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POST-TRUTH. LA LEZIONE DIMENTICATA DELLA SOCIOLOGIA DELLA CONOSCENZA

W dokumencie Orbis Idearum (Stron 100-122)

Riccardo Campa

Jagiellonian University in Krakow riccardo.campa@uj.edu.pl

Orbis Idearum, Vol. 4, Issue 1 (2016), pp. 97–115

ABSTRACT

In 2016, the term “post-truth” was declared the “Word of the Year” by the Oxford Dictionaries, because of its large use in the two main political events of the year: the referendum on the United Kingdom’s membership in the European Union, which ended with the UK’s withdrawal from the EU (known as “Brex-it”); and the US presidential elections, ending with the victory of Donald Trump.

The idea that we entered an era of post-truth politics has become widespread.

This article rejects this idea by pointing out that the present situation is not new in history and that the best evidence of its “normality” is the existence of a one hundred year-old science – the sociology of knowledge – founded to study situations of this type. The author argues that the sociology of knowledge, conceived by Karl Mannheim as a sociological history of ideas, offers all the neces-sary instruments to interpret the present political situation, which sees a globalist ideology opposed to a sovereign ideology.

Nel 2016, il termine truth” – reso in italiano dal termine “post-verità” – è stato dichiarato “Parola dell’anno” dagli Oxford Dictionaries, in ragione del copioso uso che ne è stato fatto durante il referendum per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea e le elezioni presidenziali americane183.

Le vittorie del movimento Brexit guidato da Nigel Farage e di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane hanno profondamente divi-so l’opinione pubblica mondiale. Le due visioni del mondo che ora si confrontano nelle piazze reali e virtuali del pianeta non sono facilmente

183 A. Flood, “Post-truth” named word of the year by Oxford Dictionaries, «The Guardian», 15 novembre 2016.

interpretabili attraverso le categorie politiche ereditate dal Novecento. Le vecchie famiglie politiche (socialisti, comunisti, liberali, ecologisti, con-servatori, repubblicani, democratici cristiani, ecc.) esistono ancora nei parlamenti, ma la spaccatura che si sta delineando ormai da qualche decennio è trasversale rispetto ai partiti tradizionali, tanto che essi, sem-pre più spesso, si frantumano al loro interno. Emblematico il fatto che Trump sia stato avversato dallo stesso Republican Party, per il quale era candidato, e che tanti sostenitori di Bernie Sanders, il candidato sconfitto alle primarie del Democratic Party, si siano rifiutati di votare Hilary Clin-ton. Il nuovo political divide sembra seguire la linea di un orientamento globalista contrapposto a un orientamento sovranista.

L’aspetto interessante dei due eventi politici clou del 2016 è che, salvo poche eccezioni, i grandi potentati economici, politici e mediatici si sono schierati compatti contro il Brexit e contro Trump, ma ciò non è servito a spostare il voto popolare nella direzione da essi desiderata.

Perciò, gli analisti di orientamento globalista, ovvero coloro che hanno giudicato negativamente questi eventi, leggendoli come un trionfo del populismo e del complottismo, sostengono la tesi che siamo entrati nell’era della politica post-truth184. In altre parole, la verità dei fatti sareb-be diventata ininfluente nel determinare l’orientamento dell’opinione pubblica. L’assunto implicito di questa posizione è che la verità dei fatti coincida con la verità “ufficiale” proposta da giornali e televisioni, men-tre sarebbe Internet il mezzo che consente la propagazione delle menzo-gne, delle fake-news, delle “bufale”.

D’altro canto, gli analisti di orientamento sovranista, ovvero coloro che hanno giudicato positivamente questi eventi, leggendoli come un recupero della sovranità popolare, accusano proprio i media di mentire spudoratamente e vedono in Internet una risorsa per fare circolare le verità nascoste. Per essi, le “verità alternative” hanno ormai altrettanta se non più forza persuasiva delle “verità ufficiali”, semplicemente perché scaturiscono dalla vita reale dei cittadini, la cui esistenza quotidiana è stata sconvolta dalla globalizzazione. Assumendo questa posizione critica nei confronti dei media tradizionali, i sovranisti confermano

184 Cfr. J. Freedland, Post-truth politicians such as Donald Trump and Boris Johnson are no joke,

«The Guardian», 13 maggio 2016; D. W. Drezner, Why the post-truth political era might be around for a while, «The Washington Post», 16 giugno 2016.

plicitamente l’idea che ci troviamo in un mondo post-truth185.

