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View of Theo-Christological inspiration of patristic anthropology

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Academic year: 2021

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Bazyli DEGÓRSKI O.S.P.P.E.*

L’ISPIRAZIONE TEO-CRISTOLOGICA

DELL’ANTROPOLOGIA PATRISTICA

L’antropologia patristica si presenta ricca e complessa, e, pur elaborando il medesimo dato rivelato, che fonda la tradizione specifica cristiana, si sviluppa in direzioni diverse e creative, a seconda delle condizioni storiche, culturali e teologiche, ma anche della sensibilità e le opzioni teoretiche delle differenti scuole, andando a comporre, al di là delle singole accentuazioni, un quadro interessante, coerente, e soprattutto originale.

A dispetto dell’abbondanza dei testi e dei documenti e della stessa impor-tanza della tematica, o forse proprio per l’eccessiva ampiezza della ricerca, sono relativamente pochi gli studi che focalizzano e sistematizzano l’antropo-logia patristica1.

Accingendosi a mettere ordine e selezionare il tracciato fondamentale del-la problematica, si può adottare un procedimento diacronico, che offre il van-taggio di evidenziare il progresso concettuale, ma che rischia di cadere in alcu-ne sovrapposizioni e di perdere di vista il alcu-nerbo dell’intuizioalcu-ne antropologica cristiana. Ed è per questo motivo che nel presente articolo si privilegerà uno schema tematico, che, pur rendendo conto dello sviluppo interno del pensie-ro, punti direttamente agli elementi teoretici fondamentali, forniti dai Padri in

* Prof. dr hab. Bazyli Degórski, O.S.P.P.E. – professore di patrologia e di teologia dogmatica

dell’età patristica presso la Pontificia Università S. Tommaso d’Aquino a Roma, e professore di patrologia e di antropologia patristica alla Pontificia Facoltà Teologica “Teresianum” a Roma; pro-curatore generale presso la Santa Sede; email: osppe.roma@gmail.com.

1 Cf. V. Grossi, Antropologia, DPAC I 254-262; idem, Lineamenti di antropologia patristi-ca, Roma 1983; B. Degórski, Visioni antropologiche dei Padri, in: Antropologia cristiana. Bibbia, teologia, cultura, ed. B. Moriconi, Roma 2001, 373-414; idem, Frange di eterodossia nelle fonti antropologiche di san Tommaso. L’utilizzazione dei testi origeniani, in: Persona Humana Imago Dei et Christi in Historia. Atti del Congresso Internazionale (Roma, 6-8 settembre 2000), Studia

Ponti-ficiae Universitatis a S. Thoma Aquinate in Urbe. Studi 1999-2000. Nuova serie 5, vol. 1: Sentieri, ed. M.M. Rossi – T. Rossi, Roma 2002, 183-200; idem, Wymiar etyczny antropologii

patrystycz-nej, in: Etyczna antropologia społeczna wobec nowych wyzwań polskich i europejskich. Materiały z sympozjum naukowego Państwowej Wyższej Szkoły Zawodowej we Włocławku, red. M. Włosiński,

Włocławek 2004, 23-32; idem, Ojcowie Kościoła o „człowieku wewnętrznym” i o „człowieku

ze-wnętrznym”, AK 151 (2008) fasc. 1 (596), 105-118; idem, LÒgoj and the Creation of the Human Being: Sketching the Patristic Thought, in: Logos et musica. In honorem Summi Romani Pontificis Benedicti XVI, Ars Musica 3, ed. E. Szczurko – T. Guz – H. Seidl, Frankfurt am Main 2012, 71-85.

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diversi contesti e generi, e talvolta in modo persino occasionale. Essi risultano essere sicuramente: l’orizzonte teologico, in cui si colloca ogni antropologia religiosa ma soprattutto quella cristiana che afferma vigorosamente l’analo-gia tra universo divino e universo umano; la prevalenza dello spirito e le sue espressioni eccellenti, che conduce alla considerazione del mondo interiore e del dominio morale.

I. L’INTUIZIONE ORIGINARIA

L’antropologia patristica scaturisce evidentemente dalla riflessione sui te-sti sacri, da cui risaltarono subito le coordinate fondamentali che la resero specifica ed esclusiva. In seno alla rivelazione, tutta interpretabile in chiave antropologica, i primi pensatori cristiani si concentrarono sui passi del Libro della Genesi e dell’epistolario paolino, che affrontano espressamente il tema della natura dell’essere umano e la sua vocazione trascendentale, accentuan-done talora l’orizzonte teologico in senso ampio, talaltra la rilevanza più mar-catamente cristologica.

1. Gli ingredienti fondamentali. È nel racconto delle origini,

logistica-mente posto all’inizio della Scrittura, che si presentano gli elementi essenziali della natura umana: la terra (cf. Gn 2, 7) e l’immagine di Dio (cf. Gn 1, 26). Due componenti ben diverse, l’una materiale l’altra immateriale, l’una fragile e caduca l’altra potenzialmente illimitata, l’una solidale con il mondo l’altra proiettata verso la realtà ultraterrena. Pertanto, nonostante si fosse compreso fin dal principio che si era davanti ad una concezione dell’uomo profondamen-te unitaria in quanto il linguaggio creazionistico evoca una profonda, reciproca ed esclusiva integrazione fra corpo e anima – ben diversa da visioni dualiste di matrice greca – questa prima intuizione non basta di per sé a garantire una con-cezione antropologica perfettamente equidistante sia dalle esagerazioni spiri-tualiste che dalle tentazioni materialiste. E infatti, nello sviluppo dei concetti di anima e di corpo e della loro interazione, si vennero ad evidenziare opzioni teoretiche diverse.

In linea generale, come è intuibile, la tradizione alessandrina e occidentale sottolineò la dimensione razionale dell’uomo, interpretando l’essere immagi-ne come la facoltà del noàj che è il costitutivo essenziale della persona, ma che, allo stesso tempo, si distingue da Dio in quanto sperimenta il limite della materia (cf. Gn 2, 7). Questo indirizzo antropologico delinea un’antropologia metafisica che tende a svilire la somaticità e la storicità dell’uomo, con pre-sumibili influssi platonici, e che prelude alla successiva ipotesi della “natura pura”2. La tensione morale, in questa ottica, riflette un certo contemptus mundi, 2 L’espressione tecnica formulata in seguito fu: homo in puris naturalibus e cioè un uomo senza

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e si sostanzia nell’affrancarsi dai vincoli della corporeità attraverso un’ascesi continua che configura a Cristo, modello antropologico e via per ritornare ad essere ciò che veramente si è.

La tradizione asiatica e antiochena, invece, fedele alle sue opzioni di fon-do, diede maggior rilievo alla formazione stessa del corpo umano, la pl£sij, e pose in primo piano l’uomo storico, che è immagine di Dio nella sua inte-rezza, cioè anche nella sua somaticità e non solo per la sua dimensione intel-lettiva, in quanto rimanda al proprio principio3. Anche il Verbo incarnato, del resto, è immagine di Dio e come tale, cioè come composto, è il modello etico dell’uomo4.

