto la guida dello Spirito8.

Da quella originale intuizione sul legame intimo fra l’unità e l’abbandono di Cristo sgorgano conseguenze importanti di natura teologica dogmatica e spirituale. Qui non ci soffermiamo sulle prime, invece per quanto riguarda la vita intima con Dio, possiamo osservare che in questo binomio l’unità indica il culmine dell’esperienza mistica («perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi [...] Io in loro e tu in me, perché siano per-fetti nell’unità» [Gv 17,21.23]), invece l’abbandono evoca la parte ascetica, con la sua fatica di percorrere la distanza sconfinata fra l’essere umano e Dio. Infatti, per Chiara su questa terra non c’è altro Sposo dell’anima fuori di Gesù abban-donato in cui si trova «tutto il Paradiso con la Trinità e tutta la terra con l’Umanità»9 e seguirlo vuol dire vivere assetati di dolori, angosce, disperazioni,

malinconie, distacchi, esilio, abbandoni, strazi10. Nella parte successiva appro-fondiremo le prove e purificazioni della via comunitaria alla luce di questo parti-colare sposalizio.

Fra le diverse metafore usate dalla Lubich per descrivere, a partire dalla propria esperienza, il cammino spirituale dei focolarini, scegliamo due per coglierne alcune caratteristiche legate alla nostra riflessione: via Mariae e castello esteriore. Vedendo nella Madre di Dio, invocata come Madre dell’unità, la forma di santità, scoprì nei vari avvenimenti della sua vita, riportati dai Vangeli e dalla tradizione,

5 È un nome proprio attribuito dalla Lubich a Cristo per indicare l’espressione massima del suo amore che ella riconobbe nel grido sulla croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34). Cf. C. LUBICH, Il Grido, Roma 2000; C. LUBICH, Gesù abbandonato, Roma 2016.

6 C. LUBICH, Gesù abbandonato, p. 45. 7 Cf. C. L

UBICH, L’unità e Gesù Abbandonato, Roma 1984.

8 Cf. F. CIARDI, Carismi: Vangelo che si fa storia, Roma 2011. 9 C. L

UBICH, Gesù abbandonato, p. 19.

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una luce per le proprie esperienze. Infatti, «le tappe della vita di Maria, i suoi misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi sono stati visti da noi come tappe ideali o mo-menti della via spirituale di ogni membro del Movimento»11. In più occasioni, e con sfumature diverse, interpretò i diversi passaggi dell’iter dei focolarini in riferimento agli avvenimenti mariani. Nell’annunciazione si vede l’incontro con l’amore di Dio, il fascino della luce del carisma e la decisione a seguirla; nella visita a Elisa-betta: la condivisione di quanto Dio opera nella vita di ciascuno, dopo aver amato, aiutato, servito i prossimi andando incontro alle loro necessità. Il momento succes-sivo, quello di offrire al mondo la presenza di Dio promessa lì dove due o tre si riuniscono nel suo nome (cf. Mt 18,20), ricorda la nascita di Gesù, e così via. I misteri gioiosi si intrecciano con quelli dolorosi, la crescita e le conquiste spiri-tuali con momenti di prova e di apparenti fallimenti.

Emblematica è l’interpretazione che viene data all’incontro con Simeone nel tempio di Gerusalemme, con l’annuncio della spada trapassante il cuore. «Noi siamo nel pieno entusiasmo [...] poi attraverso un discorso, uno scritto, un collo-quio, qualcuno ci sottolinea che su questa terra non può essere stabile il paradiso o che quel paradiso che abbiamo sperimentato dove due o più sono uniti nel nome di Gesù deve essere sempre conquistato [...] e allora si sente parlare (e la si capisce) della croce, di Gesù abbandonato, come l’arma che può sempre ricomporre l’unità fra la nostra anima e Dio, fra le nostre anime e le altre»12. Va sottolineato che per

Chiara sia l’entusiasmo, le consolazioni, la luce sia il dubbio, le prove, gli osta-coli nella vita spirituale arrivano nel contesto del rapporto con gli altri. Difatti, la

via Mariae ha una dimensione fortemente comunitaria.

