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Gesù Cristo: Figlio di Dio, Figlio di Maria. Un saggio

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CIYITAS MENTIS

Tom 1

pod redakcją

Z B IG N IE W A K A D Ł U B K A i

T A D E U S Z A S Ł A W K A

Wydawnictwo Uniwersytetu Śląskiego Katowice 2005

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ENRICO DAL COVOLO

Universita Salesiana, Roma

Gesu Cristo: Figlio di Dio, Figlio di Maria Un saggio

In questo contributo mi propongo di illustrare l’itinerario percorso dalie comunita cristiane dei primi seeoli per comprendere qualche eosa di piu del mistero di Gesu Cristo, vero Dio e vero uomo (Figlio di Dio e Figlio di Maria).

Sono convinto infatti della normativita di questo itinerario. A parte la fonnulazione dei dogmi, ai quali, come credenti, siamo tenuti per fede, l’es- perienza della Chiesa fino a Calcedonia rappresenta, per la sua prossimita agli insegnamenti del Maestro, un punto di riferimento ineludibile per i cristiani di ogni tempo.

Inoltre sono persuaso che una maggiore conoscenza del dibattito cris- tologico dei primi secoli assicura un approccio corretto alla cristologia tout-court, di ieri e di oggi.

Gli antefatti di Nicea (secc. I-III)

Conviene andare un po’ indietro nel tempo, e riferirci alle comunita cristiane in cui nacque il corpus del Nuovo Testament o. Si pensi soprattutto alle diflicolta contro cui vennero a cozzare le piu antiche confessioni della fede in Gesu Cristo („Mio Signore e mio Dio!” , proclama Tommaso dopo la resurrezione), tenendo conto dell’ambiente religioso circostante.

E ben noto il rigido m o n o t e i s m o della religione ebraica, ed e altret- tanto nota la s u b o r d i n a z i o n e a Zeus degli altri dei deirOlimpo greco- -romano. Precisamente in tale contesto venne a porsi nei primi tre secoli

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l’interrogativo su Gesu Cristo: che cosa significava affermare che egli e il Figlio di Dio, Dio egli stesso?

Fin dai primi tempi della Chiesa si fecero strada diversi tentativi di risposta a ąuesta domanda, alcuni radicali („eretici”), altri moderati.

Ci fu chi, sollecitato dal rigido monoteismo ebraico, mise in discussione piu o meno radicalmente la piena divinita di Cristo. Egli era un puro uomo, anche se dotato di eccezionali poteri (ebionismo); oppure era stato adottato come Figlio di Dio dopo il battesimo o dopo la risurrezione (adozionismo); oppure era un modo di manifestarsi dell’unico Dio (modalismo, sabellianismo, patripas- sianismó).

E ci fu chi, sollecitato dal subord.inazion.ismo olimpico, accettó che Gesu fosse si Figlio di Dio, m a solo in maniera subordinata rispetto al Padre (fu ąuesta la cosiddetta cristologia del Logos, che si caratterizzó appunto per il fatto che al Logos-Cristo veniva riconosciuta una propria sussistenza divina.

Anche la cristologia del Logos conobbe esiti piu o meno radicali).

Lo scontro tra i monarchiani (di ascendenza prevalentemente giudaica) e i subordinazionisti (i teologi del Logos, di colta estrazione ellenistica) era inevitabile.

A Roma tra la fine del II e i primi decenni del III secolo i teologi del Logos vennero estromessi a favore di una tendenza monarchiana moderata (e lo scontro tra papa Callisto e 1’autore della Confutazione di tutte le eresie, in- dicato di solito eon il nome di Ippolito, che sarebbe cosi il primo «antipapa»

della storia).

M a la cristologia del Logos si prese una rivincita, e conobbe un’ampia diffusione in Asia Minore, dove peraltro trovó fertile terreno pure il monar- chianesimo radicale, anch’esso scomunicato da Callisto.