La valorizzazione della dimensione materiale, poneva la necessità di mar-care espressamente la vita spirituale; è per questo che in seno a questo filone venne in seguito distinto fra la carne, l’anima e lo spirito5, e venne risolto il problema della loro armonizzazione con la prospettiva dinamica dell’essere umano. Tale è il contributo in particolare di sant’Ireneo, che distingue il si-gnificato di “immagine” come costitutivo naturale dell’uomo e plasmata dal LÒgoj, dal senso di “somiglianza” che è riferita alla vita spirituale il cui pro-gresso è attribuito all’azione dello Spirito. L’essere a immagine e somiglian-za verrebbe, dunque, ad indicare il ricevere un’azione dall’esterno, costituita dall’Incarnazione del LÒgoj, e una interiore, attuata dallo Spirito. In questo senso l’essere umano può dirsi “pegno”6 dello Spirito7 e ricevere il compito di armonizzare dinamicamente le sue componenti:

“Perciò in tutto questo tempo l’uomo plasmato all’inizio per mezzo delle Mani di Dio, cioè il Figlio e lo Spirito, diviene ad immagine e somiglianza di Dio: la paglia, cioè l’apostasia, viene gettata via, mentre il frumento, cioè quelli che portano come frutto la fede in Dio, viene riposto nel granaio (cf. Mt 3, 12; Lc 3, 17). Perciò è necessaria la tribolazione per quelli che sono salvati, affinché, dopo essere stati in qualche modo tritati e impastati, siano adatti alla festa del Re […]”8.

tarda scolastica, per precisare il dominio della libertà rispetto alla trascendenza divina. Sul tema cf. V. Grossi, Baio e Bellarmino interpreti di s. Agostino nelle questioni del soprannaturale, Roma 1968.

3 Talora con esplicita opposizione alla scuola alessandrina, ad esempio in Diodoro di Tarso:

“Alcuni hanno pensato che la creazione dell’uomo, come immagine di Dio, si riferisca all’invisibili-tà dell’anima. Essi non hanno compreso che anche l’angelo e il demonio sono invisibili”

(Fragmen-ta ex catenis: In Genesin 1, 26, PG 33, 1564, trad. di B.D.).

4 Sant’Ireneo lo esprime in questi termini: “Dio sarà glorificato nel suo plasma reso conforme

e simile al Figlio suo” (Adversus haereses V 6, 1, ed. A. Rousseau – L. Doutreleau – Ch. Mercier, SCh 153, Paris 1969, 72, trad. di B.D.).

5 Cf. ibidem V 9, 1.

6 Cf. Tertullianus, De resurrectione mortuorum 6, 5. 7 Cf. Irenaeus Lugdunensis, Adversus haereses V 8, 2.

8 Irenaeus Lugdunensis, Adversus haereses V 28, 4, SCh 153, 360, trad. E. Bellini – G. Maschio,

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2. Estensioni e proiezioni. L’immagine e la somiglianza, oltre ad essere il

dato creazionale, sono proiettate verso la realizzazione finale della persona9. Si interessa a questo collegamento tra la protologia e l’escatologia anzitutto sant’Ireneo:

“[…] alla fine il Verbo del Padre e lo Spirito di Dio, unendosi all’antica so-stanza dell’opera, cioè di Adamo, ha reso l’uomo vivente e perfetto, capace di comprendere il Padre perfetto, affinché come tutti siamo morti nell’uomo animale, così tutti siamo vivificati nell’uomo spirituale (cf. 1Cor 15, 22). Ada-mo, infatti, non è mai sfuggito alle Mani di Dio, alle quali il Padre si rivolge dicendo: «Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza» (Gn 1, 26). Per questo alla fine «non per volontà di carne, né per volontà di uomo» (Gv 1, 13), ma per il beneplacito del Padre le sue Mani fecero l’uomo vivente, affinché Adamo diventi secondo l’immagine e la somiglianza di Dio”10.

Ma ancor più di Ireneo, si lascia condurre dalla riflessione circa la tensione tra il dato descrittivo e la dimensione dinamica san Clemente Alessandrino, che parimenti appunta la sua riflessione sul binomio immagine/somiglianza: la prima è un’identità potenziale, la seconda è la strada per inverarla e coinvolge l’impegno etico. In questo itinerario dal reale all’ideale, Cristo è ad un tempo modello e pedagogo, did£skaloj; infatti, il LÒgoj è e resta l’autentica imma-gine di Dio e come tale ne è il Rivelatore: “Il Cristo attuì pienamente questa parola, fu pienamente quello che Dio disse [in Gn 1, 26]; ogni altro uomo lo è solo secondo l’immagine”11.

Si approda così ad uno sviluppo ulteriore del tema dell’immagine, che non sarebbe attribuita primariamente alla creatura bensì al Verbo, e derivatamen-te all’essere umano, “immagine della immagine” o “secondo l’immagine”12. Ciò comporta che si ritorni a prediligere la razionalità, noàj, o comunque

9 Circa questo tema, cf. K.M. Woschitz, De homine. Existenzweisen, Spiegelungen, Konturen, Metamorphosen des antiken Menschenbildes, Graz – Wien – Köln 1984; A.G. Hamman, L’homme, image de Dieu. Essai d’une anthropologie chrétienne dans l’Église des cinq premiers siècles,

Re-lais-Études 2, Paris 1987; E. Testa, Lo sviluppo teologico della “Immagine e Somiglianza di Dio”

secondo la sinagoga, la filosofia e la fede cristiana, “Euntes Docete” 41 (1988) 33-80; K.E.

Bør-resen, Immagine di Dio e modelli di genere nella tradizione cristiana, in: Maschio Femmina.

Dall’uguaglianza alla reciprocità, ed. S. Spisanti, Milano 1990, 113-125.

10 Irenaeus Lugdunensis, Adversus haereses V 1, 3, SCh 153, 26-28, trad. Bellini – Maschio,

p. 413. Sant’Ireneo (Demonstratio praedicationis apostolicae 11), benché non sia sempre del tutto costante nella terminologia: dell’e„kèn, Ðmo…wsij e ÐmoiÒthj, riserva e„kèn all’uomo empirico e Ðmo…wsij alla somiglianza con Dio che avviene per opera dello Spirito. Nel medesimo contesto, dell’uomo in tensione tra l’immagine (la temporalità) e la somiglianza (il suo futuro definitivo), Tertulliano scriveva: “[…] imago in effigie, similitudo in aeternitate censentur” (De baptismo 5, 7, ed. J.G.Ph. Borleffs, CCL 1, Turnhout 1954, 282).

11 Clemens Alexandrinus, Paedagogus I 98, 3, ed. H.-I. Marrou – M. Harl, SCh 70, Paris 1960,

284, trad. di B.D.

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l’interiorità, nella definizione di persona, giacché è più espressamente simile al Verbo:

“Con immagine e somiglianza, non s’indica come abbiamo già detto, ciò che concerne il corpo – infatti non è possibile che il mortale sia simile all’immor-tale – ma ciò che concerne la mente e la razionalità”13.