Una delle ultime tappe della vita di Maria è il suo stabat sotto la croce, per i focolarini: la Desolata. Lì non solo vede morire il suo Figlio, ma le viene anche chiesto di perdere il rapporto unico con Lui per accogliere nel cuore un altro. Scrisse la Lubich: «Ai piedi della croce Gesù sembra dispensarla apparentemente dalla sua maternità divina ed è per farla Madre di uno qualunque, Giovanni, nel quale Cristo vedeva tutti noi [...]. Maria praticamente, misticamente, spiritual-mente ha dovuto in quel momento rinunciare al frutto del suo cuore, a Gesù e per questa spirituale rinuncia è stata fatta Madre di tutti noi. È la Desolata»13. Con

Lei, monumento di virtù, icona del «nulla per essere pieni di Dio»14, modello del

«saper perdere»15, si impara persino, se fosse richiesto, a «lasciare Dio per Dio»16.

11 C. L

UBICH, La dottrina spirituale, Milano 2001, p. 82.

12 E.M. FONDI (ed.), Commenti di Chiara Lubich agli Statuti dell’Opera di Maria, Marino (Roma) 2007 [ad uso interno del Movimento dei Focolari], p. 111.

13 Ibid., p. 114. 14 C. L

UBICH, Maria, Roma 2017, p. 73.

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Si tratta di quei momenti in cui bisogna rinunciare all’esperienza spirituale vissuta finora, all’intimità con Dio, per lasciarsi incontrare da Lui in un rapporto nuovo, nell’amore dei fratelli.

Il passaggio dall’unione mistica individuale a quella di carattere comunitario esprime bene la metafora del castello esteriore, in analogia con le intuizioni di Teresa d’Avila. Se quest’ultima paragona il cammino spirituale alla scoperta della presenza di Dio nel più intimo dell’anima dove si arriva superando le varie prove, per Chiara «è venuto il momento, almeno questa è la nostra vocazione, di scoprire, illuminare, edificare, oltre il castello «interiore», anche il castello «esteriore». Noi vediamo tutto il Movimento come un castello esteriore, dove Cristo è presente e illumina ogni parte di esso, dal centro alla periferia»17. Il

tesoro da scoprire è dunque l’inabitazione di Dio in mezzo agli uomini, secondo la promessa fatta ai «due o tre» uniti nel suo nome (Mt 18,20). In questa esperienza, osserva Castellano, «si tratta non solo delle singole anime ma di tutti coloro che aderiscono a questo disegno di Dio e sono come un’anima

comunitaria, l’Anima, talmente sono uniti nell’amore gli uni agli altri coloro

che condividono il carisma dell’unità. Si tratta del gruppo che vive ormai la dimensione trinitaria ed ecclesiale della spiritualità»18. In effetti, gli scritti di Chiara non contengono una riflessione, ma costituiscono una testimonianza diretta e originale della sua esperienza vissuta insieme ai focolarini più vicini. Così pure il termine «Anima» si riferisce a un periodo di particolari illuminazioni (anni 1949-1951) nella prima fase di fondazione e viene a indicare il soggetto collettivo di quelle grazie.

La Lubich fu impressionata di vedere nelle anime che seguono la via dell’unità effetti spirituali, frutto di una profonda unione con Dio, simili a quelli descritti da Teresa d’Avila. Fu per lei una conferma che nella diversità di carismi si esprime l’unicità e l’ecclesialità dell’esperienza cristiana. Difatti, ci sembra che l’agget-tivo esteriore non va letto in opposizione all’interiore, poiché si tratta sempre della vita interiore, ma vissuta in stretta comunione con gli altri, di più interiorità che si incontrano nel dono reciproco e si scoprono partecipi del mistero trinitario

16 «L’anima, quando tutto il giorno volentieri ha perso il Dio in sé per trasferirsi nel Dio nel fratello [...] ed avrà fatto ciò per Gesù Abbandonato che lascia Iddio per Iddio (e proprio Dio in sé per il Dio pre-sente o nascituro nel fratello...), ritornata su se stessa o meglio sul Dio in sé [...], ritroverà la carezza del-lo Spirito [...]. Ma occorre perdere il Dio in sé per Dio nei fratelli. E questo del-lo fa soltanto chi conosce ed ama Gesù Abbandonato» (C. LUBICH, Gesù abbandonato, pp. 66-67). Maria Desolata ne è la maestra.