Cosi il contrasto tra monarchiani e teologi del Logos si ripropose in Oriente, tra la seconda m eta del III secolo e gli inizi del IV. M a tra i due grup- pi prevalse il secondo, che fu condotto dalia polemica a sottolineare ulterior- mente 1’inferiorita o la subordinazione del Figlio rispetto al Padre.

In ąuesto ąuadro si colloca la crisi ariana. Siamo ormai intorno al 320.

Ario, un prete di Alessandria, accentuó il subordinazionismo caratteristico dei teologi del Logos fino al punto di affermare che „ci fu un momento nel ąuale il Figlio non esisteva”: il Figlio sarebbe infatti una creatura del Padre.

Condannato ad Alessandria, Ario trovó sostegno in alcuni vescovi che si riconducevano come lui all’insegnamento di Luciano d ’Antiochia (i cosiddetti collucianisłi). L’imperatore Costantino cercó allora, eon la mediazione del vescovo Osio di Cordova, di ricomporre in unita le fazioni rivali. Non ot- tenendo successo, indisse un Concilio ecumenico a Nicea (il primo della storia, se non si vuole considerare ąuello di Gerusalemme, di cui parła il libro degli A tti) per la primavera del 325.

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II Condlio di Nicea (325)

Costantino inauguró il „suo” Concilio il 20 maggio del 325. D opo un discorso di benvenuto - pronunciato dall’imperatore in latino - iniziarono le discussioni, lunghe e difficili. Eusebio, vescovo di Nicomedia, pronunció a nome di Ario una formuła di fede che venne rigettata.

Eusebio di Cesarea propose una sua formuła, anche per prendere le di- stanze da Ario e sgravarsi dal sospetto di eresia. Nel corso del dibattito, il Simbolo (cioe la formuła della fede) proposto da Eusebio venne integrato in senso antiariano eon alcune aggiunte, fino all’inserzione dell’attributo homo- ousios, riferito al Logos per qualificarne 1’identita di essenza eon il Padre.

Ario si rifiutó di sottoscrivere ąuesto Simbolo, e perció fu scomunicato.

E utile, anche per gli sviluppi successivi, tener presente «lo schieramento»

dei Padri a Nicea. Secondo una suggestiva proposta storiografica formulata da H.I. M arrou, bisognerebbe immaginare 1’aula del Concilio disposta a semicer- chio (un po’ come i nostri parlamenti). Procedendo da sinistra a destra in- contreremmo allora la „sinistra” filoariana guidata da Eusebio di Nicomedia e dai collucianisti; poi il subordinazionismo moderato di Eusebio di Cesarea; al centro la posizione riconosciuta come ortodossa di Atanasio di Alessandria e di Osio di Cordova; e finalmente la „destra” monarchiana.

Abbiamo gia accennato che 1’elemento piu interessante e controverso del Simbolo approvato a Nicea fu 1’inserzione del termine homoousios: del „Sig- nore Gesu Cristo, il Figlio di Dio, generato unigenito dal Padre”, si dice infatti che e „della stessa sostanza” del Padre.

Da Nicea a Costantinopoli

M a la formuła dello homoousios non diśsipó le ambiguita e i contrasti, fra l’altro perche essa stessa era equivoca, prestandosi a significare due cose:

a) che il Figlio e della stessa sostanza del Padre (era ąuesta la mens dell’ortodossia nicena);

b) ma anche, a rigor di termine, che il Figlio e della stessa persona del Padre: stando a ąuesta interpretazione - che peró non corrispondeva alla mens del Concilio - si ricadeva nell’eresia monarchiana.

Cosi tutte le parti tornavano in lizza, dali'estrema destra all’estrema sinistra. E fu una lotta senza esclusione di colpi, in cui intervenne a piu riprese, spesso in modo maldestro, anche 1’autorita dell’imperatore.

