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Widok I rumori di fondo: alterità e forme di conoscenza da Il poema dei lunatici a La voce della luna

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Wrocław 2013

MATTEO MARTELLI

Università degli studi di Urbino « Carlo Bo »

I RUMORI DI FONDO:

ALTERITÀ E FORME DI CONOSCENZA

DA IL POEMA DEI LUNATICI A LA VOCE DELLA LUNA

La voce della luna (1990), ultimo fi lm realizzato da Federico Fellini, è l’unico lungometraggio del regista dichiaratamente nato dalla lettura e dalla libera tradu- zione di un romanzo contemporaneo, Il poema dei lunatici di Ermanno Cavazzoni, pubblicato solo tre anni prima dell’adattamento presso l’editore torinese Bollati Boringhieri. Secondo Tullio Kezich1, il solo altro testo d’area contemporanea ad aver attratto il regista in vista di una realizzazione fi lmica fu, nella seconda metà degli anni cinquanta, Le libere donne di Magliano, dello scrittore toscano Mario Tobino. Di questo possibile adattamento, che non andò in porto, rimane il racconto del soggetto apparso su Cahiers du Cinéma del febbraio 19572. In comune i due libri hanno la tematica principale, quella della follia, o più ampiamente quella di un’indagine sull’alterità dell’umano e sull’esplorazione di un reale sfasato, al di là dei modi di conoscenza del senso comune: da un lato « una specie di girone d’in- ferno »3 rappresentato dalla folla manicomiale del libro di Tobino, dall’altro una geografi a altrettanto sospesa tra l’antropologia della provincia (con i suoi riti e le sue credenze), le suggestioni dei lunatici e la modernità di fi ne secolo.

Un ulteriore elemento di contatto fra queste opere è la maniera con la quale Fellini si pone di fronte alla traduzione intersemiotica. La posizione del regista, netta e di segno negativo4, mette in evidenza come il ruolo degli ipotesti nell’adat- tamento abbia funzione di pretesto e suggestione per una più ampia articolazione testuale che si distacca inevitabilmente dalla sua fonte. È in questo senso che

1 Tullio Kezich, Federico Fellini, la vita e i fi lm, Feltrinelli, Milano 2002, p. 173.

2 Federico Fellini, « Les femmes libres de Magliano. Projet de fi lm », Cahiers du Cinéma 68, février 1957, pp. 9–14.

3 T. Kezich, op. cit., p. 173. Sui legami tra il libro di Cavazzoni e di Tobino cfr. Federico Fellini, « Premessa dell’autore » [in:] La voce della luna, Einaudi, Torino 1990, p. VI.

4 Federico Fellini, Fare un fi lm, Einaudi, Torino 1980, p. 100.

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possiamo accogliere le note che Fellini scrisse all’inizio del progetto d’adattamen- to del romanzo:

Sono attratto da un racconto che pur provocando continuamente il riso per l’arbitrio che domi- na sovrano e toglie ad ogni azione, gesto, pensiero signifi cato, diventa a tratti straziante per il biso- gno disperato di darglielo comunque un signifi cato, perché la sua assenza stringe il cuore di paura, e rende la vita assurda. Un racconto picaresco in una dimensione, in un paesaggio, che sta fra Bosch, il mondo attuale dell’industria, Don Camillo, la pubblicità della Montedison, i ricordi dell’infanzia in un percorso quotidiano continuamente minacciato da fantasmi interiori, attraversato da brividi d’inferno in una incessante condizione di umiliato e ugualmente esaltato senso di emarginazione5.

Il processo traduttivo si scrive come una libera rielaborazione entro la quale prendono parte elementi costitutivi del romanzo, fattori culturali diversi (come la critica, già avviata da tempo dal regista, sulla televisione6), nonché elementi fortemente connotati dell’immaginario felliniano (come l’andamento picaresco dei fi lm degli esordi ed il ritorno ad un’ambientazione provinciale7). Tale distanza e libertà dell’adattamento manifesta nondimeno un processo interpretativo che il fi lm ha formulato sul romanzo, un processo al termine del quale nel testo fi lmico ci troviamo di fronte ad una serie di elementi che rifl ettono, rielaborano e appro- fondiscono il libro di Cavazzoni. Nicola Dusi, a tale proposito, insiste sul « fattore di orientamento della nuova traduzione », intendendo porre l’accento sulle scelte di posizione (avvicinamento, negazione, allontanamento) di un testo d’arrivo ri- spetto ai diversi elementi che infl uenzano e condizionano l’operazione traduttiva, ipotizzando una moltiplicazione di senso « grazie all’interpretazione del testo di partenza proposta dalla sua trasposizione »8.