17 C. LUBICH, Una via nuova. La spiritualità dell’unità, Roma 2002, pp. 28-29. 18 J. C

ASTELLANO CERVERA, Dal «castello interiore» al «castello esteriore», «Unità e carismi»

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aperto agli uomini, grazie alla mediazione di Cristo presente in mezzo a loro19.

Il vertice del cammino è dunque un’esperienza forte di Dio a cui non si arriva che attraverso un’adeguata via di ascesi che ci proponiamo di analizzare in breve.

3. PROVE NELLA VITA COMUNITARIA NEGLI SCRITTI DELLA FONDATRICE ED ALTRI

Abbiamo già constatato che per la Lubich tutta la via ascetica si riassume nel mistero dell’abbandono di Gesù sulla croce che costituisce un passaggio indis-pensabile verso l’esperienza unitiva. In Lui essa ritrova il vero significato della purificazione, della rinuncia, della rinnegazione di se stessi che non sono mai fine in sé, ma tutte in funzione dell’amore che porta fino all’unità. Infatti, «anche nel Movimento si praticano le mortificazioni indispensabili ad ogni vita cristiana, si fanno le penitenze, soprattutto quelle consigliate dalla Chiesa, ma si ha una stima particolare per quelle che offre la vita d’unità con i fratelli. Essa, si sa, non è facile per l’“uomo vecchio” come lo chiama san Paolo20, sempre pronto a farsi strada

dentro di noi»21. La dimensione ascetica del cammino comunitario, secondo la

Lubich, sta dunque soprattutto nello sforzo continuo di uscire da sé verso gli altri, con quell’amore la cui misura viene indicata da Gesù crocifisso e abbandonato: prontezza a dare la vita per i propri amici (cf. Gv 15,13). Se vissuto in modo radi-cale, nei diversi aspetti della quotidianità, è un vero eroismo, una sorte di martirio bianco22. Non è una morte cruenta, «non dobbiamo tanto flagellarci, portare il

cilicio, fare lunghe veglie e digiuni, dormire per terra..., ma accogliere sempre nel nostro cuore il fratello o i fratelli, con tutte le loro pene, le loro aridità, le loro prove, i loro limiti, i loro difetti, e fare di tutto per ridonare pace, fiducia, amore, ardore [...]. Accoglierlo [Gesù abbandonato], porci in spalla la sua croce, è il nostro modo di amare il nostro Amore, è l’espressione più genuina della no-stra penitenza»23.

19 «Questo donarsi reciprocamente le proprie interiorità genera e fa emergere un nuovo spazio di incontro, spazio di incontro che non sono io, che non è l’altro o l’altra. Né è esteriorità: è lo spazio dell’interiorità stessa del Cristo, che l’amore reciproco fa presente fra noi. “Dove sono due o tre riu-niti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20). La mia interiorità nella comunione con il fratello o la sorella, ora viene assunta con la loro in quella del Cristo, diventa la sua, si ritrova nell’interiorità stessa di Dio, e nello stesso tempo mi viene restituita come mia» (G.M. ZANGHÍ,

Il castello esteriore, «Nuova Umanità» (26)2004, n. 3-4, p. 375). 20 Cf. Ef 4,22.

21 C. LUBICH, Una via nuova. La spiritualità dell’unità, p. 24. 22 Cf. C. L

UBICH, L’arte di amare, Roma 2005, p. 110.

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La purificazione che si passa a motivo dell’amore fraterno, e per crescere in esso, è un processo faticoso di allargare il proprio modo di concepire e di gestire la realtà in funzione dell’altro, perché è in questa sua massima accoglienza che l’uomo si predispone all’incontro con Dio24. Tuttavia, non si tratta qui di un

esercizio di singole virtù per salire la scala della perfezione: è piuttosto una dimenticanza di sé come conseguenza di una vita tutta donata in un atto di «vio-lenza iniziale» che va ripetuto e attualizzato attimo dopo attimo25.

