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Il corpo «misura di tutte le cose»La visione jonasiana del corpocome paradigma di comprensione dell’unità dell’esseredi

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Il corpo «misura di tutte le cose»

La visione jonasiana del corpo

come paradigma di comprensione dell’unità dell’essere di Valentina Chizzola

Hans Jonas’ philosophy of biology merits to be taken into account as an original contribution to contemporary debates on humankind’s place in nature. Far from being opposed to the natural sciences, it can be read as an attempt at reconciling the natural scientifi c outlook with a non-reductionist philosophical ontology. My contribution falls into three parts regarding 1) Jonas’ critique of various forms of ontological reductionism, 2) his analysis of corporeality as the paradigm of the psycho-physical unity of being, and 3) the innovative – and, of course, problematic – aspects of Jonas’ philosophy of the body.

Premessa

La mia indagine assume come sfondo l’esigenza di riconsiderare il ruolo specifi co dell’essere umano all’interno della natura. Tale esigenza, che appare sempre più stringente in un’epoca in cui l’individuo sperimenta quotidianamente come la propria potenza nei confronti del mondo naturale tenda a rovesciarsi contro se stesso, comporta necessariamente non solo un ripensamento della ‘specifi cità’ dell’essere umano e della legittimità del suo intervento nei confronti della natura, ma allo stesso tempo richiede un serio ripensamento della natura in generale. In un tempo in cui le indagini scientifi che protendono per una visione dell’essere umano che – a partire dai processi sensitivi ed emozionali, sino a quelli che ne caratterizzano le facoltà decisionali – deve essere ‘ridotto’ alla sua natura organica, se non addirittura alla concatenazione dei suoi processi fi siologico/neuronali, sembra opportuno chiedersi se la domanda sull’esistenza di una ‘peculiarità qualitativa’ dell’essere umano all’interno del cosmo possegga ancora una qualche legittimità o valenza.

Polarizzando le posizioni in questione e partendo dall’ammissione dei limiti intrinseci ad ogni tentativo di schematizzazione, è però plausibile individuare, per quanto complesso e variegato sia il panorama fi losofi co contemporaneo, due tipologie di risposta relative al riconoscimento o meno di una ‘cifra identifi cativa’ per quanto riguarda la defi nizione di ciò che è ‘umano’.

Da un lato, infatti, si può rintracciare nelle scienze particolari con- temporanee (e nelle linee fi losofi che ad esse strettamente connesse, come

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ad esempio alcuni fi loni della fi losofi a della mente) una sorta di reductio ad unum, ovvero un tentativo di ridurre al minimo la specifi cità umana, intravedendo, ad esempio per quanto riguarda le relazioni mente-corpo, l’impossibilità di attuare una conoscenza della mente distinta dai suoi processi fi sico-neuronali. La mente umana viene ‘ridotta’ a oggetto fi sico e, dal momento che le leggi che descrivono il funzionamento della mente sarebbero a loro volta riconducibili a leggi fi siche, essa dovrebbe, di con- seguenza, essere presa in considerazione come un qualsiasi oggetto fi sico.

Assumendo inoltre che la mente si manifesti soprattutto in due aspetti, ovvero nel comportamento e nel cervello, tale ‘riduzione’ si propone di tematizzare e indagare primariamente questi due ambiti, senza pervenire ad assunzioni su una eventuale realtà ‘meta-fi sica’, oltre o ‘dietro’ questi.

Si può quindi individuare in questa linea di pensiero una coincidenza tra ciò che defi nisce l’essenza dell’essere umano e ciò che ne defi nisce la specifi cità biologica.1

Di contro a tale ‘riduzione’ si muovono linee di pensiero che vedono nell’esistenza umana una prerogativa e una specifi cità assoluta che porta alla concettualizzazione di una fi losofi a della biologia ‘specifi camente umana’, che deve essere quindi distinta dalla linea biologica degli altri enti di natura. Secondo questa visione, di cui uno dei più noti esponenti è Arnold Gehelen, l’uomo non può essere inscritto in una considerazione biologica generale, ma deve essere distinto e indagato separatamente dalla natura.2 Secondo Gehlen, infatti, la natura ha destinato all’essere umano una posizione particolare o, detto in altri termini, «ha avviato in lui una direzione evolutiva che non preesisteva, che non era ancora mai stata ten- tata», ha voluto cioè creare un principio di organizzazione del tutto nuovo.3 La ‘novità’ dell’essere umano lo rende in grado di costruirsi un mondo, di vivere «in una seconda natura, in un mondo da lui stesso trasformato e volto al vitale servizio dei suoi bisogni … Nella natura immediata, nella prima natura, non ci sono né animali utili né sostanze esplodenti».4

Il primo ostacolo in cui ci si imbatte nel considerare l’uomo come un’‘esistenza a sé’, distinguibile qualitativamente dal resto della natura, è

1 Cfr. su questo tema l’interessante analisi di H. TETENS, Das Mentale in naturalistischer Perspektive und die Grenzen unseres Wissens, in W. HOGREBE - J. BROMAND, Grenzen und Grenzüber- schreitungen, Berlin 2004, pp. 417-428, in cui lo studioso evidenzia le modalità attraverso le quali si rintraccia una dominanza, nella fi losofi a dello spirito contemporanea, della prospettiva naturalistica del mentale; cfr. inoltre per il dibattito contemporaneo sulla riduzione del soggetto al suo cervello, i diversi interventi contenuti nello Schwerpunkt: Hirn als Subjekt? nei tre volumi 2 (2004), 6 (2004), 5 (2005) della «Deutsche Zeitschrift für Philosophie». Sul rapporto tra naturalismo e fi losofi a della mente cfr. J. QUITTERER, Il naturalismo e la fi losofi a della mente contemporanea, in P. COSTA - F.