Seguendo tale avviso in questo studio ci si concentrerà su alcune equivalenze rintracciabili tra i due testi, non secondo fattori di fedeltà, ma come percorsi di rifl essione tematica che il testo fi lmico opera sull’ipotesto scritto9. Si prenderanno dunque in considerazione alcuni esempi del passaggio intersemiotico che metta- no in evidenza una continuità (e un accrescimento) di senso pur modifi cando in maniera signifi cativa le proposte fi gurative, insistendo, in maniera particolare, su

5 Federico Fellini, [Note. Perché vorrei fare un fi lm da questo libro?], p. 1. Dattiloscritto appartenente all’archivio Cavazzoni, in parte pubblicato sulla quarta di copertina del romanzo Il poema dei lunatici, edizione Feltrinelli 1996.

6 Cfr. Paul Warren, Fellini ou la satire libératrice, VLB éditeur, Montréal 2003, pp. 183–214 e Tullio Masoni, « La voce della luna », Cineforum 3, marzo 1990, pp. 81–84.

7 Peter Bondanella, Il cinema di Federico Fellini, Guaraldi, Rimini 2003, pp. 343–344.

8 Nicola Dusi, Il cinema come traduzione. Da un medium all’altro: letteratura, cinema, pittura, Utet, Torino 2003, p. 28.

9 « La voce della luna […] non può essere considerato una mera riproduzione o traduzione del romanzo, bensì una sua continuazione: più che riprendere lo strano viaggio del protagonista del Poema, il fi lm lo accompagna in quello che possiamo considerare un percorso alternativo », Silvia Carlorosi, « Neoromanticismo in risposta al postmodernismo? L’infl uenza leopardiana nella poetica cinematografi ca felliniana di La voce della luna », Film-letterature 4, 2007. L’articolo è disponibile anche sul sito della rivista, da cui è tratta la citazione: http://www.almapress.unibo.it/fl /numeri/nu- mero4/libri/voce_luna.htm, consultato il 10.10.2012.

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come siano recepiti e interpretati quei fattori fondanti il testo: la presenza di una alterità nel quotidiano (dei personaggi e dell’ambiente) ed il percorso di conoscen- za operato dal protagonista, Ivo Savini (nel fi lm Salvini).

McFarlane, focalizzando l’attenzione sul potenziale narrativo di romanzi e fi lm, ha ricordato come proprio questo fattore possa essere assunto a elemento principale di una trasposizione10 e dunque di una lettura del processo di riscrittura testuale. Il riferimento, che potrebbe apparire fuori luogo a proposito di un autore, quale Fellini, che ha fatto della dissoluzione della struttura narrativa un proprio modus operandi11, non è inappropriato se si considera come questa scelta, nel caso sia de Il poema dei lunatici che de La voce della luna, articoli i temi princi- pali della vicenda, condizionandoli all’interno di un percorso sequenziale fatto di strappi e riprese, di rotture e di presenti ripetuti12. Da questo punto di vista è pos- sibile descrivere i percorsi narrativi del romanzo di Cavazzoni e del fi lm di Fellini secondo la dimensione della lateralità (geografi ca, cognitiva, temporale), dello slittamento e della non conclusione degli eventi. Solo a partire da questo percorso inusuale, che trova nella fi gura del vagabondaggio una prima e più evidente rea- lizzazione, si àncora il tema dominante, la ricerca di una diversa conoscenza, ossia la possibilità di « guardare la realtà al di là di come appare, usando parametri che prescindono dalla ragione e che permettono di interpretare il mondo in un’ottica unica e soggettiva »13.

Il romanzo presenta il personaggio narratore, Savini, dopo un mese trascorso fuori da una casa di cura, mentre rifl ette (scrivendo) sul proprio viaggio tragico- mico. L’itinerario anomalo presentato al lettore è scandito da un progressivo slitta- mento della parola (che coincide con una progressiva perdita di referenzialità) da un capitolo all’altro del libro. Questi, difatti, come ricordato da Budor, terminano ognuno su una frase che diviene, leggermente modifi cata, inizio della narrazione del capitolo successivo. Si tratta, come ricorda la studiosa, di una lenta deriva che non comporta però una consequenzialità logica14.