Chiara più volte confessò che nella vita non aveva mai impressione di per-dere, ma di crescere, di acquistare ricchezze nuove e rapporti più accurati in cui si integrava quello che andava lasciato per avere la libertà di amare nel presente con tutte le forze. Nonostante questa sua intuizione contenente in sé una profonda verità, si può parlare di perdite reali, dolorose, e su questa via Maria è un modello irraggiungibile. Difatti, «di lei, che è vissuta in mezzo al mondo come la maggior parte di voi, non si conoscono tanto le penitenze, che può aver praticato, quanto le sofferenze che Dio le ha chiesto, attraverso le circostanze della sua meravi-gliosa, straordinaria, ma anche dolorosissima vita»26. Se l’ascesi cristiana sta a

si-gnificare il processo in cui una persona prende sempre di più la forma di Cristo, lasciandoLo vivere in sé (cf. Gal 2,20), tutta la vita di Maria può essere riletta in questa chiave. Occorre dunque, seguire la stessa strada, «riviverla nella completa rinuncia a se stessa (giacché qui sta la virtù), imitarla nel suo saper perdere tutto, tutto, persino il suo Figlio Dio»27.

Oltre alle prove legate al distacco da sé, Chiara conosce quelle che proven-gono dalla mancanza di unità. Siccome la sua esperienza spirituale è radicata fortemente nella comunità radunata nel nome di Gesù, cioè nel suo amore, è lì che si trova Dio e si pregusta l’aria del paradiso. Quando invece l’unità viene a mancare, per la poca disponibilità da qualsiasi parte, si sperimentano le purifica-zioni più dolorose, paragonabili a quelle del purgatorio. «Quando l’unità vien meno subentrano le ombre, il disorientamento. Si vive una specie di purgatorio. Ed è questa la penitenza che dobbiamo essere pronti ad affrontare»28. In quelle

circostanze tutta la vita, spirituale e fisica, sembra perdere significato. È la notte tipica, secondo la Lubich, di chi è chiamato a percorrere la via comunitaria ed è quella che più rispecchia la prova vissuta da Gesù sulla croce: la sensazione pro-fonda di essere abbandonato dal Padre, staccato dal suo amore. Paradossalmente,

24 Cf. P. FORESI, Dio ci chiama. Conversazioni sulla vita cristiana, Roma 2003, pp. 104-113. 25 Cf. C. L

UBICH, L’unità, Roma 2015, p. 62.

26 C. LUBICH, M. VANDELEENE, Conversazioni in collegamento telefonico, p. 334. 27 Ibid., p. 335.

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proprio in quell’esperienza, per il «Mediatore che è nulla»29, Cristo, si ricompone

l’unità dell’umanità con Dio, e all’interno di essa.

La stessa logica divina si ripete nel vissuto quotidiano di chi segue questa spiritualità. «“La via dell’amore” [...] è lunga ed ha mille inciampi, mille ostacoli e chi non ha scelto l’inciampo, l’ostacolo, l’assurdo, la tentazione permessa da Dio, la notte, e tutto ciò che sa di dolore, e non lo traduce nel positivo volto di Gesù abbandonato da amare, s’arena indubbiamente»30. Infatti, non esiste nelle

condizioni limitate della realtà terrena una vera esperienza di unità fuori del pas-saggio che costituisce la croce con il grido di abbandono. «Non è stato ancora compreso da voi che l’Ideale più grande che un cuore umano può desiderare – l’Unità – è un vago sogno ed una chimera se chi lo vuole non pone nel suo cuore come unico tutto: Gesù da tutti abbandonato, anche dal Padre Suo? [...]. È solo a forza di abbracciare con tutto il cuore Gesù Abbandonato, tutto una piaga nel corpo e tutta una Tenebra nell’anima, che l’anima vostra si formerà all’Unità»31.