MICHELINI (edd), Natura senza fi ne. Il naturalismo moderno e le sue forme (Scienze religiose. Nuova serie, 14), Bologna 2006, pp. 219-245.

2 Cfr. A. GEHLEN, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, trad. it., Milano 1983.

Gehlen si contrappone esplicitamente alla concezione naturalistica o biologica che fa derivare l’uomo dall’animale, e sostiene che l’uomo è un ‘progetto particolare’ della natura e quindi si deve evitare, già nei suoi aspetti fondamentali, di considerarlo in maniera non specifi ca.

3 Ibidem, p. 43.

4 Ibidem, p. 345.

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di natura scientifi ca, dal momento che pare diffi cile dar ragione scientifi ca- mente di una ‘radicale distinzione’ umana rispetto agli altri esseri viventi.

La specifi cità di cui fa menzione la scienza non è infatti una radicale distinzione, ma una differenziazione all’interno di una ‘naturalità comune’.

Il secondo problema è di tipo ontologico, poiché conduce a conside- rare l’esistenza umana come l’unica specifi ca determinazione dell’essere, o perlomeno come ciò da cui partire per defi nire l’essere. Infatti, ponendo l’uomo in un chiaro e netto contrasto con la natura circostante, esso diviene, in altre parole, l’unico depositario del senso dell’essere.

Da questa concezione derivano inoltre due altrettanto scottanti que- stioni, la prima – che può essere direttamente connessa all’incalzare della crisi ecologica – riguarda l’opportunità di una visione antropocentrica che, collocando l’uomo all’apice della scala dell’essere e separandolo dagli altri esseri viventi, lo legittima nell’uso del suo strapotere nei confronti della realtà naturale circostante; la seconda riguarda la diffi coltà di attuare, mediante la ‘separazione’ dell’essere umano dagli altri esseri viventi, una reale conciliazione del sapere delle scienze particolari con quello più propriamente fi losofi co. Tale separazione conduce, di conseguenza, a disconoscere alla fi losofi a la possibilità di giocare un ruolo sostanziale nel panorama scientifi co contemporaneo.

In contrasto con una trattazione ‘riduzionistica’ dell’uomo – sia essa riduzione assoluta alla sua fi sicità o alla sua ‘specifi cità’ in quanto essere razionale –, si colloca la duplice proposta di Hans Jonas di rintracciare da un lato il ‘fondamento biologico dell’individualità umana’, e dall’altro, di individuare la ‘preformazione’ dello spirito all’interno della scala biologica dell’esistenza, sin dai primi organismi viventi.

L’originalità della visione jonasiana, che azzarda collocarsi a metà tra le due visioni prevalenti nel panorama fi losofi co-scientifi co contemporaneo, consiste nel riportare nuovamente all’attenzione un tipo di sapere, quello sull’essere dalla natura e sulla natura dell’essere, dimenticato dalla fi lo- sofi a contemporanea, che, secondo Jonas, si è relegata allo studio della componente mentale, abbandonando alle scienze particolari lo studio della componente organica. Secondo il fi losofo, infatti, il ritrarsi della fi losofi a nella parte mentale di questa dicotomia e la rinuncia alla considerazione dell’aspetto naturale, «non solo era uno scandalo della fi losofi a in sé, ma comprometteva anche il suo lavoro nell’unico campo a cui la sua scelta l’aveva ridotta (cioè nella sua prigionia)».5

Da un punto di vista generale l’intento di Hans Jonas è quello, attra- verso una costante opposizione a tutte le forme di dualismo e un ripen- samento del ruolo specifi co della fi losofi a, di attuare una ‘pacifi cazione’, una reale Versöhnung, tra il ‘regno oggettivo’ e quello ‘soggettivo’, ovvero tra le scienze della natura e quelle cosiddette ‘umane’. Nello specifi co tale

5 H. JONAS, Dalla fede antica all’uomo tecnologico. Saggi fi losofi ci, trad. it., Bologna 1991, p. 29.

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conciliazione si dà, per Jonas, solamente mediante un serio ripensamento della natura e soprattutto del ‘fenomeno guida’ del corpo vivente, cartina tornasole e paradigma assoluto per la comprensione dell’unità psico-fi sica dell’individuo, ma anche, più in generale, per una possibile unità tra le scienze.

Fatte queste premesse, necessarie per inserire la proposta jonasiana in un contesto d’indagine più ampio, il mio contributo si articola in tre sezioni:

1) la prima volta alla critica che Jonas elabora nei confronti dei ‘monismi parziali’ e delle scienze naturali che, non prendendo suffi cientemente in analisi la tematica del corpo, portano ad un’inevitabile scissione tra essere umano e natura; 2) la seconda riguarda l’analisi del concetto jonasiano di corporeità come ‘paradigma interpretativo’ di una comprensione unitaria dell’essere; 3) la terza si sofferma sugli aspetti eccentrici ed originali della fi losofi a jonasiana della corporeità.

1. La critica ai monismi parziali e alle scienze della natura

Hans Jonas rivolge spesso, all’interno della sua indagine fi losofi ca, una forte critica tanto alla fi losofi a a lui contemporanea, quanto alle scienze naturali. Oggetto della critica è principalmente la dimenticanza dell’analisi del concetto di corpo nella sua totalità. Dal momento che noi non solo ‘abbiamo’, ma ‘siamo’ un corpo, «siamo ad esso strettamente dipendenti».6 Oltre ad esserne dipendenti, questo corpo è in grado di for- nire uno strumento al nostro spirito, alla nostra coscienza, al nostro volere esistenziale per indirizzare il nostro agire nel mondo. Trascurando l’aspetto della corporeità «contempleremmo solo il nostro ombelico spirituale», mentre in realtà, proprio grazie alla corporeità, «noi siamo in permanente scambio con il mondo».7