In questa lunga caduta del senso, che coincide anche con una sua altrettanto tenace ricerca, il romanzo pone fi n dalla prima pagina una tensione tra lo sguar- do soggettivo del protagonista e il senso comune, il mondo dei discorsi altrui.

Espressioni quali « mi hanno detto », « molti credono », « la cosa è risaputa e

10 Brian McFarlane, Novel To Film. An Introduction to the Theory of Adaptation, Clarendon Press, Oxford 1996, p. 12.

11 Thierry Jousse, « La fée électricité », Cahiers du Cinéma 431/432, 1990, p. 20.

12 Paolo Fabbri, « San Federico decollato » [in:] Fellinerie. Incursioni semiotiche nell’im- maginario di Federico Fellini », Guaraldi, Rimini 2011, pp. 12–14. È proprio a partire da una co- mune rottura narrativa che forse Masoni indica il libro di Cavazzoni come testo già felliniano: cfr.

T. Masoni, op. cit., p. 84.

13 Valeria Galbiati, « Tra letteratura e cinema: Landolfi , Cavazzoni e Fellini », Italianistica 3, settembre-dicembre 2009, p. 159.

14 Dominique Budor, « En écoutant la voix des lunatiques… », Chroniques italiennes 63/64, 2000, p. 420.

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comune », « me lo hanno raccontato »15 sono alternate dalla messa in dubbio delle stesse affermazioni: « sono su questo sempre rimasto piuttosto perplesso », « è diffi cile forse da credere », « non sapevo se crederci », « ma non so quanto que- sto sia vero »16. L’instabilità della parola detta è direttamente legata alla sua (in) capacità di cogliere il reale, di defi nirlo una volta per tutte. Ma la parola è anche e anzitutto modalità d’accesso (nonché, si vedrà più avanti, d’impedimento) ad una ricerca nel quotidiano, attraverso l’assunzione, da parte del personaggio, dei punti di vista che proprio i racconti altrui offrono17. Il lettore si trova in tal modo di fronte ad un fl usso narrativo (e percettivo) che avanza per accumulo, giustap- ponendo episodi più o meno autonomi e slegati, tramite il continuo insorgere di micro narrazioni e voci altre che il testo riporta e che si trovano ad occupare la scena, e la focalizzazione, del romanzo.

La particolarità di questa dispersione del narrativo e dell’universo del senso a partire dal ruolo della parola, dalla capacità (e dal mistero) di questa di formulare mondi possibili, altri e diversi da quelli consueti, sembra essere recepita dal fi lm felliniano fi n dalla prima sequenza.

I titoli di testa sono accompagnati da una colonna sonora di sospiri meravigliati, di schiocchi di frusta riverberati in eco infi nite da voci che parlottano in un inarrestabile continuo brusio […] fi no a creare un frastuono assordante dal quale emergono voci umane che chiamano ripetutamente senza posa e scampo un nome: « Salvini, Salvini, Salvini ».

Sul fondù dell’ultimo titolo appare l’immagine di un pozzo solitario in una campagna deserta e buia. Una voce sola dice ancora una volta:

VOCE: Ivo Salvini18.

Il fi lm, donando alle voci una effettiva presenza sonora (intesa anche dallo spettatore), ne fa elemento principale del percorso alterato di Salvini. Di qui l’in- terrogazione diretta del personaggio verso il destinatario (in ruolo di testimone) a conferma della realtà dei racconti e delle voci, come presenza che diviene, nell’ot- tica del personaggio, il vero racconto della realtà: « Avete sentito anche voi! Mi chiamano! Mi hanno chiamato! »19.

Lo smarrimento dell’itinerario di Savini nel fi lm viene comunque attenuato tramite uno spostamento sensibile dell’avventura da un piano reale ad un altro in cui entrano a far parte elementi del mondo onirico. Il rinvio è causato non soltanto

15 Ermanno Cavazzoni, Il poema dei lunatici, Feltrinelli, Milano 1996, pp. 11–12.

16 Ibidem.

17 In particolare nel romanzo assistiamo, ad ogni racconto, ad un vero e proprio processo di credenza da parte del protagonista che contribuisce a costruire delle mappe cognitive per la lettura del reale. Tale processo è scandito nella maggior parte dei casi secondo una stessa traccia: (1) ascol- to di un racconto; (2) osservazione partecipata o solitaria del fenomeno (anche diverso da quello raccontato o con un legame solo sottinteso); (3) adozione del punto di vista altrui durante l’osserva- zione; (4) suggestione e dubbio sulla realtà dell’avvenimento; (5) conclusioni sulla possibile realtà del racconto quale spiegazione del reale (il dubbio diventa l’insolito, lo strano che pertanto esiste).