La distinzione tra immagine in senso statico e immagine in senso dina-mico, introdotta da Ireneo e Clemente, sollecita anche ad una proiezione fu-tura dell’immagine, che è tematizzata maggiormente da Origene. Anch’egli è attratto dal suggestivo e ricco concetto dell’e„kèn di Dio, ma ne intravede subito il carattere venturo: la rivelazione perfetta dell’immagine, cosìcome la sua realizzazione piena, appartengono al futuro, con le evidenti ripercussioni ascetiche e mistiche.

La riflessione più matura su questi brani biblici si porta sull’approfondi-mento del concetto di persona e sulla valenza trinitaria.

Al primo ambito si dedica in particolare san Gregorio di Nissa, sensibilis-simo al tema dell’immagine divina che, infatti, ricorre in più contesti: nel De

oratione dominica orationes V14, nelle Orationes VIII de beatitudinibus15 e, na-turalmente, nel De opificio hominis16. Egli vede chiaramente l’enorme portata della rivelazione biblica, in grado di fornire un concetto di persona, di fondarne la dignità, e di giustificarne l’insopprimibile comunione con Iddio stesso:

“Non si tratta qui di qualche meraviglia del mondo che ha interesse seconda-rio, si tratta di una realtà che senza alcun dubbio supera in grandezza tutto ciò che conosciamo, poiché l’umanità sola è, fra gli esseri, simile a Dio”17.

La grandezza, di cui il soggetto umano è portatore, è una prerogativa pre-ziosa che richiama costantemente all’impegno morale, che i Cappadoci appro-fondiscono a proposito del precetto del libro del Deuteronomio (4, 9): “Fa’ at-tenzione a te stesso”; il monito biblico, oltre a porsi come la proposta cristiana antagonista del “conosci te stesso” greco, starebbe ad orientare costantemente alla suprema realtà dell’essere umano.

Al secondo ambito, cioè al riferimento trinitario insito nella dottrina della

imago, si dedica prevalentemente sant’Agostino. Per lui, la struttura

antropolo-gica testimonia della somiglianza con tutto Dio, cioè con le Sue relazioni per-sonali; infatti, nell’uomo troviamo la struttura mens (come memoria sui)-notitia l’uomo, a sua volta, è immagine. Immagine dell’uomo non è, quindi, il LÒgoj in sé, ¥sarkoj, bensì il LÒgoj incarnato, che rende possibile l’incorruttibilità (¢fqars…a).

13 Clemens Alexandrinus, Stromata II 19 (102, 6), ed. L. Früchtel, GCS 52 [15], Berlin 1960,

169, trad. di B.De.

14 PG 44, 1120-1193. 15 PG 44, 1193-1301. 16 PG 44, 124-256.

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(come intelligenza)-amor o memoria-intelligentia-voluntas: la mens è imma-gine del Padre; l’intelligenza del Figlio-Verbo-Verità; l’amore dello Spirito18. E le funzioni antropologiche che scaturiscono da questa struttura confermano l’impronta trinitaria: l’uomo tende verso l’archetipo attraverso la conoscenza, possibile grazie alla funzione del Verbo19, e la volizione, possibile grazie all’a-zione santificatrice dello Spirito, che conforma l’appetito al Sommo Bene.

L’originaria e originale definizione di essere umano, presente nelle pagi-ne della Scrittura, dunque, implicò fin dall’inizio della riflessiopagi-ne cristiana la chiara consapevolezza della dignità che deriva all’essere umano dalla sua re-lazione a Dio, il suo carattere personale e la sua vocazione. Tale eccellenza, tuttavia, si trova immersa nella caducità della materia, composizione che ren-de l’essere umano una creatura singolare, perché impegnata in un dinamismo conflittuale – e libero – necessario per realizzare compiutamente le sue prero-gative. Il corpo, tempio dell’anima, non è necessariamente negativo; tuttavia, la maggioranza degli Autori propende per collocare nel noàj, “la parte più sottile dell’anima”, o nelle espressioni spirituali del soggetto umano, la sede della somiglianza; ciò non senza esasperazioni, soprattutto allorquando si am-plifichi il discorso nella sua dimensione futura. Tale è, ad esempio, l’errore di Origene che, spingendo alle ultime conseguenze la tesi di una somiglianza noetica, in fase di elaborazione escatologica concepisce una reintegrazione a livello dello “spirito”, o di “angelo”, che, nonostante l’offuscamento dovuto alla tunica di pelle20, rimane sostanzialmente inalterato.

Questi spunti vetero-testamentari reclamano un’interpretazione neo-testa-mentaria, che fu elaborata dagli stessi Autori in chiave cristologica, anche in questo caso non scevra da accentuazioni e tentennamenti, ma sostanzialmente coesa e suggestiva.

II. L’ERMENEUTICA CRISTOLOGICA

La narrazione della creazione provvede gli elementi costitutivi dell’essere umano, ma, a motivo dell’unitarietà del dato rivelato, non può restare estra-nea agli altri pilastri della rivelazione cui lo stesso protovangelo è strettamen-te collegato, in particolare l’Incarnazione del Verbo, che eleva la corporeità alla dignità di sostrato della Persona di Cristo, e la risurrezione dei corpi, che dichiara la materia come inelusibile nella definizione della persona. I Padri colsero questa profonda coerenza e lessero il tema dell’immagine in chiave cristologica ed escatologica.

18 Cf. Augustinus Hipponensis, De Trinitate XV 3, 5. 19 Cf. idem, Confessiones III-VIII.

20 Origene pare abbia sempre oscillato tra cristianesimo e platonismo. Sul tema cf. M.

Simonet-ti, Alcune osservazioni sull’interpretazione origeniana di Genesi 2, 7 e 3, 21, “Aevum” 36 (1962) 370-381.

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1. Un problema previo. L’ampliamento dell’intuizione creazionista con le

implicazioni cristologiche presupponeva, naturalmente, una riflessione com-piuta sulla natura e la funzione del Verbo; diversi furono gli Autori che si dedicarono alla problematica in sé e nelle sue relazioni antropologiche. Tra essi spicca san Giustino che più espressamente approfondisce la complessa problematica del concetto di LÒgoj. La sua posizione è la risultante dei diversi influssi del platonismo, dello stoicismo e del giudaismo21, giacché il noàj pla-tonico s’identifica con il pneàma stoico e con la “sapienza” giudaica, e presen-ta alcune prerogative: anzitutto il LÒgoj è mediazione necessaria per l’azione divina che è assolutamente trascendente, e, quindi, era presente nella creazio-ne; in secondo luogo, la Persona del LÒgoj assume la natura umana e, quindi, non può restare estranea alla definizione della stessa; in terzo luogo, il LÒgoj incarnato22 rivela il fine supremo dell’essere umano, cioè il ritorno al Padre.

Ne consegue che il LÒgoj si pone all’origine del cosmo e, soprattutto, resta impresso nella natura dell’essere umano, per cui influisce direttamente sulla sua comprensione. Proprio per questo, la persona appare come “seme del Verbo”, spšrma toà LÒgou23, espressione che abbraccia sia l’appartenere alla sfera del divino, sia l’essere razionale24; altrove san Giustino racchiuderà que-ste due dimensioni costitutive del soggetto nell’unico termine logikÒj25 che esprime etimologicamente l’appartenenza al LÒgoj, Verbo di Dio.