La critica di Jonas si rivolge innanzitutto a quelle fi losofi e – in primis quella di Heidegger – che, limitando il loro ambito di ricerca al ‘soggettivo’, eludono una sfera non meno basilare dell’essere, vale a dire l’oggettivo, il corporeo. Heidegger descrive ‘l’esserci come cura’ in una visione spirituale che rinuncia a partire dal primo fondamento fi sico del dover prendersi cura (Sorgenmüssen): ovvero il nostro corpo.8 È solo grazie alla corporeità che possiamo considerarci un pezzo della natura, viviamo nel mondo e «siamo connessi nei nostri bisogni e nella nostra fragilità alla natura circostante».9 Attraverso lo studio della corporeità Jonas tenta di liberarsi dalla soggezione della fi losofi a tradizionale nei confronti dell’idealismo e attua una verifi ca

6 H. JONAS, Erkenntnis und Verantwortung. Gespräch mit Ingo Hermann, Göttingen 1991, p. 100.

7 Ibidem, p. 101.

8 Per la critica jonasiana ad Heidegger cfr. le belle pagine di H. JONAS, Memorie, trad. it., Genova 2008, pp. 243-251.

9 H. JONAS, Scienza come esperienza personale. Autobiografi a intellettuale, trad. it., Brescia 1992, p. 22.

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critica della fi losofi a tedesca della coscienza, dalla quale – peraltro – il suo pensiero aveva preso avvio. Mediante l’analisi dell’organismo, delle sue funzioni e potenzialità, Jonas cerca quindi di avvicinarsi alla formulazione di un concetto generale dell’essere il più possibile unitario.

Molti critici hanno ritenuto superfl uo l’approfondimento della fi losofi a della biologia di Jonas, considerando la sua ontologia della natura solamente come una ‘strategia di fondazione’ dell’etica e non come un’autentica ‘fi lo- sofi a prima’ di cui l’etica è un esito naturale.10 In realtà è Jonas stesso a dar conferma del ruolo fondamentale che la fi losofi a della natura svolge nel suo pensiero. Nelle Memorie il fi losofo dichiara che se si desidera parlare della sua fi losofi a, bisogna dire in ogni caso che «essa non comincia con la gnosi, ma con gli sforzi dedicati alla biologia fi losofi ca»11, e che è neces- sario considerare Organismo e libertà come la sua opera fi losofi camente più importante perché in essa «sono sviluppati i principi di una nuova ontologia», che sta alla base, e rende quindi ‘attuabile’, l’intero percorso fi losofi co.12 La fi losofi a è per Jonas ontologia e il suo compito è quello di elaborare una dottrina dell’essere che sia in grado di ripensare uno dei più antichi problemi fi losofi ci, quello del dualismo tra uomo e natura, tra spirito e corpo, stipulando tra essi una ‘nuova pace’.

Nel primo saggio di Organismo e libertà intitolato Il problema della vita e del corpo nella dottrina dell’essere,13 Jonas delinea i momenti principali in cui, nella storia complessiva del pensiero occidentale, tale problematica è stata posta in questione. L’orizzonte fi losofi co preso in considerazione è assai ampio e richiederebbe un’analisi a parte. Mi limi- terò a fare riferimento alla critica rivolta alla visione materialista, a quella idealista, e alle scienze della natura perché sono quelle che maggiormente coinvolgono il nostro discorso sulla corporeità.

Idealismo e materialismo sono, secondo Jonas, l’eredità di posizioni dualistiche defunte, o di ciò che ancora ne restava.14 La visione dualistica, rintracciabile nella storia del pensiero a partire dalle religioni orfi che sino a culminare nella concezione cristiana e gnostica di «un’interiorità totalmente amondana dell’uomo», creò una fatale divisione tra anima e corpo che polarizzò l’immagine generale della realtà dando origine a quella scissione tra essere umano e natura di cui la modernità è fi glia.15 In altre parole,

«la scissione della realtà in ‘sé’ e ‘mondo’, essere interiore ed esteriore, spirito e natura, così a lungo sanzionata dal dogma religioso, preparò il terreno per i successivi monismi post-dualistici».16

10 Cfr. ibidem, p. 28. Si fa qui riferimento principalmente alla critica di M. WERNER, Dimen- sionen der Verantwortung: Ein Werkstattbericht zur Zukunftsethik von Hans Jonas, in Ethik für die Zukunft. Im Diskurs mit Hans Jonas, München 1994, pp. 316 ss.

11 H. JONAS, Memorie, p. 256.

12 Cfr. ibidem, p. 315.

13 H. JONAS, Organismo e libertà, trad. it., Torino 1999.

14 Cfr. ibidem, p. 22.

15 Ibidem.

16 Ibidem, pp. 22-23.

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Se la soluzione dualistica non soddisfa a livello teoretico, lo stesso si può dire, per Jonas, dei monismi particolari (idealismo e materialismo) che mostrano evidentemente un limite intrinseco nella parzialità delle loro singole assunzioni. Nel caso del materialismo tale fallimento è rico- noscibile in relazione alla coscienza, nel caso dell’idealismo in relazione alla cosa in sé.17

Il materialismo è la posizione con la quale, secondo Jonas, bisogna primariamente confrontarsi, non solo per il fatto che esso rappresenta la cifra identifi cativa della modernità, ma anche perché esso si commisura con l’enigma della vita, della sua ‘datità’, nella sua realtà concreta. Il materialismo, «fra la totalità dei suoi oggetti – i corpi in generale – fa realmente incontrare anche quello vivente» e, sottomettendo anche il corpo ai suoi principi, si dà la possibilità di toccare realmente il proprio limite.18 L’idealismo, viceversa, è capace di eludere il proprio limite, dal momento che esso può sempre considerare il corpo vivente dal punto di vista della coscienza come ‘idea’ esterna o come ‘fenomeno’.