18 F. Fellini, La voce della luna, op. cit., p. 5.

19 Ibidem, p. 6.

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dall’assenza di un riferimento forte al manicomio20, ma da una serie di situazioni che lo spettatore è chiamato ad interpretare come manifestazioni di un punto di vista non oggettivo e non mimetico: elementi come l’atmosfera prevalentemente notturna e la deformazione grottesca21, le volute e numerose incongruenze sugli effetti di realtà (es. la scena del valzer di Gonnella in discoteca) o i salti temporali (es. il passaggio del protagonista nella casa della nonna che suggerisce, apparen- temente, di localizzare la storia nello spazio del ricordo).

Lo spostamento tende ad introdurre lo spettatore nell’ottica di uno spazio quotidiano alterato: degradato da un lato nei segni della modernità, ma altrettanto insolito nell’avventura dei personaggi. In maniera particolare, il « compromes- so » strutturale emergente operato « tra sogno e realtà »22 sembra tradurre l’uso massivo che nel romanzo viene fatto di verbi come « sembrare », « parere »,

« credere ». Il continuo riferirsi a predicati di percezione e predicati modali fan- no in effetti di Savini un narratore inaffi dabile, nonché, assumendo di volta in volta il punto di vista di quanto ascoltato, anche un testimone incerto, i cui criteri di verità devono essere ricostruiti dal lettore rifocalizzando l’espressione detta, dubitativa ed ipotetica, con il mondo fi nzionale di riferimento23. La costruzione narrativa del punto di vista nel fi lm di Fellini sembra cogliere tale disorientamen- to, proponendo tale effetto non soltanto a partire da chiari slittamenti del punto di vista, ma in maniera più generale tramite un particolare e innaturale uso delle luci e del colore e della consistenza delle architetture scenografi che24.

La gestione della narrazione recupera, ripetendolo più volte, l’intero percorso passionale del personaggio romanzesco, reiterando un allontanamento dalla com- prensione, dal senso, attraverso la messa in evidenza di una relazione timica fra personaggio e ambiente. I nuclei del testo fi lmico, piuttosto autonomi, ripetono un medesimo modello d’avventura, alla cui fi ne però non è legato un accrescimento del sapere o dell’esperienza, bensì un ritorno indietro (una variazione della scena d’apertura) che nel romanzo è descritto come « un punto incompiuto »25.

20 Lo spazio manicomiale, nel libro, è presente fi n dall’Avvertenza. Sulla diversa scelta operata nel fi lm cfr. Federico Fellini, La voce della luna, a cura di Lietta Tornabuoni, La Nuova Italia, Firenze 1990, pp. 18–20.

21 Sul grottesco cfr. Roberto De Gaetano, Il corpo e la maschera. Il grottesco nel cinema italiano, Bulzoni Editore, Roma 1999, pp. 49–60.

22 Michelangelo Buffa, « Fellini l’ultimo », Filmcritica 403, marzo 1990, p. 93. Poco oltre l’autore prosegue insistendo sull’ « abolizione di uno spazio e di un tempo verosimili, l’abolizione stessa di una necessità di un tempo e di uno spazio defi niti » che « immette nella fl uida combina- zione di sequenze che pulsano personaggi inverosimili capaci di signifi care, di diventare fantasmi metaforici visivamente scolpiti », ibidem, p. 94.

23 David Herman, Story Logic. Problems and Possibilities of Narrative, University of Nebraska Press, Lincoln 2002, p. 310.

24 Fabbri, in una delle sue fellinerie, scrive in proposito di « trasformazione allucinatoria del reale », Paolo Fabbri, « Fellini e la madre di tutte le tentazioni », [in:] P. Fabbri, op. cit., pp. 22.