Sviluppando, invece, l’azione soterica del LÒgoj, san Giustino ravvisa che il Verbo è principio e criterio dell’agire morale, giacché, redimendolo, ha reso l’essere umano conforme all’immagine divina; all’uomo non resta che agire secondo il modello del LÒgoj cioè in modo razionale e libero, per far prevalere il suo essere logikÒj sull’uomo carnale, ¥nqrwpoj sarkikÒj26: “Egli [= Dio] persuade e mena alla fede noi che, grazie alla capacità razionale che egli ci ha dato, abbiamo scelto di seguire ciò che a lui piace”27.

Vi è un’ultima funzione del LÒgoj che san Giustino individua e teorizza: la funzione sacerdotale, che consiste nella mediazione tra Dio e il cosmo28; anch’essa ha una ripercussione sulla definizione dell’essere umano poiché, in quanto immagine di Cristo, deve corrispondere anche a questa prerogativa, rendendo presente Dio nel cosmo29 attraverso la sua azione morale, che è quel-la conforme all’azione divina e cristica:

21 Cf. Iustinus, Apologia I 20, 2; 26, 5; 59, 5; idem, Apologia II 10, 6. 22 Cf. idem, Apologia II 10, 1.

23 Cf. idem Apologia I 5, 4; 23, 2; 46, 5; idem, Dialogus cum Tryphone Iudaeo 98, 1. 24 Cf. idem, Apologia II 13, 5.

25 Cf. ibidem.

26 Cf. idem, Apologia I 43, 3. 8.

27 Ibidem 10, 4, PG 6, 341A, trad. di B.D. 28 Cf. ibidem I 10, 2.

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“Dio non creò il mondo senza uno scopo, bensì per il genere umano; […] egli si compiace di colui che cerca di imitare le sue virtù […]. Se ci uccidessimo tutti […] nessuno più si istruirebbe negli insegnamenti divini”30.

Un’unica azione, dunque, quella imitativa di Cristo, divinizza l’uomo e umanizza il cosmo, avvicina l’essere umano a Dio e rende presente Dio al mondo:

“Colui che ama il prossimo deve, perciò, pregare e sforzarsi, affinché il suo prossimo abbia le medesime cose che possiede lui. Prossimo dell’uomo non è nient’altro se non l’animale razionale di pari condizione, ossia l’uomo. Dato che tutta la giustizia si divide in due parti – nei confronti di Dio e nei confronti degli uomini – il vero giusto sarà colui che, come dice la parola, «ama il Si-gnore Dio con tutto il cuore e con tutta la forza, e il prossimo come se stesso» (Lc 10, 27)”31.

Il primo assunto, che scaturisce dalla riflessione di san Giustino riguardo il riferimento imprescindibile dell’essere umano al LÒgoj32, stabilisce, pertanto, un’analogia tra la funzione intermediaria che il LÒgoj svolge tra Dio e la crea-zione33, e la medesima funzione che l’uomo svolge in seno al creato34.

Con san Giustino, anche alcuni rappresentanti della scuola alessandrina condividono il presupposto della mediazione universale del Verbo e, quin-di, una concezione dell’uomo come immagine di Dio mediata, o immagine dell’Immagine, o immagine “dipinta” dal Verbo. San Clemente di Alessandria e Origene, in particolare, influenzati dalla teoria filoniana del LÒgoj come ar-chetipo di lÒgoi intermedi fra Dio e l’universo e in quanto tale sola immagine divina35, condividono l’idea di un’immagine dell’Immagine, e la ravvisano nella parte spirituale dell’essere umano, nell’anima che essi definiscono yuc¾ logik» con chiaro riferimento etimologico.

Di più, costoro aggiungono alla riflessione sull’immagine in chiave cristo-logica anche l’elemento del peccato, strettamente connesso alla dottrina sul Verbo incarnato, e propongono di definire l’uomo a partire dalla sua facoltà superiore, denominata noàj o LÒgoj stesso, che è propriamente sede dell’im-magine divina e origine dell’agire libero. Solo questa sarebbe stata originaria-mente creata – e, quindi, dotata della prerogativa di essere immagine –, ma, in seguito alla caduta, si sarebbe raffreddata e commista alla dimensione emoti-va. Nell’azione riparatrice di Cristo, tuttavia, viene data la possibilità del recu-pero dell’incorruttibilità originaria, cioè della natura di immagine dell’essere

30 Ibidem, PG 6, 452, trad. di B.D.

31 Idem, Dialogus cum Tryphone Iudaeo 93, 3, PG 6, 697 B-C, trad. di B.D. 32 Cf. idem, Apologia II 10, 1.

33 Cf. idem, Apologia I 61, l.

34 Cf. ibidem 62; 65, 1; idem, Apologia II 8, 3; idem, Dialogus cum Tryphone Iudaeo 138, 2. 35 Cf. Philo Alexandrinus, Quis rerum divinarum heres sit 230; idem, De specialibus legibus 3, 83.

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umano, che potrà essere conseguita solo attraverso l’impegno morale, con-sistente nell’agire conformemente a Cristo. È, questo, un senso dinamico dell’essere immagine, che si diparte dalla e termina alla salvezza di Cristo:

“Quale altra è dunque l’immagine di Dio, a somiglianza della quale l’uomo è stato fatto, se non il nostro Salvatore? […] Guardiamo, dunque, sempre que-sta immagine di Dio, per poter essere di nuovo formati a sua somiglianza”36.

Questo processo di raggiungimento morale dell’essere immagine viene concepito come una progressiva assimilazione a Cristo, Ðmo…wsij, un passag-gio dall’essere seme, spšrma, all’essere figlio, tšknon, la deificazione.

Il riferimento cristologico, dunque, grazie all’insegnamento degli Ales-sandrini, si estende alla problematica del peccato, della grazia, della sequela e dell’impegno morale, parti integranti della riflessione antropologica.

Infine, la comprensione previa del LÒgoj, non può prescindere dal pro-blema della consustanzialità. È sant’Atanasio ad apportare questo contributo prezioso per le ricadute antropologiche, giacché, oltre a respirare l’atmosfe-ra alessandrina, il Vescovo vive il dibattito niceno. Proclamare la fede nella consustanzialità del Figlio, ÐmooÚsioj, vuol dire introdurre un’interpretazione più marcatamente ontologica dell’immagine: l’immagine va interpretata alla luce delle relazioni intra-trinitarie del LÒgoj37, alla luce della sostanza di Cri-sto rispetto alla sostanza del Padre38. Di conseguenza, l’essere logikÒj vorrà dire partecipare, per grazia, alla natura ontologica del Verbo, cioè essere ad un tempo immagine e figlia del Padre39, e possedere la potenza del LÒgoj40, in virtù della quale contemplare le realtà divine e intelligibili (t¦ Ônta e t¦ noht£) oltre a quelle sensibili (t¦ a„sqht£ e t¦ ¢nqrwp…na) essere in rela-zione, attraverso lo stesso LÒgoj, al Padre41, e, infine, orientare la propria vita alla comunione gloriosa42.