Nella sua analisi dell’idealismo moderno, Jonas prende avvio da un’aspra critica alla prospettiva fenomenologica di Husserl e Heidegger, dal momento che entrambi – seppur con approcci e risultati differenti – avrebbero fondato le proprie analisi su un soggetto in cui la corporeità, il suo ‘essere vivente’ come organismo, restano inespressi, non tematizzati ed in cui la natura non trova quello spazio di indagine che è propedeutico ad una comprensione generale dell’essere. Facendo riferimento alla fi losofi a di Heidegger e Husserl, Jonas critica il fatto che entrambi i fi losofi non abbiano mai considerato, nelle loro opere, ciò che possiamo conoscere del mondo per mezzo delle scienze naturali, e che abbiano quindi tra- scurato il fatto che noi siamo esseri dotati di un corpo. Pur parlando del Dasein, dell’autenticità e inautenticità dell’essere, dell’essere-per-la-morte, all’interno delle loro speculazioni il mondo reale rimaneva assente o «era presente soltanto in quanto correlato e costruzione della coscienza, come qualcosa costituito da noi … attraverso degli atti intenzionali».19

Materialismo e idealismo moderno sono ‘monismi parziali’ che, ten- tando di superare la scissione dualistica mediante una prospettiva unilaterale, vi ricadono inevitabilmente. Il vivente, proprio grazie all’elemento corporeo, è, secondo Jonas, tanto esteso e inerte quanto sensibile e volitivo, e quindi non può essere ridotto all’una o all’altra parte senza con questo pregiudicare la visione dell’intero. Il dato di fatto della ‘vita’ come unità psico-fi sica, che si manifesta nella struttura organica, è ciò che rende illusorio qualsiasi tentativo di separazione. Infatti, «la pura coscienza è tanto poco viva quanto la materia che le sta di fronte», per cui l’antitesi dualistica non conduce all’incremento dei tratti vitali attraverso la loro concentrazione in uno dei

17 Cfr. ibidem, p. 25.

18 Ibidem, p. 28.

19 H. JONAS, Dalla fi losofi a alla scienza, in «Lettera internazionale», 30 (1991), p. 67.

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due lati, ma porta in realtà «all’annientamento (Abtötung) di entrambi i lati attraverso la loro separazione dal centro vivente».20

L’obiettivo critico di Jonas riguarda pertanto la separazione, propria della metafi sica moderna, tra soggetto e oggetto, io e mondo, ed è rivolto soprattutto al tentativo di mostrarne i limiti intrinseci ed illustrarne i pre- supposti metafi sici. Più in generale quindi, per il fi losofo, ogni posizione che crede di poter trovare nel soggetto o nell’oggetto ‘puro’ il fondamento del reale, opera una divisione illusoria e ottiene un risultato totalmente difforme rispetto al fi ne proposto.

La chiave di volta per la risoluzione dell’empasse in cui si trovano tanto la posizione materialista, quanto quella idealista è l’indagine della corporeità come paradigma di una comprensione unitaria dell’essere. Prima di considerare nello specifi co la questione della corporeità è necessario un ulteriore chiarimento relativo alla critica jonasiana alle scienze naturali e al signifi cato che, nell’intero del progetto jonasiano, assume l’idea di fondare una ‘biologia fi losofi ca’.

Secondo Jonas, all’interno delle scienze particolari la natura è stata totalmente slegata da ogni realtà intelligibile e ridotta esclusivamente alla sua materialità. La metafi sica dualistica contemporanea ha ricondotto il fondamento della scienza essenzialmente al concetto cartesiano di natura, che è diventato un punto di riferimento essenziale per la comprensione della modernità. Mentre infatti nella cosmologia greca il cosmo era visto tendenzialmente come circolare, ordinato, completo e razionale, e in quella medioevale veniva organizzato in livelli gerarchici ricondotti alla creazione divina, nella cultura moderna la visione del cosmo risente fortemente dello sviluppo delle scienze. Cercando di sintetizzare, secondo Jonas la rivoluzione copernicana ha determinato un radicale cambiamento nella considerazione dell’universo, con la conseguente marginalizzazione della presenza della ‘vita’ all’interno della materia cosmica. L’universo appare alla cosmologia moderna «come un campo di masse inanimate e di forze senza meta, i cui processi si svolgono a seconda della loro distribuzione quantitativa nello spazio»21; da ciò consegue come la vita divenga ‘quan- titativamente’ un nulla nell’immensità della materia cosmica.

Un ulteriore elemento che Jonas critica nella valutazione della scienza moderna è quello di aver privato la natura sia della dotazione dell’anima, sia di quella dello spirito. Il dio del Timeo aveva infatti creato il mondo in quanto essere vivente perfetto o dio visibile, animato e razionale. In questa visione l’intelligibile e l’intelligente venivano considerati essenzialmente identici.22 La concezione giudeo-cristiana, che sostituì la visione greca, aveva invece spogliato il mondo di qualsiasi attributo divino e lo conside- rava come «unicamente creato e mai creatore».23 Solamente l’anima umana

20 H. JONAS, Organismo e libertà, p. 30.

21 Ibidem, pp. 17-18.

22 Ibidem, p. 101.

23 Ibidem.

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risultava quell’entità nel mondo – ma non del mondo – a essere creata a immagine di Dio. Da quest’idea consegue che «l’essenziale separazione di Dio e mondo si ripete o si rispecchia in tal modo nell’essenziale sepa- razione di spirito e natura».24 La metafi sica della scienza moderna colse questa separazione e quindi «non solo lo spirito, ma anche l’anima e la vita diventarono superfl ue per la conoscenza della natura»25, e da questo derivò l’immagine di una natura che non solo è priva di spirito, ma è anche priva di anima, ovvero che, paradossalmente, si muove senza essere viva.