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Di fatto Pequivoco dello homoousios imponeva che si superasse l’inter- pretazione filomonarchiana, e che si portasse un chiarimento non tanto sulla sostanza del Figlio (il Figlio e della stessa sostanza del Padre: questa era 1’interpretazione autentica del dogma di Nicea), quanto sulla sua persona (che invece non e quella del Padre). In particolare il problema che si poneva era il seguente: se il Figlio e della stessa sostanza divina del Padre, come coabitano nella sua persona 1’umanita e la divinita?

Ć il quesito che appassionera la Chiesa soprattutto nei tre Concili suc- cessivi: quello di Costantinopoli del 381, quello di Efeso del 431 e quello di Calcedonia del 451.

In particolare a Costantinopoli si aw erti la necessita di riprendere e di chiarire, al di la di ogni possibile equivoco, il Simbolo niceno. Cosi, mentre ribadisce la piena umanita e divinita di Cristo, il canone I di Costantinopoli condanna „ogni eresia, e particolarmente ąuella degli ariani”.

II Concilio Costantinopolitano I (381)

II secondo Concilio Ecumenico, dopo quello di Nicea del 325, venne celebrato nel palazzo imperiale di Costantinopoli tra il maggio e il luglio del 381. Convocato dall’imperatore Teodosio, non sembrava rivestire quel carat- tere ecumenico che gli fu riconosciuto in seguito: radunava alTincirca 150 ves- covi, tutti provenienti dalie Chiese dell’Oriente.

Lo scopo del Concilio era quello di risolvere le due grandi questioni che travagliavano le Chiese greche alla fine del IV secolo: precisamente la polemica eon gli ariani e la divinita dello Spirito Santo, negata dai macedoniani (o pneu- matómachi).

II Simbolo di fede defmito dall’assise conciliare ci e noto nella forma in cui fu recitato settanfanni piu tardi nel Concilio di Calcedonia, dove fu solen- nemente approvato e divenne, col nome di Credo niceno-costantinopolitano, una delle professioni di fede piu significative della Chiesa universale.

E molto importante sottolineare un’espressione, introdotta dall’assise di Costantinopoli nel Simbolo niceno. II Simbolo di Nicea recitava: „Per noi uomini e per la nostra salvezza e disceso e si e incarnato, si e fatto uomo...”;

mentre il Simbolo niceno-costantinopolitano esplicita: „Per noi uomini e per la nostra salvezza e disceso e si e incarnato dalio Spirito Santo e da Maria, la

Yergine, [e] si e fatto uomo”.

Sembra poco, m a in realta si tratta di un’aggiunta di enorme portata. Vi si enuncia la f u n z i o n e m a t e r n a di M aria, che rimaneva implicita nel Simbolo niceno.

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M aria viene menzionata eon il suo nome, anche se non e chiamata Mądre.

Questo per due motivi: sia perche il discorso e strettamente cristologico, sia perche non sono ancora attuali a Costantinopoli I le polemiche attorno alla sua maternita. Lo si desume anche dal fatto che grammaticalmente e sintat- ticamente lo Spirito Santo e M aria sono del tutto equiparati tra loro (ben diversamente, per esempio, dal Simbolo di Aquileia e dalia relativa Expositio di Ruflno, ove si legge invece: Natus de Spiritu Sancto ex M aria Virgine).

In ogni caso il contenuto essenziale della f u n z i o n e m a t e r n a e chia- ramente espresso.

Signiflcativa e ancora 1’apposizione di Yergine aggiunta al nome proprio.

Ne risulta che M aria e la Yergine per antonomasia, e questa ąualifica deflnisce 1’apporto umano all’evento dell’incarnazione.

II Condlio di Efeso (431)

Sono ben noti i diversi orientamenti di due antiche tradizioni cristiane, chiamate anche „scuole”, quelle di Antiochia e di Alessandria.

D a una parte Antiochia sembra incarnare le caratteristiche piu evidenti del cosiddetto „materialismo” asiatico, sostenitore della lettera in esegesi e delTu- m anita del Figlio in cristologia; mentre Alessandria pare accogliere le due istanze - rispettivamente complementari - delfallegoria in esegesi e della divinita del Verbo in cristologia.