C’è chi è convinto che Internet sia un oceano di menzogne, mentre un rivolo di verità residua passa sui media tradizionali. C’è chi, al contrario, ritiene che i media tradizionali, essendo controllati da grossi potentati economici, propaghino notizie tendenziose a beneficio delle élite e na-scondano quelle scomode, mentre la verità residua circolerebbe sui social network e nei blog. C’è chi associa la verità all’establishment e chi l’associa all’anti-establishment. E c’è anche chi afferma che, a prescindere dal mez-zo utilizzato e dall’ideale politico, si mente ora come mai si è mentito prima186.

L’idea che siamo entrati nell’era della politica post-verità fa nascere più di un dubbio, perlomeno a chi ha qualche dimestichezza con la storia delle idee. Se accettassimo la tesi che, all’alba del XXI secolo, siamo entra-ti nell’era della post-verità, dovremmo accettare anche la tesi comple-mentare che fino a ieri eravamo nell’era della verità. Ma spostando lo sguardo sul passato, sulla storia dei fatti e delle idee, non è difficile di-mostrare che da sempre le parti in lotta si accusano reciprocamente di falsificare la realtà, da sempre i partiti politici producono notizie false o tendenziose per discreditare gli avversari, da sempre i filosofi e gli scien-ziati sociali sono consapevoli di quanto sia problematica la categoria della verità, in particolare quando viene applicata alla politica.

L’idea che, da una parte, ci siano in giro delle fake news, prodotte da blogger complottisti ad uso dei sovranisti, o dai potentati mediatici ad uso dei globalisti, e dall’altra dei coraggiosi debunker – di ambo gli schie-ramenti – che svelano una volta per tutte la falsità di queste notizie e ripristinano “la verità” a beneficio dell’umanità, agli occhi di chi conosce la storia del pensiero occidentale, appare come una rappresentazione quantomeno ingenua.

Se fosse vero che, fino a ieri, eravamo nell’era della verità, come si

185 Donald Trump ha accusato ripetutamente i media di mentire, dal suo Twitter account:

«Anytime you see a story about me or my campaign saying “sources said,” DO NOT believe it. There are no sources, they are just made up lies!», <mobile.twitter.com / realDonaldTrump>, 30 settembre 2016.

186 «The fact-checking nonpartisan organization Politifact recently rated 129 of 169 state-ments made by Trump as “mostly false,” “false,” or “pants on fire.” It found that of 212 statements made by Clinton, whose assertions about her use of a private email server while secretary of state have been undermined repeatedly, 59 were similarly untrue». C.

Pazzanese, Politics in a “post-truth” age, «Harvard Gazette», 14 luglio 2016.

spiegano tutte le opere che descrivono la manipolazione intenzionale dell’opinione pubblica pubblicate in passato? Per capire che non c’è nulla di nuovo sotto il sole, basterebbe leggere un libro come La fabbrica del consenso di Edward Herman e Noam Chomsky, pubblicato nel 1988187, oppure il romanzo fantapolitico 1984 di George Orwell, concepito nel 1944 e dato alle stampe nel 1949188, o magari andare ancora più indietro nel tempo e rileggere il De Principatibus di Niccolò Machiavelli189, che nel 1513 ci parla della politica come davvero è e non come dovrebbe essere, o la Politeia di Platone, dove, nel quarto secolo a. C., viene difesa l’idea della menzogna per il bene dello Stato190, o ancora i Sofisti, che ci dicono che “tutti sanno tutto”, ovvero che ognuno è convinto di conoscere la verità, ma in realtà non conosce che il proprio punto di vista, la propria opinione191.

Sono tante le lezioni della storia delle idee che ci mostrano quanto naïf sia l’idea stessa della post-verità. In questo articolo, vogliamo richiamare alla memoria una di queste lezioni dimenticate: la lezione della sociolo-gia della conoscenza.