Nell’interpretare la natura, la scienza moderna prese a modello la divisione cartesiana della realtà in sostanza pensante e sostanza estesa, nella quale la natura, ridotta essenzialmente a sostanza estesa, veniva totalmente svuotata dei suoi contenuti vitali e spirituali. Questa concezione fornì pertanto «la magna charta metafi sica per un’immagine puramente meccanicistica e quantitativa del mondo naturale».26

D’altra parte va notato come il rapporto di Jonas con la scienza sia alquanto complesso e non riducibile solamente al suo lato polemico.

Se da un lato egli critica la visione parziale e unilaterale dell’approccio scientifi co, dall’altro ritiene che esso sia l’unico a poter avanzare delle risposte concrete ai problemi pratici di sopravvivenza dell’umanità sulla terra. L’approccio scientifi co offre inoltre delle indicazioni teoretiche che si pongono spesso in contrasto con i presupposti metafi sico-religiosi e idealistico-razionali della modernità, di cui la stessa fi losofi a non può non tener conto nelle proprie analisi. La critica alla pretesa di assolutizzazione della scienza moderna, non implica affatto, secondo Jonas, una battaglia contro di essa.27

Ecco allora che il signifi cato di ‘biologia fi losofi ca’ quale denomina- zione che Jonas propone per il suo progetto ontologico, non va inteso come una pretesa di sostituire alla ricerca biologica specifi ca il proprio modello di indagine. Infatti, alla domanda se nella propria visione la biologia tradi- zionale dovesse esser ridotta ad una fi losofi a della biologia, Jonas risponde negativamente e indica in maniera chiara quali siano gli elementi distintivi di ciascuno dei due ambiti. In Erkenntnis und Verantwortung il fi losofo afferma che «una biologia non fi losofi ca è una pura biologia fi sica».28 Essa ignora che l’oggetto di cui si occupa possiede anche una sensibilità, spera, teme, ha paura ecc., e lo ignora perché naturalmente non sarebbe possibile intraprendere alcuna chimica di tipo cellulare se di continuo ci si

24 Ibidem.

25 Ibidem, p. 105.

26 Ibidem, p. 104.

27 Cfr. F.J. WETZ, Hans Jonas zur Einführung, Hamburg 1994, pp. 64-66; P. BECCHI, Presenta- zione, in H. JONAS, Organismo e libertà, p. XVII, e la polemica tra C.A. VIANO, La fi losofi a che non capisce la scienza. Un tentativo, fallito, di costruire un pensiero della vita contro la cultura tecno- logica, in «L’indice dei libri del mese», 17 (2000), 5, pp. 18-19, che giudica in modo estremamente critico e severo Organismo e libertà, fraintendendone, a mio parere, i presupposti, e la dura replica di P. BECCHI, in «L’indice dei libri del mese», 17 (2000), 7/8, p. 2.

28 H. JONAS, Erkenntnis und Verantwortung, p. 105.

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chiedesse quale possa essere il signifi cato di un determinato processo per la condizione interna dell’essere vivente cui una cellula appartiene. Una biologia fi losofi ca è invece tale nel momento in cui annulla la divisione delle sfere, e, nella trattazione dell’organismo, «non perde mai di vista che questo non è un’unità solo in senso funzionale, ma anche in senso psicofi sico».29 Per Jonas questo signifi ca che la soggettività dell’organi- smo è tanto inalienabile per una comprensione biologica, quanto la sua oggettività, e che una biologia fi losofi ca deve essere consepevole del fatto che «all’aspetto fi sico corrisponde sempre un aspetto psichico» e che un organismo è pure dotato di «un esserci soggettivo (subjektives Dasein)».30 La biologia fi losofi ca di Jonas si sforza di ricondurre all’unità la separazione di due dimensioni che nell’organismo sono, in ultima analisi, coincidenti.

Una fi losofi a della vita, intesa nel senso jonasiano, deve pertanto comprendere nel suo oggetto tanto la fi losofi a dello spirito, quanto quella dell’organismo. È questa la «prima proposizione» della fi losofi a della vita, e quindi, la sua ‘ipotesi anticipatrice’.31

Organismo e libertà offre un’interpretazione ‘ontologica’ di fenomeni biologici in cui si comprende come, eliminando la scissione di interiorità ed esteriorità tipica delle concezioni moderne (tanto scientifi che quanto fi losofi che), si possa giungere ad una visione unitaria dell’organico che infl uenza anche la visione dell’umano tout court. Infi ne, l’assunzione del corpo vivente a paradigma di comprensione dell’essere dà la possibilità di intravedere come le grandi contraddizioni che l’essere umano scopre in sé – libertà/necessità, autonomia/dipendenza, io/mondo ecc. – posseggano

«le loro preformazioni germinali già nelle forme più primitive di vita».32

2. La centralità del corpo

La critica al dualismo, ai monismi particolari e alle scienze naturali ha valore solo se si inserisce all’interno di un progetto costruttivo e di indagine alternativa. Dal momento che il dualismo portò alla luce una duplicità non arbitraria, ma «fondata nell’essere stesso», Jonas individua la necessità di reperire un elemento – che serva da oggetto d’indagine e paradigma metodologico – in cui la duplicità caratterizzante l’essere venga mantenuta. Occorre, in altre parole, trovare un ‘oggetto reale’ che indichi da un lato l’illusorietà della separazione di natura e spirito e dall’altro possa essere indagato in maniera ‘oggettiva’.33 Questo ‘duplice oggetto’, è, come abbiamo più volte rilevato, il corpo. Il corpo è l’ambito in cui

29 Ibidem.

30 Ibidem, p. 106.

31 H. JONAS, Organismo e libertà, p. 7.

32 Ibidem, pp. 3-4.

33 Cfr. R.F. TIBALDEO, La rivoluzione ontologica di Hans Jonas. Uno studio sulla genesi e il signifi cato di «Organismo e libertà», Milano 2009, pp. 90 ss.