In particolare la cristologia antiochena poteva condurre a una rigida separazione tra Gesu-uomo (nell’intento, di per se lodevole, di valorizzarne 1’incarnazione) e il Cristo preesistente. Tale c r i s t o l o g i a d i v i s i v a pre- siede di fatto all’eresia di Nestorio, vescovo di Costantinopoli dal 428. Questi, divaricando drasticamente le prerogative deH’umanita di Gesu da quelle della sua divinita, giungeva ad escludere che si potessero riferire al Verbo preesisten­

te le proprieta e le caratteristiche della sua umanita. Per questo egli rifiutava a M aria 1’attributo di Theotókos, per assegnarle piuttosto ąuello di Chris- totókos.

Lo scontro tra Nestorio e Cirillo, vescovo di Alessandria e alfiere della cristologia alessandrina, era inevitabile. II contesto proprio della disputa, come si e visto, era squisitamente cristologico, m a la discussione sulla legittimita o meno del titolo Theotókos riferito alla Vergine M aria fini per catalizzare 1’intera questione.

II 22 giugno 431, nella chiesa grandę di Santa M aria a Efeso, il terzo Concilio Ecumenico, dopo aver letto il Simbolo di Nicea, approvó la dottrina di Cirillo e rigettó definitivamente la posizione di Nestorio.

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Riporto un passaggio saliente della seconda lettera di Cirillo a Nestorio.

Questo documento cirilliano, fatto proprio dal Concilio, costituisce nel suo insieme il testo piu importante sulla cristologia di Efeso e sulla dottrina della Theotókos. Vi si legge fra 1’altro: „Questo afFerma dovunque la fede ortodossa, questo troviamo presso i santi Padri. Essi non dubitarono di chiamare la santa Vergine M ądre di Dio, non certo perche la natura del Verbo o la sua divinita abbia avuto 1’origine del suo essere dalia santa Vergine, m a perche nacque da essa il santo corpo dotato di a nim a razionale, a cui il Verbo e unito sostanzialmente; ecco perche si dice che il Verbo e nato secondo la carae.

Scrivo ąueste cose spinto dall’amore di Cristo, esortandoti come un fratello”, a ąuesto punto Cirillo apostrofa direttamente Nestorio, „scongiurandoti, al cospetto di Dio e dei suoi angeli eletti, di voler credere e insegnare eon noi ąueste verita, perche sia salva la pace delle Chiese e rimanga indissolubile il vincolo della concordia e dell’amore tra i sacerdoti di D io”.

Ai nostri giorni la critica storica si e interrogata se il Concilio di Efeso intendesse veramente approvare nella formuła contesa di Theotókos un titolo mariano. Basil Studer - uno dei maggiori studiosi della teologia patristica fra il IV e il VI secolo - ritiene che occorra anzitutto ricondurre la discussione al suo contesto proprio, e cioe, lo ripetiamo, al dibattito cristologico. A parere di Studer, non era tanto in ąuestione 1’uso della formuła Theotókos: la controver- sia riguardava piuttosto le implieazioni cristologiche, il modo di spiegare 1’unione fra Dio e 1’uomo in Gesu Cristo, e il criterio eon cui ripartire gli attributi divini e umani nel medesimo unico Cristo. Del resto lo studio della mariologia cirilliana confermerebbe che 1’Alessandrino non aveva alcun in- teresse particolare a promuovere il culto di M aria in se stesso. II risultato dell’indagine - mentre corregge un’interpretazione largamente difTusa della dottrina di Cirillo - carica di rilevanza mariologica la successiva ricezione del Concilio di Efeso, che indubbiamente contribui in maniera determinante alla venerazione di M aria come M ądre di Dio.

In una seduta successiva, il 22 luglio, il Concilio stabili che d ’ora innanzi non sarebbe stata ammessa altra formuła di fede rispetto a ąuella di Nicea del 325.