25 E. Cavazzoni, op. cit., p. 298.

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La reiterazione di uno stato disforico segna però, oltre ad un’impossibilità di reale possesso della conoscenza cercata, anche la natura di quest’ultima. I testi sviluppano difatti dei processi conoscitivi non ordinari, i quali seguono al tempo stesso modelli, almeno in parte, codifi cati culturalmente26. In maniera particolare la situazione del romanzo presenta i discorsi di verità (sul reale) e la verità stessa del reale quale forma di incrinatura, errore, pertugio diffi cilmente percepibile en- tro una più grande fi nzione quotidiana.

L’attrazione del personaggio per i messaggi che si possono trovare nel fondo dei pozzi (questo effettivamente l’inizio della sua ricerca nel libro e nel fi lm), così come quella per altri elementi del sottosuolo (come i possibili abitanti dell’

« inferno » dei tubi cittadini) costituiscono e segnalano una alleanza tra ciò che non è immediatamente visibile (o anche che può essere non creduto vero) e la costruzione del senso. In tale maniera, secondo un lungo racconto proposto da un altro personaggio, Nestore, racconto che diverrà strumento cognitivo primario di lettura del quotidiano, quest’ultimo non è che teatro, sceneggiatura, fi nzione. La mappa del mondo visibile è un grande cinema all’interno del quale ognuno gioca la sua maschera. Di qui, ad essere valorizzati in maniera positiva sono tutti gli spazi che evadono questa costruzione e costrizione scenografi ca e recitativa del reale, particolarmente spazi che si mostrano come elemento di scarto del visibile:

aperture, fessure, imperfezioni27. Il vero è dunque nascosto, ed il suo accesso si dà solamente attraverso un processo di smarrimento dell’ordinario, ponendosi da questo a una distanza sia critica che spaziale. La linea d’osservazione che ne scaturisce formula un’opposizione fra l’orizzontalità e la verticalità, la prima par- tecipe al processo di fi nzione, la seconda mostrandosi come una possibilità di fuga e d’accesso ad una dimensione nascosta.

Il fi lm recupera ed amplifi ca questa opposizione strutturando una tensione tra la profondità e la discesa, anche fi sica, nei pozzi, e la presenza sovrastante della luna. Molte scene riprendono tale verticalità espressa sia a livello di messa in quadro (proponendo elementi nettamente posti in alto o in basso), o mostrando in maniera reiterata i personaggi legati a questa ricerca di senso a partire da una posizione anomala, da un loro posizionamento in un pertugio o su luogo elevato (l’oboista dentro un loculo del cimitero; i fratelli Micheluzzi dei quali uno che si affaccia dal sottosuolo tramite l’apertura di un tombino, l’altro che giunge sui

26 Ci si sta riferendo alla tradizione del modello culturale legato al personaggio sfasato per il quale è ancora attualissimo il lavoro di Piero Camporesi, La maschera di Bertoldo, Garzanti, Milano 1990. Sull’uso di questo personaggio nella narrativa di Cavazzoni cfr. Epifanio Ajello, « Elogio del personaggio strambo. Per Gianni Celati ed Ermanno Cavazzoni », Studi Novecentesci 81, gennaio- giugno 2011, pp. 185–198.

27 « Una volta però […] ho trovato un buco in una fi nestra a piano terra; e se mi alzavo in punta di piedi si vedeva un canale dentro la casa. Io mi dicevo che quella forse era un’imperfezione;

e che quella era una fi nta fi nestra svelata […] e che svelava un pochino i segreti della città », ibidem, pp. 51–52.

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tetti sul carrello elevatore della propria macchina; Salvini più volte ripreso, oltre che dentro il pozzo o nell’atto di avvicinarvisi, in cima ad una scala, sui tetti con Nestore, sotto il palco della festa, etc.). L’elemento alto-basso struttura dunque un punto di fuga verticale, uno spazio di distanza dal suolo, ma anche uno dei legami attorno al quale muove tutto il fi lm: la forza d’attrazione tra movimento lunare e ciò che è a livello del suolo, tra mondo sopra e mondo sotto.

IVO : […] Certe volte penso, ci sarà pure un… posto nel mondo dove, dove c’è un foro, un buco che dà da qualche parte…

Alza lo sguardo e sbigottito s’accorge che sul soffi tto, proprio sopra alla sua testa c’è un buco circolare. Con circospezione sale gli ultimi due gradini e infi la la testa nel buco per spuntare fuori sul tetto piatto della costruzione proprio mentre su di lui, proiettata dalla luce della luna, passa l’ombra dell’uccello richiamato dal fi schio di Pigafetta28.