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vengono ad essere i signifi cati fondamentali dell’essere umano (vita, morte, piacere, dolore, malattia, salute …) e contemporaneamente possiede una struttura intrinsecamente ‘bivalente’, ‘binaria’, talvolta ‘ambigua’. Esso è infatti contemporaneamente un essere e un avere, oggetto e soggetto, ciò che ci mette in relazione con il mondo, che ci fa conoscere il mondo, ma anche ciò che ci separa da esso. Il corpo è «il memento dell’ancora irrisolto interrogativo dell’ontologia su cosa sia l’essere, e deve essere il canone dei futuri tentativi di soluzione» di esso e di comprensione dell’essere.34

Per prima cosa va detto che Jonas non attua una vera e propria analisi teoretica della corporeità, ma la sua attenzione è rivolta maggiormente all’utilizzo del corpo umano come paradigma di quella modalità dell’essere in cui soggettività e oggettività sono indissolubilmente intrecciate, ovvero uno strato dell’essere in cui sé e mondo, soggetto e oggetto non sono più separati, ma sono in una relazione reciproca. Detto altrimenti: «l’uno non può più essere senza l’altro».35

Tra corpo e mondo si realizza per Jonas un rapporto reciproco, che rivela il movimento attraverso cui l’essere si manifesta e si rende esistente contro il non essere. La corporeità è quindi da un lato creatrice di senso, dall’altro però essa è creatura, permanenza e mutabilità, ovvero è provvista di due dimensioni, unione di opposti, di soggettività-oggettività, esterno- interno, sentito e senziente. È questa duplicità della corporeità l’elemento che non è stato colto dal pensiero moderno,

«dal momento che l’idealismo – in ciò una fedele immagine del materialismo – anno- vera del tutto il corpo tra gli oggetti esterni o i fenomeni dell’esteso, comprendendolo come oggetto dell’esperienza invece che come fonte dell’esperienza, come datità per il soggetto invece che come realtà attiva-passiva del soggetto stesso».36

L’analisi jonasiana della corporeità consiste quindi 1) nella critica ad un certo indirizzo dominante del pensiero fi losofi co che si muove in un dualismo di mente e corpo (critica riferita alla teoria cartesiana, all’ideali- smo e al materialismo); 2) nella critica relativa alla teoria della conoscenza sensibile che vede il corpo come mera passività e recettività (riferita alla gnoseologia tradizionale che, nella forma paradigmatica elaborata da Kant nella Critica della ragion pura, costituisce il fondamento per le moderne teorie del comportamento e del rapporto organismo-ambiente); 3) e infi ne, nella considerazione della corporeità come matrice della concreta esistenza umana, come centro di azioni correlate ad un mondo.

Per comprendere la concezione jonasiana della corporeità bisogna fare un breve riferimento alla sua considerazione della ‘sensorialità’ e della

‘percezione’. L’analisi jonasiana della fenomenologia dei sensi si fonda sulla critica della visione per cui la percezione possiede una funzione puramente conoscitiva e riguarda unicamente un soggetto teoretico e non

34 H. JONAS, Organismo e libertà, p. 27.

35 Ibidem, p. 28.

36 Ibidem, p. 33.

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pratico (dove pratico signifi ca il concreto agire corporeo della persona psicofi sica nel suo rapporto con il mondo). Questo viene letto da Jonas come un rifi uto di considerare il compito costitutivo della corporeità, relegando la ‘funzione attiva’ ad un principio solamente spirituale. La percezione non è, per Jonas, a servizio della coscienza, ma dell’azione, per cui gli oggetti percepiti sono strettamente correlati a ciò che il corpo fa, in un rapporto per cui più ampio è il potenziale di azione del corpo, maggiore risulta anche il campo della percezione. Percepire è quindi un agire, ma non nel senso che la percezione attua una effettiva alterazione dell’oggetto, ma nel senso che essa rifl ette la possibile azione dell’oggetto sul mio corpo e viceversa.37

Il corpo e l’ambiente si riferiscono quindi l’uno all’altro, e il ‘mio’

corpo è il momento decisivo per la costituzione di un mondo oggettivo: il soggetto percipiente si muove in una dimensione ancora priva di distinzione tra res cogitans e res extensa. La possibilità di creare ed avere un mondo è quindi per Jonas sempre mediata dal corpo, il quale non è un ‘semplice’

strumento, ma «l’involucro vivente delle nostre azioni», senza il quale, in quanto punto di partenza della nostra più ampia e generale estrapolazione nel tutto della realtà, «non si potrebbe trarre alcuna idea di forza e azione nel mondo … dunque nessun concetto di natura in generale».38

Alla luce di questa considerazione della corporeità va letta anche la relazione anima-corpo che, secondo Jonas, non rappresenta più un problema se si rinuncia a defi nire il corpo come un sistema di meccanismi presta- biliti, in cui un ‘sé’ viene contrapposto ad un ‘per sé’, e se si rinuncia a relegare la coscienza nella pura interiorità. Considerando separatamente i due elementi si giunge infatti o ad una visione puramente materialistica, che vede la coscienza come puro epifenomeno, o ad una prospettiva intellettua- listica che comprende tale coscienza come una sorta di ‘pilota’ del corpo.

La considerazione del soggetto come ‘totalità strutturale inscindibile’

fa sì che per Jonas anche la coscienza entri a far parte della dinamica corporea totale come costruzione di un mondo. La presupposta unità del soggetto come individualità psico-fi sica costituitasi nell’atto originario dell’esistenza, è data dalla considerazione del corpo umano nella sua integralità e processualità.