Due anni piu tardi, nel 433, la cosiddetta „formuła di unione”, definita anche Simbolo di Efeso, avrebbe sancito un migliore eąuilibrio tra la cristologia antiochena (divisiva) e la cristologia alessandrina (unitiva).

II Concilio di Calcedonia (451)

Se il rischio della cristologia antiochena era quello di separare il Gesu- -uomo dal Cristo preesistente, fino al punto di comprometteme 1’unicita della

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persona, il rischio della cristologia alessandrina era quello di fondere a tal punto Gesu di Nazaret e il Figlio di Dio da comprometterne la distinzione delle naturę.

Precisamente questo rischio si manifesta nell’eresia monofisita di Eutiche, monaco e archimandrita, amico di Cirillo.

Eutiche, opponendosi energicamente alla dottrina di Nestorio, si fa esa- gerato sostenitore della „cristologia alessandrina unitiva”, fino a predicare un

„monofisismo” (ma il termine e stato coniato assai piu tardi rispetto a Eutiche) che vaniflca di fatto la natura umana del Cristo.

Cosi il Concilio di Calcedonia, convocato dall’imperatore M arciano nel 451, dovette navigare non senza pericoli tra Scilla e Cariddi, cioe tra il nes- torianesimo da una parte e il monofisismo dall’altra.

Anzitutto vennero confermati solennemente il Simbolo niceno del 325 eon 1’integrazione di Costantinopoli del 381, e la seconda lettera di Cirillo a Nes­

torio, fatta propria dal Concilio del 431.

Si procedette poi - tra molte resistenze - all’elaborazione e all’approva- zione di un nuovo Simbolo, che due anni piu tardi avrebbe ottenuto il con- senso del vescovo di Roma, il papa Leone Magno.

Rispetto al Simbolo niceno-costantinopolitano (che recitava, come si ri- corda, „per noi uomini e per la nostra salvezza e disceso e si e incarnato dalio Spirito Santo e da M aria Ver ginę"), il Simbolo di Calcedonia esplicita ulte- riormente: „Insegniamo tutti concordemente a confessare che 1’unico e iden- tico Figlio, il Signore nostro Gesu Cristo, e egli stesso perfetto in divinita ed egli stesso perfetto in umanita [...], generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinita, e negli ultimi giorni egli stesso per noi e per la nostra salvezza da Maria, la Yergine, la M ądre di Dio secondo 1’um anita”.

II testo apparentemente e povero, privo di approfondimenti dottrinali rispetto al Concilio di Efeso. In realta la nuova definizione dogmatica - va- lorizzando le acquisizioni dottrinali precedenti, specialmente quelle di Costan­

tinopoli e di Efeso - manifesta la sollecitudine di chiarire ulteriormente la realissima funzione m atem a di M aria nei confronti del Figlio di Dio.

Vi si rintracciano due elementi fondamentali: Maria (il nome proprio e chiaramente espresso) e definita contemporaneamente Yirgo (Parthenos:

ripresa di Costantinopoli I) e Deipara (Theotókos: ripresa di Efeso). Essa e M ądre deU’unico e identico Figlio, la seconda Persona della Trinita divina, generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinita e negli ultimi giorni da M aria, la Yirgo Deipara, secondo 1’umanita. Cade, rispetto a Costantinopoli I, il riferimento allo Spirito Santo, che allora, nel 381, era di massima attualita nella polemica antimacedoniana.

Si puó notare che anche a Calcedonia, come nei precedenti Concili Ecumenici, la maternita divina non e il soggetto diretto e principale del discorso, m a - connessa e dipendente dal discorso cristologico - vi diventa la

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„chiave di volta” per 1’interpretazione di una vera unita in Gesu Cristo, Persona sussistente in due naturę distinte, m a non divise.