L’accesso, come in questo caso il pertugio del soffi tto, mette direttamente in contatto i personaggi con il mondo lunare, un mondo d’attrazione nel quale ognuno sembra sentire e comprendere qualcosa. Al punto che, quando la luna sarà catturata per mezzo della macchina ideata dai fratelli Micheluzzi, la mancanza di questa tensione verticale che struttura il senso (al di là del piano della quotidianità e del reale) fa sì che un personaggio, Onelio, manifestando alla folla radunata in piazza la propria disperazione esistenziale estragga « dal giubbotto una grossa pistola a tamburo e, senza che nessuno possa fermarlo, spara un colpo contro la Luna sullo schermo »29.

Una volta portata la luna al livello del suolo, visibile e tangibile, essa non comunica, non offre nemmeno il vociare confuso di cui è vittima Salvini. La real- tà esterna, la sua presenza quotidiana, per riprendere la descrizione di Nestore, è infi ne ciò che appare ma realmente non è: essa è dunque menzogna; mentre la vera conoscenza, lo sviluppo del senso, pur a volte inarticolato e confuso, è ciò che è ma non sembra. Da questo punto di vista libro e fi lm pongono ciò che sarebbe la vera conoscenza come una forma di segreto, il cui accesso è permesso solo tramite un percorso di disorientamento solitario diretto oltre la realtà fenomenica delle cose (e non avvicinando alla superfi cie ciò che è nascosto o lontano).

Se le strutture di verità si trovano al di là del piano visibile/reale, la conse- guenza che il testo propone è però quella dell’instabilità della scoperta quale se- greto. In un dialogo molto fi tto tra Savini ed il prefetto Gonnella, i due discutono della realizzazione di un atlante dove segnalare le scoperte della nuova prefettura:

[Gonnella :] « Sarà un atlante che sembra di vetro, di fogli di vetro. Non sono mai stati fatti, è vero? […] Così noi ci leggiamo attraverso; no, anzi, ci leggiamo di dentro, a diverse profondità, tutte le nostre regioni; come fossero immerse nell’acqua, e galleggiassero in tanti livelli, a seconda del peso specifi co. È vero? […] Sa com’è l’acqua quando è trasparente? Ecco, l’atlante lo facciamo così, che si legga penetrando con gli occhi sempre più dentro, una regione sotto all’altra, secondo quel che le han raccontato. E si può anche credere che sia sempre la stessa regione, ma che ognuno la racconti diversa ».

28 F. Fellini, La voce della luna…, p. 21.

29 Ibidem, p. 132.

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[Savini :] « È una bellissima idea; bisognerebbe farlo d’acqua […] Sarebbe bello un atlante di acqua, così i confi ni delle nostre regioni ondeggiano, come succede nella realtà; e si sposterebbero alla deriva. E poi se si formano delle correnti dentro l’atlante, l’inchiostro della tipografi a si spande e si sfi laccia, come le nuvole quando c’è vento. […] Piano piano, per la natura dell’acqua, tutto questo fi tto di segni si diluisce e forma delle ombre o delle striature; o un arcobaleno che brilla e che si guarda con grande diletto »30.

Il fi nale del libro ribadisce l’impossibilità di trattenere su un unico piano la moltiplicazione della dispersione del senso: questo è destinato a diluirsi, sfi lac- ciarsi, formare un arcobaleno.

L’ipotesi che è possibile avanzare è che il ruolo assunto nel romanzo di Cavazzoni dai racconti e dalle voci si ripresenti nel testo fi lmico come reiterata presenza del suono in quanto disturbo, inquinamento all’ascolto e dell’articolazio- ne del senso. Se si considera difatti la situazione testuale, dopo le prime ed impor- tanti rivelazioni che Savini ottiene tramite il racconto (ma che già ne modifi cano gli obiettivi fi ssati inizialmente: la ricerca dei messaggi nei pozzi), il mondo della narrazione diviene (al di là dell’effetto comico) da un lato fenomeno di riscrittura di un reale alla rovescia31, dall’altro spazio confuso e degradato di una geografi a infi ne inafferrabile:

E di cose ne avevo sentite, di tutte le razze, di cose anche istruttive a modo loro, e che non me le ero dimenticate. Ma che erano ognuna per conto suo, non avevano un fi lo. Io non lo sentivo, e quindi, per ciò, io fi nivo per diventar pessimista. « Perché tutto l’insieme non so cosa vuol dire » dicevo32.