La partecipazione mistica alla tenebra di Cristo stesso, è una vera notte oscura. La Lubich adottò questo termine in riferimento diretto agli scritti di Giovanni della Croce con il quale sentiva una forte sintonia spirituale. Quando negli ultimi anni della vita, segnati da un’ennesima, dolorosissima prova, volle ricordare ai membri del Movimento il segreto della sua esperienza: il mistero di Gesù abbando-nato, parlò loro di «quattro notti»32. Vedeva fra le tappe della spiritualità

comu-nitaria dei sintomi della notte dei sensi e dello spirito, però vissuti in maniera un po’ particolare, a volte in modo attutito, perché «con l’aiuto di Gesù in mezzo33,

di Gesù in noi e di Gesù nel fratello»34. Sottolineò invece, come tipica per la via

dell’unità, una terza prova: notte di Dio, i cui segni si possono trovare già negli scritti degli anni 1949-1950. «A noi Gesù chiede qualcosa di più [...]: far tacere i sensi, l’intelletto, la volontà e la memoria e anche le ispirazioni di Dio. [...] La vita nostra dunque è Gesù Abbandonato. Si vive, con Lui, perfettamente annientati. E ciò non solo quando ci si raduna in molti con uno che parla. Ma sempre: quando parla un fratello, dobbiamo tutto annientare anche le ispirazioni divine

29 Cf. H. BLAUMEISER, Un mediatore che è nulla. Prospettive teologiche alla luce di alcuni scritti

di Chiara Lubich, «Nuova Umanità» (20)1998, n. 3-4, pp. 385-407.

30 C. LUBICH, Gesù abbandonato, p. 132. 31 C. L

UBICH, L’unità, p. 85.

32 Si tratta di: notte dei sensi, notte dello spirito, notte di Dio, notte collettiva e culturale (cf. C. LUBICH, Gesù abbandonato, pp. 145-151). Cf. anche C. LUBICH, Gesù abbandonato e la notte

collettiva e culturale, «Unità e carismi» (17)2007, n. 3-4, pp. 4-9; E. FOLONARI, Testimonianza su Chiara Lubich e le sue «notti», «Nuova Umanità» (32)2010, n. 3, pp. 361-375.

33 Questa espressione usata frequentemente dalla Lubich si riferisce sempre alla promessa di Gesù presente nel Vangelo di Matteo (Mt 18,20).

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per entrare in lui perfettamente, fattici nulla e perciò semplici. Solo la semplicità entra dovunque. E ciò significa essere uno. E qui si vede come essere uno è essere Gesù Abbandonato»35. Per Chiara il culmine dell’esperienza spirituale è: perdere anche le ispirazioni, le grazie, i doni di Dio, cioè raggiungere un distacco com-pleto da essi, per essere di fronte a Lui puri, annientati36, perfettamente uniti

nell’amore. Pur essendo una dinamica quotidiana dei rapporti fra le persone, in diversi momenti della vita diventa una prova dolorosa segnata dall’apparente impossibilità di comunicare, di rapportarsi con Dio. È proprio l’immedesimazione con «un solo Sposo sulla terra: Gesù Abbandonato»37.

Un altro aspetto importante di un’opera fondata sulla spiritualità comunitaria, cioè ecclesiale nel senso più profondo del termine, è il suo riferimento alla Chiesa istituzionale. Se le prove più specifiche di Chiara e dei focolarini sono legate alla mancanza di unità, a maggior ragione ne fanno parte tutte le difficoltà nei rapporti con alcuni rappresentanti della gerarchia, i periodi di sospensione prima dell’approvazione del Movimento, le accuse giunte ai superiori e l’incom-prensione da parte loro. Indubbiamente, si tratta di esperienze caratteristiche per il tempo della fondazione e che toccano più direttamente la persona del fondatore, anche se in qualche modo possono ripetersi in ogni fase di un’opera carismatica in seno alla Chiesa. Qui ci limitiamo a menzionarne l’esistenza, poiché l’argo-mento è molto ampio e necessiterebbe una contestualizzazione storica e ecclesiale più precisa38.

Dopo la scomparsa di Chiara nel 2008, si apre una tappa nuova per la sua famiglia spirituale, chiamata a continuare con «fedeltà creativa»39 il cammino di

unità, senza la possibilità di un continuo riferimento diretto alla Fondatrice. Da una parte si può parlare della completezza e della maturità dell’opera, dall’altra sopravvengono delle sfide e purificazioni legate alla fase adulta, cioè di piena corresponsabilità. Le più dolorose e sconcertanti sono di nuovo le prove legate all’esperienza di unità, mancata o affievolita. Ne fanno parte: «fragilità e limiti personali e collettivi, che portano alcuni allo scoraggiamento e anche all’abbandono

35 Ibid., p. 149.

36 L’annientamento va qui inteso non nel senso psicologico, ma alla luce del mistero trinitario: come partecipazione all’amore delle Persone divine nella loro unità e distinzione, dove tutto viene donato. Infatti il modello, pur irraggiungibile, dell’unità rimane la vita della Santissima Trinità.