Cosi possiamo fare nostra una celebre affermazione di G. Soli: „La mariologia”, egli scrive nella sua Storia dei dogmi mariani (Roma 1981, p. 416)

„non e la parte centrale del cattolicesimo, m a e un punto di cristallizzazione per verita fondamentali della cristologia”.

Prospettive di sintesi: Gesu Cristo nei Padri della Chiesa

Trattare in sintesi di Gesu Cristo nei Padri della Chiesa e impresa pressoche disperata.

Per togliermi dalPimbarazzo, mi riferisco anzitutto a una sintesi autore- volessima e molto recente, e da li partiró per proporre alcuni spunti di rifles- sione, seguendo sostanzialmente il filo dello sviluppo cronologico, dalie origini dell’eta patristica fino a Bernardo di Chiaravalle, „L’ultimo dei Padri”.

La persuasione di fondo, che sostiene 1’articolazione di questo itinerario, e molto chiara: solo la contemplazione costante del volto di Cristo permette alla Chiesa di comprendere chi e il Dio vivo e vero, m a anche chi e 1’uomo, e consentira alle comunita cristiane di testimoniare il Signore e di operare una pastorale corretta ed efficace.

Novo Millennio Ineunte,

21

La „sintesi autorevolissima e molto recente”, di cui parlavo, e fornita dall’ultima Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte, la dove - nella seconda parte del Documento - si parła di „un Volto da contemplare”, ąuello di Gesu Cristo. Al numero 21 viene citato il riferimento patristico piu importante di tutti, il punto d ’arrivo - potremmo dire - della cristologia patristica.

L’identita profonda di Gesu Cristo viene colta dal Papa in questi termini:

„II Verbo e la came, la gloria divina e la sua tenda tra gli uomini! E neH’unione intima e indissociabile di ąueste due polarita che sta 1’identita di Cristo, secondo la formulazione classica del Concilio di Calcedonia del 451:

«Una persona in due nature». La persona e quella, e solo quella, del Verbo eterno, figlio del Padre. Le due naturę, senza confusione alcuna, m a anche senza alcuna possibile separazione, sono quella divina e quella um ana”.

La formuła di Calcedonia - citata testualmente nella nota 10 del Documen­

to - va considerata in effetti come la pietra angolare della cristologia, e la copiosa riflessione patristica che la anticipa e la sostiene converge in essa,

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che appare un p o ’ come la cristallizzazione di tutte le acquisizioni dottrinali precedenti.

Le „premesse” di Calcedonia: Antiochia e Alessandria

M a che cosa sta dietro a ąuesta decisiva formulazione dogmatica?

Ci sta 1’imponente sforzo teologico delle due „scuole” piu famose deH’eta patristica: quella di Antiochia e ąuella di Alessandria.

Sono ben noti gli orientamenti di queste due antiche tradizioni, l’una (ąuella di Antiochia) piu portata a sottolineare 1’umanita di Gesu Cristo;

1’altra (ąuella di Alessandria) piu attenta a sottolineare la divinita del Figlio di Dio.

Cominciamo da Antiochia.

Gia Ignazio nella prima meta del II secolo ne anticipava alcuni tratti caratteristici, soprattutto nello spiccato realismo dei riferimenti alTumanita di Cristo. Egli „e realmente dalia stirpe di Davide”, scrive Ignazio agli Smirnesi,

„realmente e nato da una vergine [...], realmente fu inchiodato per noi” (Let- tera agli Smirnesi, 1, 1).

Proprio in nome di questo spiccato realismo, Ignazio giunge a parlare dell’unione eon Cristo come nessun altro Padre della Chiesa ha mai fatto.

Supplicando i cristiani di Roma di non ostacolare il suo martirio, Ignazio formuła in ąuesti termini la sua passione per Cristo:

Che io possa gjoire delle bestie che mi hanno preparato! Mi auguro di trovarle pronte per me! E io le sproneró anche, perche mi divorino prontamente, non come alcuni, che, timorose, non toccarono nem- meno. E se esse, restie, non volessero, io le costringeró eon la forza.