È comprensibile allora come l’analisi del rapporto organismo-ambiente debba prescindere tanto da una spiegazione dei rapporti di causalità e dipendenza, quanto da una riduzione degli oggetti a puri signifi cati per

37 Così Jonas, ibidem, p. 229: «Percepire signifi ca ammettere il contenuto di senso in un tutto esperienziale, mostrando qualità cognitive come quelle di conosciuto, familiare, indeterminato, misterioso, insolito. Persino l’esperienza dell’assolutamente nuovo, senza precedenti, che lascia colui che percepisce del tutto perplesso su cosa egli abbia di fronte a sé, è possibile solo sullo sfondo dell’abituale in cui il suo percepire è di casa. Così la percezione in quanto tale, come si costituisce in ogni singolo caso sullo sfondo dell’esperienza passata, indirizza nel contempo in avanti a una futura convalida o invalidazione: la prossima percezione può ampliarla, confermarla, correggerla o cancellarla (benché non possa naturalmente cancellare la precedente sensazione stessa)».

38 Ibidem, p. 33.

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una coscienza costituente. Organismo e ambiente debbono essere compresi a partire da una struttura pre-categoriale che non solo conduce ad un ripensamento delle categorie ontologiche (che scienza e fi losofi a hanno usato sin da Cartesio), ma implica anche la sottrazione delle categorie di temporalità e spazialità a defi nizioni oggettive, e la loro considerazione come fenomeni originari.

Nell’indagine della corporeità Jonas fa riferimento ad uno «schematismo del movimento corporeo orientato», inteso come un complesso di movi- menti orientati (teleologicamente), che contribuiscono a costituire, attraverso l’agire, un mondo la cui ampiezza e articolazione dipende appunto dalla struttura stessa del corpo.39 Il discorso jonasiano sullo schema corporeo si inserisce all’interno della critica nei confronti dello schematismo dell’in- telletto proposto da Kant. Secondo Jonas, infatti, la concezione kantiana non è in grado di cogliere la dimensione fondante dell’esperienza della forza che, come carattere essenziale dell’agire e della causalità, rende possibile la costituzione di un mondo naturale. L’esperienza della forza vitale, cioè dell’attività del corpo, «è la base esperienziale per l’astrazione dei concetti di agire e causalità». La causalità non è allora, per il fi losofo,

«un fondamento aprioristico dell’esperienza», bensì «un’esperienza fon- damentale» che viene acquisita attraverso lo «sforzo» (Anstregung) che l’io deve compiere per superare «la resistenza della materia mondana».40

La realtà ‘ambigua’ del corpo si mostra anche nel fatto che esso non è nello spazio-tempo, ma inerisce ad esso; infatti,

«il fatto che possediamo un corpo … è il fattore primario della nostra ‘spazialità’:

un corpo che non solo occupa geometricamente un volume di spazio, ma che è in costante interazione fi sica con il mondo, persino quando è fermo».41

Si potrebbe defi nire la spazialità descritta da Jonas come una sorta di ‘spazialità della prassi’, nel senso che è costituita dalla motilità del corpo il quale non vive ‘nello spazio’, ma vive ‘lo spazio’. Esso è, in altre parole, la concreta partecipazione al mondo che, per Jonas, signifi ca contemporaneamente apertura di uno spazio e costruzione di un mondo.

Per chiarire, il corpo rappresenta per Jonas ciò attraverso cui l’io e l’interiorità sono realmente estesi, ma questo non nel senso di un corpo

39 Cfr. W. SZOSTAK, Teleologie des Lebendigen. Zu K. Poppers und H. Jonas’ Philosophie des Geistes, Frankfurt a.M. 1997, pp. 74 ss. La spiegazione merleau-pontiana del concetto di ‘schema corporeo’ è sicuramente più chiara e dettagliata di quella fornita da Jonas. Non a caso molti studiosi hanno preso in analisi la visione di Marleau-Ponty, legandola a quella jonasiana, per tentare di colmare le lacune presenti nell’interpretazione di quest’ultimo. Cfr. M. MERLEAU-PONTY, Fenomenologia della percezione, trad. it., Milano 1965, p. 153. Sulla prospettiva ontologica di Merleau-Ponty cfr. A. BONOMI, Esistenza e struttura. Saggio su Merleau-Ponty, Milano 1967; M. CARBONE - C. FONTANA (edd), Negli specchi dell’Essere. Saggi sulla fi losofi a di Merleau-Ponty, Cernusco Lombardone (Como) 1993.

40 H. JONAS, Organismo e libertà, p. 31 .

41 Ibidem, p. 201. L’idea dell’accesso al mondo attraverso le dimensioni spazio-temporali dispiegate dal corpo viene indagata da U. GALIMBERTI, Il corpo, Milano 1993, pp. 73 ss. Il fi losofo sostiene che non è dato di accedere al mondo senza l’attraversamento di quello spazio che il corpo dispiega intorno a sé mediante e nella forma della prossimità o della vicinanza delle cose.

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materiale che occupa indistintamente uno spazio e in cui si troverebbe una coscienza esteriorizzata attraverso di esso, bensì esso è ciò che per- mette l’apertura di una realtà spaziale, ovvero rappresenta «la dimensione esterna della propria spazialità interna, la quale occupa di per sé spazio nel mondo».42 Il corpo è il centro di orientamento dell’io agente nel mondo, dal momento che esso è «il punto in cui l’interiorità si trascende attivamente all’esterno e continua se stessa in questo con le sue azioni».43 Jonas presuppone allora un movimento che non va inteso come oggettivo e diretto nello spazio, ma come un ‘progetto’ di movimento che viene posto a fondamento di tutta l’attività sensoriale. Il corpo è quindi un insieme, un sistema totale, in cui le differenti funzioni si intrecciano nella loro singolare libertà e nel loro progetto globale di ‘far funzionare’ l’intero organismo. È questo il senso teleologico di cui sono dotati il corpo nella sua interezza e totalità, così come le sue singole entità organiche.