In questa condivisione delle prerogative del Verbo, in questa partecipa-zione alla conoscenza di Dio43, con tutto ciò che essa comporta44, in questa possibilità di recuperare l’incorruttibilità (¢fqars…a)45, si tratteggia l’unici-tà dell’essere umano rispetto agli altri esseri creati, t¦ ¥loga, che lo rende

36 Origenes, In Genesin hom. 1, 13, ed. L. Doutreleau, SCh 7bis, Paris 1976, 60-62, trad. di B.D. 37 Cf. Athanasius Alexandrinus, Orationes contra Arianos I 41.

38 Cf. idem, Epistula de decretis Nicaenae Synodi 20; idem, Orationes contra Arianos III 11. 39 Cf. idem, Orationes contra Arianos III 10.

40 Cf. idem, Oratio de Incarnatione Verbi 3, 3. 41 Cf. idem, Oratio contra gentes 2.

42 Cf. ibidem. 43 Cf. ibidem. 44 Cf. ibidem 7.

45 L’¢fqars…a è la prerogativa divina della vita che non cessa mai. L’uomo è, invece, soggetto

alla morte, q£natoj (l’inizio della corruttibilità), e alla fqor£ (il processo stesso di decomposizio-ne). Cf. Athanasius Alexandrinus, Oratio de Incarnatione Verbi 3, 4; 5, 2.

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soggetto della grazia e dell’azione salvifica46, e ingloba nel concetto di essere a immagine la realtà della figliolanza divina.

La riflessione sul LÒgoj diviene in questi Autori un principio ermeneutico antropologico ricco di implicazioni, che consente di contestualizzare il dato creazionistico nell’alveo di tutto il dinamismo della storia della salvezza.

2. Il rovesciamento della prospettiva. Anche nella tradizione patristica in

Occidente si coniuga la riflessione antropologica con il mistero cristologico, a partire non già dalla dottrina sul LÒgoj, bensì dal mistero dell’Incarnazio-ne, cioè assumendo come criterio di comprensione della natura umana il Dio-Uomo, perché è questi l’immagine perfetta di cui si parla in Gn 1, 26. Tale è la netta opzione teologica di Ireneo, che si pone come un rovesciamento della prospettiva orientale:

“Nei tempi passati si diceva bensì che l’uomo è stato fatto ad immagine di Dio, ma non appariva tale, perché era ancora invisibile il Verbo, ad immagine del quale l’uomo era stato fatto: e appunto per questo facilmente perse la so-miglianza. Ma quando il Verbo di Dio si fece carne (cf. Gv 1, 14), confermò l’una e l’altra cosa: mostrò veramente l’immagine, divenendo egli stesso ciò che era la sua immagine, e ristabilì saldamente la somiglianza, rendendo l’uo-mo simile al Padre invisibile attraverso il Verbo che si vede”47.

L’immagine, infatti, indica la visibilità, e Dio invisibile si è reso visibile non tanto nel LÒgoj quanto piuttosto nel Verbo fatto carne; Cristo, dunque, può dirsi immagine di Dio in quanto rivela, rende accessibile il mistero di Dio, e, allo stesso tempo, può dirsi modello di umanità in quanto ne assume la natura non corrotta dal peccato:

“La Scrittura dice che Cristo, pur essendo Spirito di Dio, doveva diventare uomo soggetto alla sofferenza e manifesta in un certo modo sorpresa e sgo-mento davanti alla Passione per il fatto che doveva soffrire, Lui alla cui ombra abbiamo detto che saremmo vissuti (cf. Lam 4, 20 – secondo la Septuaginta). «Ombra» significa il suo corpo, perché come l’ombra è creata da un corpo, cosìil corpo di Cristo fu creato dal suo Spirito”48.

Questa impostazione era gravida di conseguenze a livello antropologico, anzitutto perché gettava nuova luce sui rapporti tra il Verbo e l’essere uma-no, in quanto nella letteratura antica Cristo era rappresentato piuttosto come

46 Cf. idem, Oratio contra gentes 46; idem, Oratio de Incarnatione Verbi 13, 7; idem, Orationes contra Arianos III 10.

47 Irenaeus Lugdunensis, Adversus haereses V 16, 2, SCh 153, 216, trad. Bellini – Maschio,

p. 422.

48 Idem, Demonstratio praedicationis apostolicae 71, ed. A. Rousseau, SCh 406, Paris 1995,

184, trad. E. Bellini – G. Maschio, in: Ireneo di Lione, Contro le eresie e agli altri scritti, p. 517. Cf. anche Tertullianus, De resurrectione mortuorum 6, 3-4.

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l’antitipo di ogni evento e dello stesso essere umano. In secondo luogo – e in ciò si sostanzia l’originalità della lettura di Ireneo rispetto agli altri pensato-ri, pure convinti del contributo cristologico alla comprensione del dato crea-zionistico49 –, perché consentiva di riabilitare automaticamente la corporeità umana, immagine dell’Uomo Cristo, di contro alle sempre insidiose tendenze spiritualiste di matrice gnostica che condannavano la materia come irredimibi-le: “ciò che è materiale non è capace di salvezza”, un assunto lo stesso Ireneo riporta e combatte50.

Ireneo, dunque, non si ferma semplicemente a svelare il ruolo dell’unio-ne ipostatica ai fini dell’interpretaziodell’unio-ne antropologica, ma riscopre l’integrità dell’essere umano nella sua inscindibile relazione anima-corpo, non più limi-tata alla sola considerazione della razionalità:

“Dunque la carne non è sottratta all’arte, alla sapienza e alla potenza di Dio, ma la sua potenza, che procura la vita, si esprime perfettamente nella debo-lezza (cf. 2Cor 12, 9), cioè nella carne. Del resto quanti dicono che la carne non può accogliere la vita data da Dio, ci dicano se dicono questo essendo ora vivi e partecipi della vita o ammettono di non aver assolutamente nessuna vita e di essere morti al presente. Ma se sono morti, come possono muoversi, parlare e fare tutte le altre cose, che sono opere non di morti, ma di viventi? E se ora vivono e tutto il loro corpo partecipa della vita, come possono dire che la carne non può partecipare della vita, se ammettono che al presente ha la vita? È come se uno, tenendo in mano una spugna piena d’acqua e una torcia accesa, dicesse che la spugna non può accogliere l’acqua o la torcia la luce. Così costoro che dicono di vivere e si vantano di portare la vita nelle proprie membra, ma si mettono poi in contraddizione con se stessi, dicono che le loro membra non possono accogliere la vita. Ora se questa vita del tempo, che è molto più debole della vita eterna, è tanto potente da vivificare le nostre membra (cf. Rm 8, 11), perché la vita eterna, che è più efficace di questa, non dovrebbe vivificare la carne già esercitata ed abituata a portare la vita? Dun-que che la carne può accogliere la vita, lo si dimostra fin da Dun-questa vita: essa, infatti, viene tanto quanto Dio vuole che viva. D’altra parte è chiaro che Dio è capace di darle la vita, perché viviamo in quanto egli ci dà la vita. Essendo dunque Dio capace di vivificare la sua creatura ed essendo la carne capace di essere vivificata, che cos’altro le può impedire di partecipare dell’incorrutti-bilità, che è una vita lunga e senza fine data da Dio?”51.