Abbiate compassione di me: so bene ąuello che mi conviene! Ora comindo ad essere (un vero) discepolo. Nessuna delle cose visibili e invisibili mi trattenga per gelosia dal congiungermi a Gesu Cristo.

Fuoco e croce e lotte eon belve, lacerazioni, slogature di ossa, mutilazioni di membra, stritolamenti di tutto il corpo, perfidi tonnenti del diavolo vengano pure su di me, purche io possa soltanto congiungermi a Gesu Cristo.

Testi di questo genere non hanno mancato di suscitare lun go la storia il ribrezzo e la ripugnanza di qualcuno. Effettivamente sono parole di fuoco, espressioni inusitate che fanno impressione, lasciano trasaliti, e si spiegano solamente sulla bocca di un lirico e di un mistico, di un innamorato che vuole a tutti i costi morire per „congiungersi al suo Cristo”. Ignazio lo dice subito dopo:

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Ć, bello per me morire yerso Gesu Cristo, piuttosto che regnare sino ai confini della terra. Cerco lui, che e morto per noi, voglio lui, che e risorto per noi. E giunto per me il parto. Abbiate compassione di me, frateUi: non impedite il mio nascere alla vita, non vogliate il mio morire! Uno che vuole essere di Dio non graziatelo al mondo e non raggiratelo eon la materia: lasdatemi entrare nella pura luce! La giunto saró diventato uomo. Lasciate che io sia imitatore della Passione del mio Dio. Se uno ha Dio dentro di se, comprenda ąuello che io voglio e sofTra eon me, sapendo che cosa mi trattiene.

Leuera ai Romani, 5-6

Trascorriamo ora ad Alessandria.

Andiamo direttamente al piu famoso degli Alessandrini, il grandę Origene.

E evidente il diverso tono di Origene, assai piu preoccupato (rispetto a Ignazio e agli Antiocheni in genere) di definire la divinita del Figlio (anche se poi egli stesso, come vedremo, non e alieno da espressioni che oggi definirem- mo di tipo „mistico”).

Facciamo un esempio tratto dal primo libro Sui principi.

Tutto do che fa il Padre, lo fa anche il Figlio - scrive Origene - in quanto il Figlio fa tutto come il Padre; dunque 1’immagine del Padre e formata nel Figlio, che certamente e nato da lui come volonta che procede dairintelligenza...

Sui principi, 1, 2, 6

E questo 1’enunciato iniziale di un lungo svolgimento cristologico. M a gia dalie sue prime battute mi sembra evidente ció che andavo dicendo, rispetto alla diversita dei due indirizzi di Antiochia e di Alessandria.

Ebbene, passando - non senza rischi - tra Scilla e Cariddi, la definizione di Calcedonia fornisce una sintesi efficace degli insegnamenti antiocheni e ales­

sandrini, e una via di mirabile equilibrio neU’itinerario delTuomo verso il mistero di Cristo.

Ancora Origene

Mi accorgo peró che, nello sforzo di illustrare nel modo piu chiaro le due tendenze complementari di Antiochia e di Alessandria, ho fatto gravi torti a Origene. In realta, egli e un teologo talmente grandę, da andare ben oltre gli angusti confini di una scuola o di un’altra.

Per rendergli giustizia, vorrei proporre una breve „divagazione” sul carat- tere mistico della sua cristologia, divagazione che ci consentira di approdare al termine dell’eta patristica.

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Secondo Origene, la via piu adeguata per conoscere Gesu e 1’amore. Per dimostrarlo, egli si fonda su un significato ebraico del verbo conoscere, utiliz- zato per esprimere latto dell’amore umano: „Adamo conobbe Eva, sua sposa, la quale concepi Tale e la definizione ultima del conoscere, confuso eon 1’amore nell’unione. Come 1’uomo e la donna sono „due in una sola carae”, cosi Gesu e il credente divengono due „in uno stesso spirito”.