Nel 1929, Karl Mannheim, dà alle stampe Ideologie und Utopie, libro che diventa subito il punto di riferimento di una delle subdiscipline più note della sociologia: la Wissenssoziologie. Questa scienza in statu nascendi si dà come missione l’indagine dei presupposti sociali che si annidano dietro ogni verità presunta. Più precisamente:

The sociology of knowledge […] as theory it seeks to analyse the relation-ship between knowledge and existence; as historical-sociological research it seeks to trace the forms which this relationship has taken in the intellec-tual development of mankind. […] The sociology of knowledge is closely related to, but increasingly distinguishable from, the theory of ideology, which has also emerged and developed in our own time. The study of

187 E. Herman, N. Chomsky, Manufacturing Consent: The Political Economy of the Mass Media, New York, Pantheon Books, 1988 [trad. it. La fabbrica del consenso. La politica e i mass media, Milano, Il Saggiatore 2014].

188 G. Orwell, Nineteen Eighty-Four, Secker and Warburg, London 1949 [trad. it. 1984, Mondadori, Milano 2016].

189 N. Machiavelli, Il Principe, a cura di G. Inglese, Einaudi, Torino 2016 [1513].

190 Platone, La Repubblica, a cura di F. Adorno, Utet, Torino 1988.

191 M. Timpanaro Cardini (a cura di), I Sofisti. Frammenti e testimonianze, Laterza, Bari 1954.

ologies has made it its task to unmask the more or less conscious decep-tions and disguises of human interest groups, particularly those of political parties. The sociology of knowledge is concerned not so much with distor-tions due to a deliberate effort to deceive as with the varying ways in which objects present themselves to the subject according to the differences in social settings192.

Mannheim è considerato il padre fondatore di questo campo di studi, ma lui stesso si dice erede di una tradizione precedente. Come abbiamo appena visto, egli considera la sociologia della conoscenza come lo svi-luppo della teoria dell’ideologia e, dunque, come figlia di quella che Paul Ricœur chiamerà “scuola del sospetto”. A tracciare la strada sono pro-prio “i tre grandi distruttori”, o “maestri del sospetto”, individuati da Ricœur: Karl Marx, Friedrich Nietzsche e Sigmund Freud193. Dietro ogni certezza, essi vedono operare forze nascoste, o comunque negate nel dibattito pubblico, e rispettivamente: gli interessi economici, la volontà di potenza, l’inconscio. Così, Mannheim racconta in poche parole la storia dell’idea di Wissenssoziologie:

The sociology of knowledge actually emerged with Marx, whose pro-foundly suggestive apercus went to the heart of the matter. However, in his work, the sociology of knowledge is still indistinguishable from the unmasking of ideologies since for him social strata and classes were the bearers of ideologies. Furthermore, although the theory of ideology ap-peared within the framework of a given interpretation of history, it was not as yet consistently thought out. The other source of the modern theory of ideology and of the sociology of knowledge is to be found in the flashes of insight of Nietzsche who combined concrete observations in this field with a theory of drives and a theory of knowledge which remind one of pragmatism. He too made sociological imputations, using as his chief

192 K. Mannheim, Ideology and Utopia. An Introduction to the Sociology of Knowledge, Rou-tledge & Kegan Paul, London and Henley 1979 (1936), pp. 237-238.

193Trois maîtres en apparence exclusifs l’un de l’autre la dominent, Marx, Nietzsche et Freud. […] Mais ces trois maîtres du soupçon ne sont pas trois maîtres de scepticisme; ce sont assurément trois grands “destructeurs”; et pourtant cela même ne doit pas nous égarer; la destruction, dit Heidegger dans Sein und Zeit, est un moment de toute nouvelle fondation, y compris la destruction de la religion, en tant qu’elle es!, selon le mot de Nietzsche, un “platonisme pour le peuple”. C’est au delà de la “destruction” que se pose la question de savoir ce que signifient encore pensée, raison et même foi». P. Ricœur, De l’interprétation. Essai sur Freud, Édition du Seuil, Paris 1965, pp. 40-41.

gories “aristocratic” and “democratic” cultures, to each of which he as-cribed certain modes of thought. From Nietzsche the lines of development lead to the Freudian and Paretian theories of original impulses and to the methods developed by them for viewing human thought as distortions and as products of instinctive mechanisms194.