49 Cf. Epistula Barnabae 5, 5; Iustinus, Dialogus cum Tryphone Iudaeo 6, 1-2; Theophilus

Antiochenus, Ad Autolycum II 18.

50 Cf. Irenaeus Lugdunensis, Adversus haereses I 6, 1. Cf. anche Tertullianus, Adversus Valen-tinianos 26, 2.

51 Irenaeus Lugdunensis, Adversus haereses V 3, 3, SCh 153, 48-54, trad. Bellini – Maschio,

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L’eredità di Ireneo viene raccolta, tra gli altri, anche da Tertulliano. Egli anzitutto si pone nel solco della funzione ermeneutica dell’Incarnazione nei confronti dei versetti sulla creazione: “Nel limo che prendeva forma si pensa-va a Cristo che sarebbe divenuto uomo”52; non dubitando che la prerogativa di immagine appartiene al Cristo:

“Il Figlio, destinato a divenire uomo più certo e più vero, aveva fatto sì che fosse detto a sua immagine quell’uomo che allora veniva formato col fango, immagine e somiglianza del vero uomo”53.

E, di conseguenza, rivaluta l’unità sostanziale dell’essere umano:

“L’uomo può essere definito propriamente come carne […], affinché tu sap-pia che tutto ciò che Dio ha profetato e promesso all’uomo non riguarda solo l’anima ma anche la carne […]”54.

Un’eccessiva insistenza sulla corporeità, tuttavia, presente nello stesso Tertulliano allorquando afferma che “la carne è il cardine della salvezza”55, finì con il provocare dottrine eterodosse; basti pensare alla posizione di Nestorio, per il quale l’immagine è legata direttamente alla carne del LÒgoj, con un’ac-centuazione della imago qua caro-Verbi rispetto alla imago qua Verbum-caro di sant’Ireneo.

Una posizione intermedia tra l’assunzione della cristologia ontologica e intratrinitaria di stampo alessandrino56 e quella incarnazionista di Ireneo e degli occidentali, fu tenuta da alcuni rappresentanti della scuola antiochena, che trassero avvio dal brano di Col 1, 15 in cui Cristo viene detto immagine di Dio; sebbene la scelta del contesto neo-testamentario alluda piuttosto alla lettura cristologica, soteriologica ed escatologica, quindi, all’ispirazione irene-ana, tuttavia la definizione di natura umana assunta dal Salvatore è ricercata da costoro nella narrazione della Genesi. Così, ad esempio, Teodoro di Mopsue-stia, che sostiene che Cristo si sia incarnato secondo la natura umana descritta in Gn 1, 26, non che l’uomo del racconto della creazione debba essere letto alla luce dell’Incarnazione.

In tal modo, recide i presupposti cristologici dell’essere immagine, a van-taggio di una comprensione antropologica del mistero dell’Incarnazione, dove emerge la priorità della natura umana nel mistero dell’homo assumptus. In questo stesso senso, egli inquadra anche il passo di 1Cor 15, 45-49 dove Cristo

52 Tertullianus, De resurrectione mortuorum 6, 3, ed. J.G.Ph. Borleffs, CCL 2, Turnhout 1954,

928, trad. di B.D.

53 Idem, Adversus Praxean 12, 4, ed. A. Kroymann – E. Evans, CCL 2, 1173, trad. di B.D. 54 Idem, De resurrectione mortuorum 5, 8-9, CCL 2, 927, trad. di B.D.

55 Ibidem 8, 2, CCL 2, 931, trad. di B.D.

56 Con qualche eccezione, ad esempio da parte di san Giovanni Crisostomo (In epistulam ad Colossenses hom. 3, 1-2).

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è presentato come il “nuovo Adamo”: la cristologia viene ricollocata nell’o-rizzonte dell’antropologia. Ciò nonostante, la posizione del Mopsuestiano, co-munque fondata sulla lettera neo-testamentaria, rimane aperta alle connessioni salvifiche e morali, e pone, quale condizione per la reintegrazione dell’imma-gine divina frantumata dal peccato, l’imitazione di Cristo.

Alle schiere dei pensatori che eleggono la cristologia quale principio erme-neutico dell’antropologia si può ascrivere anche Agostino, per la sua sottoline-atura soteriologica57. Impegnato come è sul fronte del peccato e della grazia, il cui orizzonte di lettura resta teo-cristologico, ritiene l’essere immagine dono di Dio e frutto del perdono meritato da Cristo, rifiutando il quale l’uomo si destina al proprio annientamento, ed è, allo stesso tempo. Anche l’Ipponate, peraltro, appunta alcune riflessioni sul versetto di Col 1, 15, sottolineando che, se Cristo è immagine, l’uomo può essere detto “ad immagine”58.

Si assiste, dunque, ad una varietà di posizioni pur all’interno della stessa intuizione, quella cioè di estendere la considerazione antropologica alla realtà cristica. Una robusta riflessione sul LÒgoj si rivela presupposto imprescindibi-le per una compiuta antropologia; tuttavia, la stessa rivelazione del LÒgoj pas-sa attraverso la natura umana, il linguaggio e la comprensione umana, dando luogo ad un’ermeneutica circolare, in seno alla quale gli Autori si muovono in modo creativo, cercando soprattutto la coerenza del dato biblico, senza decide-re mai del tutto se la primazia vada al testo di Genesi rispetto a quelli paolini, o, se si vuole, alla lettura intra-trinitaria del LÒgoj rispetto a quella economica59. Non mancano quanti evitano programmaticamente di riferire l’essere immagi-ne al Verbo; ad esempio i Cappadoci60 si limitano ad affermare che la struttura costitutiva della persona sta nella sua partecipazione all’intelligenza e al pen-siero, che sono propri del Creatore e che si realizzano nella libertà concessa anche all’uomo. Per loro, il termine e„kèn è ormai troppo intriso di equivoci dottrinali, pertanto è meglio riservarlo alla Trinità come tale; prudenza che tese ad affermarsi sempre più in seguito. Non mancano neppure quanti condivido-no i presupposti e le scelte testuali ma le interpretacondivido-no in senso opposto alla lettura incarnazionista. Ilario di Poitiers, ad esempio, condivide di chiamare in gioco il testo di Col 1, 15, per uscire da possibili polemiche o necrosi della

57 Tra tanti studi concernenti l’antropologia di sant’Agostino, cf. ad esempio: M.M. Campelo, Los valores de la intimidad. Iniciación a una antropología agustiniana, EstA 20 (1985) 181-225;

21 (1986) 149-181 e 521-566; F. Letizia, El hombre según san Agustín, “Quadernos Monásticos” 22 (1987) 51-60.

58 Cf. Augustinus Hipponensis, De Trinitate VI 2, 3; VII 2, 3; VII 3, 5.

59 Epifanio di Salamina riporta in proposito la raccomandazione di un monaco: “Non bisogna

affatto definire o asserire a quale parte si riferisca l’espressione a nostra immagine, ma bisogna ri-conoscere che l’espressione si riferisce all’uomo, per non respingere la grazia di Dio e per non man-care la fede in lui” (Panarion LXX 2, 7, PG 42, 341C, trad. di D. Ciarlo, in: Epifanio di Salamina,

Panarion, eresie 67-73, Collana di testi patristici 235, Roma 2014, 141). 60 Cf. ad es. Gregorius Nyssenus, De opificio hominis 30.