Questa concezione della conoscenza di Cristo e senz’altro d i n a t u r a m i s t i c a .

Ebbene, quando si parła di Origene „mistico” e obbligatorio il riferimento alle sue Omelie sul Cantico dei Cantici. Al riguardo si cita in particolare un passaggio della prima Omelia, dove Origene confessa:

Spesso - Dio me ne e testimone - ho sentito che lo Sposo si awi- cinava, e si accostava a me in massimo grado; dopo egli se ne an- dava alTimprowiso, e io non potei trovare ąuello che cercayo.

Nuovamente mi prende il desiderio della sua venuta, e talvolta egli toma, e ąuando mi e apparso, ąuando lo tengo tra le mani, ecco che ancora mi sfugge, e una volta che e svanito, mi metto ancora a cercarlo

Omelia sid Cantico dei Cantici, 1,7

Bernardo di Chiaravalle

Un altro illustre commentatore del Cantico dei Cantici, Bernardo di Chiaravalle, invita a varcare i secoli, e a considerare - ormai al termine dell’eta patristica - la traiettoria della cristologia in Occidente.

Com’e noto, la sua sollecitudine per 1’intima e vitale partecipazione del cristiano all’amore di Dio in Gesu Cristo non porta di per se orientamenti nuovi nello statuto della cristologia. Piuttosto il teologo viene configurato al contemplativo e al mistico.

Solo Gesu - protesta Bernardo dinanzi ai funambolismi dialettici del suo tempo - solo Gesu „e miele alla bocca, cantico all’orecchio, giubilo per il cuore”. Nelle estenuanti battaglie tra nominalisti e realisti, 1’abate di Clairvaux non si stanca di ripetere che uno solo e il nome che conta, ąuello di Gesu Nazareno. „Arido e ogni cibo dell’anima, se non e condito eon questo olio;

insipido, se non e condito eon ąuesto sale. Quello che scrivi non ha sapore per me, se non vi avró letto Gesu. Quando discuti o parli, nulla ha sapore per me, se non vi avró sentito risuonare il nome di Gesu. Gesu: miele nella bocca, canto nell’orecchio, giubilo nel cuore (mel in ore, in aure melos, in corde iubilus)” (Sul Cantico dei Cantici, 15, 3, 12-19).

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fi questa, in deflnitiva, la lezione piu importante che possiamo cogliere dai nostri Padri: la vera conoscenza di Gesu passa attraverso 1’amore; non si da un’autentica scientia Christi senza un innamoramento per Lui.

Enrico dal Covolo

Jezus Chrystus: Syn Boga, Syn Maryi Esej

S t r e s z c z e n i e

Autor przedstawia dzieje rozumienia tajemnicy Jezusa Chrystusa, prawdziwego Boga i praw­

dziwego człowieka, we wspólnotach chrześcijańskich pierwszych wieków. Jest przekonany o nor­

matywnym charakterze tych dziejów. Doświadczenie Kościoła aż do soboru chalcedońskiego stanowi stały punkt odniesienia dla chrześcijan wieków następnych. Znajomość dyskusji chrys­

tologicznej pierwszych wieków zapewnia poprawne podejście metodologiczne do chrystologii.

Celem dysput chrystologicznych była przede wszystkim odpowiedź na pytanie, Hm jest Jezus Chrystus, cóż to znaczy, że On, który jest Synem Boga, sam jest Bogiem.

Enrico dal Covolo

Jesus Christ: the Son of God, the Son of Mary An Essay

S u m m a r y

The present article concems the history of the understanding of the mystery o f Jesus Christ, truły God and truły man, in the Christian communes of the first centuries. The author is convinced of the normative naturę of that history. The experience of the Church until the Council of Chalcedon is the constant point of reference for the Christians of the later ages. The familiarity with the Christological debate o f the first centuries guarantees a correct methodological approach to Christology. The purpose of Christological discussions was first of all to find the answer to the problem who Jesus Christ is, and what it means that He, who is the Son of God, is Himself God.

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