Mannheim aggiunge altri nomi all’elenco dei precursori. Cita Vilfredo Pareto e lo associa a Freud, per l’attenzione agli impulsi originali e alla loro successiva razionalizzazione. Nel prosieguo del discorso nominerà anche Ratzenhofer, Gumplowicz, Oppenheimer e Jerusalem, i quali sarebbero giunti alle stesse conclusioni dei maestri del sospetto, seguen-do però una via parallela: la linea di sviluppo del positivismo.

L’aspetto, a nostro avviso, più interessante della sociologia mannhei-miana è l’impostazione metodologica. Mannheim concepisce la Wissen-ssoziologie come lo studio della conoscenza attualmente diffusa non solo nei circoli accademici, ma anche tra la gente comune e gli agenti politici.

Tuttavia, le fonti primarie alle quali fa riferimento non sono interviste e questionari, attraverso i quali il ricercatore dovrebbe cercare di intercet-tare l’opinione della gente comune, ma documenti scritti. Inoltre, questi documenti gli interessano nella misura in cui mostrano l’evoluzione storica del pensiero e delle società in cui esso sorge. In altre parole, la disciplina che lo studioso tedesco-ungherese ha in mente è una sorta di

“storia delle idee”, ma coltivata con una sensibilità sociologica. Su questo punto, è piuttosto esplicito.

If, therefore, we are to rise to the demands put upon us by the need for an-alysing modern thought, we must see to it that a sociological history of ideas [enfasi nostra] concerns itself with the actual thought of society, and not merely with self-perpetuating and supposedly self-contained systems of ideas elaborated within a rigid academic tradition195.

E, ancora, poco sotto, spiega che i metodi della sociologia della cono-scenza sono già stati forgiati dai teorici dell’ideologia, i quali hanno preso in mano i documenti, i libri, i giornali, i manifesti, i pamphlet della parte opposta e hanno cercato in essi i motivi nascosti, gli interessi eco-nomici, i condizionamenti sociali. Sicché, i sociologi della conoscenza

194 Ivi, p. 278-279.

195 Ivi, p. 65.

hanno semplicemente trasformato quelle che erano le armi intellettuali delle parti in lotta in un metodo di ricerca generale nel campo della storia intellettuale e sociale.

To begin with, a given social group discovers the “situational determina-tion” (Seinsgebundenheit) of its opponents’ ideas. Subsequently the recogni-tion of this fact is elaborated into an all-inclusive principle according to which the thought of every group is seen as arising out of its life condi-tions. Thus, it becomes the task of the sociological history of thought [enfasi nostra] to analyse without regard for party biases all the factors in the ac-tually existing social situation which may influence thought. This sociologi-cally oriented history of ideas [enfasi nostra] is destined to provide modern men with a revised view of the whole historical process196.

Nel 1936, l’opera di Mannheim viene tradotta in inglese da Louis Wirth ed Edward Shils, ma negli Stati Uniti sarà soprattutto Robert K.

Merton a “lanciare” e poi sviluppare la sociologia della conoscenza con alcuni penetranti saggi, tra i quali The Sociology of Knowledge, apparso nel numero di novembre 1937 della rivista internazionale di storia della scienza Isis197, Karl Mannheim and the Sociology of Knowledge, del 1941, e infine Paradigm for the Sociology of Knowledge del 1945, ove lo studioso americano produce un tentativo di codificare e sistematizzare i contributi teorici del campo. Gli ultimi due articoli verranno poi inseriti in una fortunata raccolta di saggi, Social Theory and Social Structure, che costitui-sce un classico immancabile nella biblioteca di ogni sociologo contempo-raneo. Attraverso questa traiettoria, le idee fondamentali della Wissenssoziologie transitano dall’ambiente culturale tedesco, in cui sono nate, a quello americano, rimbalzando poi da quest’ultimo in tutto il mondo.