La realtà diviene dunque frammentaria, e lo sforzo di collegare i vari racconti entro un’unica storia, fallimentare. È possibile accostare a questo piano la « babe- le di rumori » che nel fi lm si presenta in contrasto con « le voci ispirate dalla luna, esili e reticenti che Ivo tenta di afferrare dalle profondità dei pozzi »33. Lo spetta- tore si trova di fronte a più livelli di rumore: il suono come attrazione, in quanto mistero (la voce dei pozzi, la colonna sonora delle campagne, ed in parte la voce della luna); un secondo livello invece di suoi urbani, o del mondo contemporaneo, i quali segnano immancabilmente un impedimento, un blocco conoscitivo (testi- moniato anche dai tanti lavori stradali, rumorosissimi, o dalla folla); ed infi ne il rumore come assenza: la stanza vuota della casa di Salvini, la stanza dei fantasmi e dei demoni interiori, e, forse, il silenzio evocato dall’ultima battuta del fi lm.

Se si segue la prospettiva proposta dal personaggio, ossia che la possibilità di

« capire » è letteralmente legata alla presenza/assenza dei rumori, è facile notare come l’adattamento fi lmico riprenda il percorso di una conoscenza solitaria ed altamente instabile già presente nel romanzo di Cavazzoni, sviluppando però in maniera più decisa un itinerario nel quale l’alterità e la distanza dal quotidiano

30 E. Cavazzoni, op. cit., pp. 145–146.

31 D. Budor, op. cit., pp. 426–427.

32 E. Cavazzoni, op. cit., p. 252.

33 P. Bondanella, op. cit., p. 346.

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si mostrano anche in una loro possibile positività. Nella follia dei suoni e della società rappresentata dal fi lm, lo sfasato Salvini chiude difatti il suo percorso ripe- tendo l’iniziale invito al destinatario; un invito, questa volta in prima persona plu- rale, che coinvolge lo spettatore non solo in quanto testimone, ma come possibile fi gura attiva nel processo di conoscenza34. Nella sordità prodotta dall’eccesso di rumori, sono infi ne i brusii di fondo che ancora possono dire qualcosa: suoni che però nascono dalla mancanza di suono, dalla liberazione di una capacità immagi- nativa che emerge nel vuoto, nell’assenza. Così, i brusii cui è chiamato ad essere partecipe lo spettatore sono infi ne amplifi cazioni e fi gure del silenzio, come le

« popolazioni nascoste » del romanzo, e ancora una volta forme che si distendono su di un ideale atlante la cui consistenza è quella di fogli d’acqua:

IVO: È proprio come la stanza vuota di casa mia. Vicino alla camera da letto c’era una stanza completamente vuota, soltanto delle mele, delle nespole sul pavimento. Tutto è cominciato in quella stanza… (sono terminati i fuochi artifi ciali e ora intorno a loro è tutto silenzio)… quando c’era un silenzio sospeso come questo. È in un silenzio così che arrivano gli schiamazzi di quegli uccelli, quei fi schi, quei rintocchi di campane e sento delle parole che mi sembra di capire ma non capisco35.

OTHERNESS AND FORMS OF KNOWLEDGE FROM IL POEMA DEI LUNATICI TO LA VOCE DELLA LUNA

Summary

The study suggests an analysis of the transfer from the novel of Ermanno Cavazzoni, Il poema dei lunatici, into the Federico Fellini’s last fi lm, La voce della luna, and shows how the fi lm receives and develops the narrative pathways of the book. Particularly, the essay focuses on the topics of knowledge processes and cultural otherness of characters to remark, considering Fellini’s way of dealing with adaptation, how the rewriting practice interprets and deepens the basic themes of novel.

Key words: literature, fi lm, adaptation, character, otherness, Fellini, Cavazzoni.

34 « Ivo [rivolto agli spettatori]: “Eppure io credo che, se ci fosse un po’ più di silenzio, se tutti facessimo un po’ più di silenzio… forse qualcosa potremmo capire!” … e si dirige verso il pozzo.

Una volta raggiunto si piega sull’imboccatura per ascoltarne le “voci”! », F. Fellini, La voce della luna…, p. 137.

35 Ibidem, p. 99.

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