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riflessione orientale61; nondimeno, ritiene che “immagine”, riferita a Cristo, sia da intendersi come sinonimo di “Figlio”62 e, quindi, stabilisca i rapporti intra-trinitari, piuttosto che antropologici, cosicché la creazione dell’uomo e il suo essere immagine vadano comunque appropriati all’intera Trinità63.

***

La concezione dell’essere umano dei Padri costituisce una novità assolu-ta nel quadro del mondo classico – e delle antropologie contemporanee – in quanto, mentre affermava il mistero del Dio fatto carne, ancorava il principio ermeneutico dell’antropologia alla stessa natura divina. Ciò comportò la dif-ficoltà di mantenere le distanze dal pensiero pagano, pur esprimendosi talora mediante le medesime categorie linguistiche.

D’altronde, il processo di inculturazione, prerogativa specifica della rivela-zione cristiana, impone l’accoglimento delle intuizioni esatte del pensiero an-tico, frutto comunque della razionalità umana, senza rinunciare alla specificità della rivelazione.

I Padri si imbarcarono in questo faticoso ma proficuo lavoro di discernimen-to del pensiero antico, e, con misure e accenti diversi, elaborarono una conce-zione dell’uomo culturalmente, e non solo teologicamente, viabile e rilevante.

Un importante ambito, dove più evidente appare la polemica con il pen-siero pagano, è costituito dalla concezione dell’uomo come microcosmo, cioè costituito dai quattro elementi dell’universo64, teoria che rischiava di annegare il carattere singolare e peculiare della persona. Così, se da una parte i primi Apologeti non rifiutano la composizione materiale dell’uomo, dall’altra ne af-fermano vigorosamente la spiritualità, la presenza di “quello spirito divino” che rende simili a Dio65. Affiora la distinzione tra lo spirito in senso proprio e il principio di animazione della materia, cosiddetto “spirito materiale”66: L’uomo si compone di quattro elementi e consta di anima e di spirito67. Talvolta l’af-fermazione dell’esistenza dell’anima come soffio vitale divino e sigillo dello Spirito68 conosce toni anche più aspri:

61 Cf. Epiphanius Constantiensis, Panarion LXX 2, 7. 62 Cf. Hilarius Pictaviensis, De Trinitate II 1. 63 Cf. ibidem IV 17-20.

64 Cf. Empedocles, frammenti: 6, 8 e 9, in: I presocratici. Prima traduzione integrale con testi originali a fronte delle testimonianze e dei frammenti di Hermann Diels e Walther Kranz, ed. G.

Re-ale, Milano 2006, 112-148.

65 Cf. Tatianus Syrus, Oratio ad Graecos 12, 1. 66 Cf. ibidem 4, 2.

67 Cf. Aristides Atheniensis, Apologia 7, 1. 68 Cf. Melito Sardensis, De Pascha 54, 397-402.

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“L’uomo non è, come sostengono quelli dalla voce di corvo, un animale ra-zionale capace di intelletto e di scienza […]. L’uomo è soltanto immagine e somiglianza di Dio”69.

Grazie soprattutto a Giustino si prendono le distanze opportune da ogni possibile fraintendimento riguardo la natura dello spirito: essa non deve essere interpretata in opposizione all’origine terrena dell’essere umano, contro l’ipo-tesi di Filone Alessandrino e degli gnostici della duplice creazione dell’uomo, per la quale l’uomo a immagine e somiglianza di Gn 1, 26 sarebbe distinto dall’uomo tratto dalla polvere di Gn 2, 7. Giustino si oppone altresì all’ipotesi, sempre di matrice giudaica e gnostica, che l’essere umano sia stato creato da potenze angeliche, o che sia il frutto di una caduta nella materia70. L’idea, oltre che in Giustino71, non è accolta dagli altri autori72. In dialogo con le suggestioni platoniche, però, accoglie l’idea della parentela dell’uomo con Dio, che entre-rà nella tradizione cristiana come la teoria dell’anima naturaliter christiana73. Da annotare che, mentre per Platone la connaturalità con la natura divina si fondava unicamente sul noàj in quanto particella del noàj sovrano, per san Giustino si tratta di una connaturalità con la ragione divina disseminata nel mondo74 che consente di stabilire l’assimilazione per via di virtù. Ciò diede avvio ad una progressiva eticizzazione della natura dell’imitazione proposta dai Platonici75.

Un altro ambito, problematico ancor più del primo per quanto riguarda il dialogo con la cultura, era costituito dai rapporti tra anima e corpo; infatti, il pensiero antico, pur avendo affermato la spiritualità della persona, non era mai riuscito a conciliarla con la corporeità. È ancora Giustino a puntualizzare la posizione cristiana, consapevole dell’opposizione platonico-stoica tra il corpo carnale e il noàj, e della distinzione tra anima inferiore, legata all’animazione

69 Tatianus Syrus, Oratio ad Graecos 15, PG 6, 837, trad. Bazyli Degórski. Cf. anche

Athena-goras Atheniensis, De resurrectione mortuorum 12; Epistula ad Diognetum 10, 2; Iustinus, Dialogus

cum Tryphone Iudaeo 4, 2-3.

70 Alcuni ricavavano la distinzione anche dai verbi differenti presenti in Gn 1, 26 e Gn 2, 7:

poišw.

71 Cf. Iustinus, Dialogus cum Tryphone Iudaeo 40, 1; 61, 2

72 Cf. ad es. Clemens Romanus, Epistula ad Corinthios 33, 4 ss.; Epistula ad Diognetum 10, 2. 73 Cf. Tertullianus, Apologeticum 18, 6; idem, De testimonio animae 1, 5 ss.; Iustinus, Dialogus cum Tryphone Iudaeo 4, 1-2.

74 Cf. Iustinus, Apologia II 13, 3.

75 Cf. idem, Dialogus cum Tryphone Iudaeo 4, 3. L’imitazione di Dio è espressa da Giustino con

la categoria dell’¢p£qeia, presa nel senso di vivere secondo il LÒgoj (cf.Apologia I 13, 4; 20, 2; 25, 2; idem, Apologia II 8, 1; 13, 3; idem, Dialogus cum Tryphone Iudaeo 88, 5; 93, 1; 124, 2; 141, 1). In Platone m…mhma ha una mera connotazione cosmologica di rapporto tra la realtà terrestre e il mondo delle idee. Sull’imitazione del Verbo incarnato cf. anche Iustinus, Apologia I 10, 4; 12, 7; 47, 2; ibid, Apologia II 2, 4; 7, 8-9.

(16)

del corpo, e anima superiore, responsabile della vita intellettiva76.

La dottrina si specifica ancor più efficacemente, rispetto ai retaggi elleni-stici, se collegata alla dottrina della resurrezione77, della visione di Dio e della comunione con Lui nella carità, cioè nel dono che consente di passare dallo stato di figlio della necessità e dell’ignoranza a quello di figlio di elezione e di scienza78.