Se, quand’anche con intenti diversi, tanto la teoria dell’ideologia del XIX secolo quanto la sociologia della conoscenza del XX secolo si pongo-no la questione del legame genetico tra un certo punto di vista e le con-dizioni sociali in cui esso nasce, è perché già in quei secoli è evidente la problematicità intrinseca della categoria della verità. C’è, in altre parole, la consapevolezza che non ci sono semplicemente bugiardi da una parte e sinceri dall’altra, stupidi da una parte e intelligenti dall’altra, ma dietro

196 Ivi, p. 69.

197 R. K. Merton, The Sociology of Knowledge, «Isis», Vol. 27, No. 3 (Nov., 1937), pp. 493-503.

ogni rappresentazione della realtà ci sono degli interessi socioeconomici, delle pulsioni, dei desideri inconfessati, o comunque un sostrato cultura-le sedimentato nei secoli che spinge a vedere il mondo in un certo modo piuttosto che in un altro.

L’emergere di questa disciplina dimostra che non è fenomeno dei no-stri giorni il conflitto politico esasperato, caratterizzato da odio profondo, notevole aggressività verbale e talvolta persino fisica, incommensurabili-tà delle posizioni, impossibiliincommensurabili-tà di capirsi, di discutere, di dialogare. È proprio perché già allora si osservavano questi aspetti della politica reale, in netta contrapposizione alle belle parole scritte nelle costituzioni e nelle leggi, che alcuni scienziati sociali hanno deciso di analizzare i prodotti della cultura dall’esterno, in una prospettiva sociologica o antro-pologica.

Detto in altre parole, se qualcuno oggi è convinto che ci troviamo in una fase “patologica” della vita politica, sappia che la sociologia ha elaborato da almeno un secolo gli strumenti per studiare, analizzare, anatomizzare, diagnosticare “pazienti” di questo tipo. Per illustrare come sia possibile leggere l’odierno dibattito politico attraverso le lenti della Wissenssoziologie, faremo riferimento ai principi della disciplina come sono stati codificati da Robert K. Merton.

Innanzitutto, nell’accezione della Wissenssoziologie, il concetto di “co-noscenza” è sufficientemente comprensivo per fare spazio anche alle idee politiche. Scrive Merton che «il termine “conoscenza” deve essere preso in una accezione molto ampia, in quanto gli studi in quest’area hanno considerato praticamente tutta la gamma dei prodotti culturali (idee, ideologie, principi etici e giuridici, filosofia, scienza, tecnologia)»198.

È vero che si usano distinguere i “giudizi di fatto” (quelli della scien-za) dai “giudizi di valore” (quelli dell’etica e dell’estetica), e che solo ai primi si applica la categoria della verità. I secondi, fondati sulle categorie della bontà e della bellezza, non sono né veri né falsi. Tuttavia, le dottri-ne politiche non sono costituite soltanto da giudizi di valore. Esse con-tengono almeno tre tipi diversi di proposizioni: giudizi di fatto, imperativi ipotetici e imperativi categorici. Facciamo qualche esempio preso dalla politica corrente. Proposizioni descrittive come «gli immigra-ti islamici sono potenziali terrorisimmigra-ti», oppure, «gli immigraimmigra-ti sono brave

198 R. K. Merton, Teoria e struttura sociale. III. Sociologia della conoscenza e sociologia della scienza, Il Mulino, Bologna 2000, p. 837.

persone che scappano dalla fame e dalla guerra» sono giudizi di fatto, da alcuni considerati veri e da altri falsi. Ad essi si applica, dunque, la cate-goria della verità (o, se si preferisce, della verosimiglianza). Proposizioni condizionali come «se vuoi il benessere del tuo paese devi frenare l’immigrazione», oppure, «se vuoi il benessere del tuo paese devi favori-re l’immigrazione» sono imperativi ipotetici, dei quali si può ancora predicare la verità o la falsità. Sono, infatti, leggi socio-tecniche e dunque forme di “sapere”, la cui effettività dipende dalla verità dei giudizi di fatto su cui implicitamente si fondano. Proposizioni normative come

«dobbiamo avere un unico governo mondiale», oppure, «dobbiamo difendere il principio di autodeterminazione dei popoli» sono, invece, imperativi categorici. Solo a questi ultimi non si può applicare la catego-ria della verità o della falsità. Tali giudizi possono essere concepiti come buoni o cattivi, nel cuore prima ancora che nella mente, giammai come veri o falsi.

Oltretutto, c’è chi non esita a includere nell’ambito della “conoscenza”

anche gli imperativi categorici (certo non nell’ambito della scienza

anche gli imperativi categorici (certo non nell’ambito della scienza

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