37 Scrisse la Lubich nel 1949: «Ho un solo Sposo sulla terra: Gesù Abbandonato: non ho altro Dio fuori di Lui. In Lui è tutto il Paradiso con la Trinità e tutta la terra con l’Umanità» (C. LUBICH, Gesù

abbandonato, p. 19). 38 Cf. C. L

UBICH, Il Grido, pp. 59-71; L. ABIGNENTE, Generare un’Opera di Dio, «Nuova

Umanità» (39)2017, n. 1, pp. 109-125; L. ABIGNENTE, «Qui c’è il dito di Dio». Carlo de Ferrari

e Chiara Lubich: il discernimento di un carisma.

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di una vita che appare troppo esigente», «diminuzione dei membri», «difficoltà di dare risposte adeguate ed efficaci alle domande dell’umanità che ci circonda assalita da un male che sembra avanzare inesorabilmente», «appannarsi a volte di quello splendore che viene dall’essere tutti e solo di Dio», graduale scomparsa dei primi testimoni, forti di «fede adamantina nella potenza del Carisma dell’unità»40, superamento della frammentazione di un’opera complessa, difficoltà di integrare il conflitto nella vita comunitaria per «l’incapacità quasi strutturale di gestirlo»41. Sono purificazioni che vanno lette alla luce di un carisma specifico

che si incarna nella storia della Chiesa, ne indicano un processo di crescità, fino alla santificazione non solo di singoli membri, ma della comunità stessa.

*

Nella nostra riflessione ci si era proposti di tracciare alcune linee di una spiritua-lità specificamente comunitaria, come quella che caratterizza il Movimento dei Focolari, per individuare quegli elementi ascetici che le sono propri. Si è seguita l’intuzione della Lubich contenuta nel binomio: unità – Gesù abbandonato, tro-vando in esso il principio di mistica ed ascetica. Nella chiamata ad essere uno come il Padre e il Figlio nello Spirito, si è trovato il significato profondo del cammino ecclesiale e la sua metodologia, la cui chiave costituisce la croce di Cristo e il suo grido di abbandono. Si è dunque toccato l’agire di Dio dentro le anime e fra di loro, nel processo a volte doloroso, ma sublime ed affascinante, di renderle sempre più capaci di accoglierLo così come si rivela: Uno e Trino, perfettamente legato dall’amore nella distinzione delle Persone. Ci si è lasciati guidare soprattutto da alcuni scritti di Chiara Lubich, per cogliere il suo carisma nella purezza e originalità della fase di fondazione. Alla fine di questa breve rifles-sione ci rimane la convinzione che sarà prezioso svilupparla ancora ed attualiz-zarla nell’oggi della Chiesa, e la speranza personale di poterlo fare, in riposta al richiamo forte ad approfondire la spiritualità di comunione, via ad una «mistica del noi».

40 M. VOCE, Gesù abbandonato: finestra di Dio – finestra dell’umanità, «Gen’s» (46)2016, n. 4, pp. 153-154.

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SPECYFICZNE PROBY WŁAŚCIWE DLA DUCHOWOŚCI WSPÓLNOTOWEJ. REFLEKSJA W ŚWIETLE RUCHU FOCOLARI

STRESZCZENIE

Współczesne życie Kościoła, na tle dynamicznych przemian kulturowych otaczającego go społeczeństwa, naznaczone jest naglącym wezwaniem do odkrycia i dowartościowania wymiaru wspólnotowego, aż po mistykę życia razem. Wobec szerzenia się duchowości komunii, rodzi się pytanie o odpowiadającą jej ascezę, o specyficzne formy oczyszczenia i prób duchowych, jakie może ona napotkać. Z tej perspektywy odczytujemy doświadczenie Ruchu Focolari, sięgając przede wszystkim do pism jego założycielki, Chiary Lubich. Refleksja przebiega wokół dwóch podstawowych pojęć, które odnoszą się do wymiaru mistycznego i ascetycznego: jedność – Jezus opuszczony.

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