I Padri di formazione alessandrina sembrano concedere di più al platoni-smo e al medio-platoniplatoni-smo filoniano, quando descrivono le proprietà dello spirito, giacché accolgono le tesi della parentela con Dio, della divinità dell’a-nima e della conoscenza di Dio da parte dell’intelletto umano che ne riceve l’assimilazione79. Tuttavia, ne correggono alcuni tratti essenziali: in primo luo-go, perché rifiutano l’identificazione dell’immagine sia con il cosmo, secondo l’opzione platonica, sia con il mondo intelligibile, secondo l’opzione filoniana; in secondo luogo, perché trasformano gli elementi dell’antropologia platonica nel contesto cristiano, il noàj ad esempio viene interpretato come il santuario della divinità80; in terzo luogo, perché pongono quale ideale etico, anziché la fuga dal sensibile, l’imitazione di Cristo, modello senza macchia e Pedagogo, con cui l’essere umano ritrova la propria realtà81; inoltre, perché rifiutano ogni sorta di determinismo antropologico basato sulla nascita di ciascun individuo, come sostenevano gli gnostici, e puntano sulla libertà che si orienta al bene e alla virtù, nonostante possa anche lasciarsi trascinare verso il male, cosa che Origene spiega con la teoria del “raffreddamento” dell’anima coniugata con la materia82. Infine, gli Alessandrini, e in particolare Origene, rivoluzionano l’epistemologia dell’immagine, che in Platone era visibile, e distinguono tra l’atto del vedere e l’atto del conoscere: quest’ultimo è analogico rispetto alla visione, ma svincolato dalla corporeità, perciò si libra verso la conoscenza di sé e di Dio attraverso l’icona di Cristo.

Un altro ambito critico, che sposta la considerazione all’ambiente antio-cheno, era rappresentato dalle varie correnti eretiche dei primi secoli. Il di-scorso sarebbe molto ampio e complesso, ma si citerà per tutte la setta degli Audiani, che tendeva ad una concezione totalmente antropomorfa di Dio, so-stenendo che la somiglianza con Lui fosse anche nell’ordine della corporeità.

76 Cf. Iustinus, De resurrectione 8 (l’attribuzione, però, del De resurrectione a san Giustino

è dubbia). Cf. anche ibidem 10; idem, Dialogus cum Tryphone Iudaeo 6, 1. San Giustino indica l’essere umano sia come “anima (yuc») nel corpo (sîma)”, sia come “forma d’uomo” (edoj toà

¢nqrèpou) (Dialogus cum Tryphone Iudaeo 5, 1). Cf. anche J. Chryssavgis, Soma – Sarx: The Body

and Flesh – An Insight into Patristic Anthropology, “Colloquium” 18 (1985) 61-67. 77 Cf. Iustinus, De resurrectione 7.

78 Cf. idem, Apologia I 61, 10.

79 Cf. Clemens Alexandrinus, Paedagogus III 1, 1. 80 Cf. idem, Protrepticus X 98, 4; idem, Stromata V 94, 5 81 Cf. idem, Paedagogus I 9, 1.

(17)

Una eterna tentazione, questa, che dal mondo classico era passata agilmente nei movimenti pseudo-cristiani, contro cui si scaglia Epifanio, senza tuttavia approdare ad argomenti razionalmente convincenti83. Parimenti si potrebbero citare anche le controversie eustaziana e apollinarista: la prima negante la na-tura divina del LÒgoj; la seconda negante un’anima e un noàj umano in Cri-sto; ma su queste polemiche squisitamente cristologiche la risposta della Chie-sa fu diffuChie-sa e compatta, e la ricaduta antropologica altrettanto inequivoca.

Le filosofie del mondo ellenico sollevavano insidie per l’antropologia cris-tiana, ma anche le idee circolanti in ambiente romano destavano inquietudine; si pensi, ad esempio, al concetto di deificazione: l’onore politico o militare era motivo sufficiente per tributare ai personaggi pubblici il culto, con evidenti, pericolosi travasi tra l’ambito civile e quello religioso. Così, ad esempio, nello scritto sincretista Corpus Hermeticum l’uomo viene detto “grande miracolo”84; e gli viene attribuita l’immortalità e l’uguaglianza a Dio85. La problematica era resa ancor più insidiosa dall’utilizzazione di queste citazioni classiche da par-te di pensatori cristiani; sant’Ippolito di Roma, ad esempio, aveva utilizzato il detto di Eraclito sull’uomo: “Immortali mortali, mortali immortali”86, ma anche san Girolamo allude volentieri alla mito-antropologia classica, transu-stanziandone i contenuti87.

In questi casi, la reazione del mondo cristiano non va ricercata in modo puntuale e circoscritto, quanto piuttosto nella novità radicale dell’antropologia patristica che attinge alla parola e all’azione stessa di Dio.

TEO-CHRYSTOLOGICZNA INSPIRACJA

ANTROPOLOGII PATRYSTYCZNEJ

(Streszczenie)

Antropologia patrystyczna wypływa z refleksji nad natchnionymi teksta-mi Pisma Świętego, które nadają jej szczególną i wyjątkową rangę. Badając Objawienie Boże w kluczu antropologicznym, najstarsi myśliciele chrześcijańscy skupili się przede wszystkim na Księdze Rodzaju i listach Pawłowych, gdyż te właśnie teksty ukazują wyraźnie naturę człowieka i jego transcendentne

powoła-83 Cf. Epiphanius Constantiensis, Panarion LXX 2-3; idem, Ancoratus 55, 4-8.

84 Corpus Hermeticum: Asclepius 6, in Corpus Hermeticum, ed. A.D. Nock – A.-J. Festugière,

II: Traités XIII-XVIII, Paris 1945, 301, trad. di B.D.

85 Cf. Corpus Hermeticum: Poimandres 11, 20.

86 Hippolytus Romanus, Refutatio omnium haeresium 9, 10, PG 16, 3375B, trad. di B.D. 87 Cf. ad es. Hieronymus, Vita S. Pauli Primi Eremitae 7, 3-4; 8, 2-7. Cf. anche B. Degórski, Commento alla Vita S. Pauli Monachi Thebaei di san Girolamo, “Dissertationes Paulinorum”

(18)

nie, umieszczając je bądź to w szeroko rozumianym tle teologicznym, bądź to na płaszczyźnie chrystologicznej.

Elementy określające byt ludzki odnajdujemy głównie w opisie stworzenia. Ponieważ jednak wchodzą one w relację z innymi danymi biblijnymi, opis ten musi pozostawać w łączności z pozostałymi filarami objawienia, a szczególnie z wcieleniem Słowa Bożego, które podnosi ludzką cielesność do godności pod-łoża (substratu) Osoby Chrystusa, i ze zmartwychwstaniem ciał, które ukazuje materię jak rzeczywistość ściśle należącą do definicji osoby.

Ojcowie Kościoła uchwycili tę głęboką spójność i odczytali temat stworzenia człowieka na obraz Boży w kluczu chrystologicznym i eschatologicznym.

Key words: patristic anthropology, christology, creation of man.

Parole chiave: antropologia patristica, cristologia, creazione dell’essere

umano.

Słowa kluczowe: pntropologia patrystyczna, chrystologia, stworzenie

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