3. L’uomo misura di tutte le cose? Ambiguità e ricchezza della proposta jonasiana

La biologia fi losofi ca di Jonas ha come sfondo la domanda intorno all’essenza dell’uomo in relazione alla sua collocazione all’interno del mondo. L’impostazione del fi losofo è direttamente connessa al rifi uto del dualismo spirito-corpo/uomo-mondo e assume a principio metodologico l’unità del corpo vivente e l’indagine di un fenomeno empiricamente descrivibile, ovvero quello dell’azione, come dimensione di apertura verso il mondo che coinvolge tanto la struttura fi sico-motoria, quanto quella prettamente ‘spirituale’.44 La descrizione dei modi dell’azione umana viene posta nei termini di «cosa distingua l’uomo dagli altri esseri viventi, quindi dall’animale»45, ma ben lungi dall’applicazione di qualche scienza zoologica all’uomo, Jonas indirizza la sua indagine sulla comprensione della «posizione peculiare» (Sonderstellung) dell’essere umano all’interno del mondo e riconosce nella struttura «meta-animale» (Transamalische) del corpo, ovvero tanto nei suoi organi di senso quanto in quelli motori, la via per la comprensione di questa differentia specifi ca.46

Le considerazioni di Jonas prendano avvio principalmente da una sorta di auto-osservazione che egli defi nisce «superiorità del soggetto corporeo nella conoscenza»47; è attraverso l’osservazione della nostra peculiare modalità di esistenza che possiamo dedurre e comprendere la nostra essenza. Dal momento che

42 Ibidem, p. 27.

43 Ibidem, p. 32.

44 Cfr. su questo N. RUSSO, La biologia fi losofi ca di Hans Jonas, Napoli 2001, pp. 110 ss.

45 H. JONAS, Organismo e libertà, p. 204.

46 Ibidem.

47 Ibidem.

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«siamo noi stessi cose viventi e materiali, abbiamo degli spioncini per scrutare l’in- teriorità della sostanza e tramite ciò un’idea (o la possibilità di un’idea) non solo di come il reale sia esteso nello spazio … bensì anche di che cosa signifi chi essere effettivo, avere un effetto e subire un effetto».48

La centralità dell’esperienza del ‘proprio’ corpo per la comprensione della totalità dell’essere, va però utilizzata in senso critico «per evitare le trappole dell’antropomorfi smo».49 Infatti, «checché ne dicano i biologi o i behavioristi», questa peculiarità della nostra conoscenza avviene di continuo e se così non fosse non sarebbe nemmeno possibile cogliere l’esistenza della vita che ci circonda e «l’oggetto stesso da cui essi [i biologi] possono effettuare la loro astrazione».50 Il puro intelletto analitico potrebbe possedere una conoscenza dettagliatissima del nervo ottico, del centro visivo nel cervello, di tutte le funzioni che ogni parte dell’occhio svolge, «senza però mai desumere da una tale ‘completa’ informazione di aver assistito a un processo visivo».51 Noi esseri viventi e corporei vice- versa, «della terra, terreni, dotati noi stessi di occhi, sappiamo – e non solo deduciamo –, che un individuo organico dotato di queste strutture, ha la facoltà di vedere con esse, qualunque sia la fi sica del processo».52 Un osservatore analitico avrebbe quindi, in ogni caso, una visione sempre inferiore e non globale rispetto al nostro punto di vista interiore, in altre parole, rispetto ad un indagatore che si concentra sul Leib (corpo vissuto/

esperienziale) e non solamente sul Körper (corpo/materia). Ecco perché si può affermare con Jonas che «l’uomo è la misura di tutte le cose», ma non attraverso le regole della sua ragione, bensì attraverso «il para- digma della sua totalità psicofi sica che rappresenta il massimo di concreta completezza ontologica a noi conosciuta».53 Partendo dal ‘proprio corpo’

l’essere umano può determinare ‘riduttivamente’ le altre classi dell’essere per progressive sottrazioni ontologiche sino ad arrivare alla materia ele- mentare54 la quale, per la legge della ‘continuità’ che caratterizza tutti gli organismi viventi, deve avere in sé la preformazione di quei caratteri che costituiscono l’essere umano.

La conoscenza dell’esistente deriva allora, secondo il fi losofo, da una auto-osservazione e auto-rifl essione che parte dalla ‘mia’ personale esperienza. Sorge spontaneo a questo punto chiedersi se in tale modalità (ovvero in generale in un’auto-osservazione), seppur con esiti o meglio con fi nalità differenti, non sia rintracciabile un rinvio, se non una riproposizione, proprio del cogito cartesiano su cui Jonas fonda la sua critica al dualismo.

Ci si chiede, in altre parole, come e se sia plausibile intravvedere, nell’atto dell’auto-rifl essione proposto dal fi losofo, un’unità di ‘corpo e spirito’, di

48 Ibidem, p. 128.

49 Ibidem.

50 Ibidem.

51 Ibidem.

52 Ibidem.

53 Ibidem, p. 32.

54 Ibidem.

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osservatore e osservato, di soggetto e oggetto, o se si debba constatare come Jonas, seppur a dispetto delle proprie intenzioni, rimanga comunque in parte imbrigliato in quel dualismo da cui tenta, in ogni luogo della sua rifl essione fi losofi ca, di liberarsi.

Come ho già rilevato Jonas non ha delineato chiaramente una teoria complessiva della corporeità, ma si è limitato ad accenni, che, seppur fondati su una precisa scelta terminologica, rendono talvolta diffi cile e ambigua la comprensione di tutti gli elementi messi in gioco. Il problema che qui si pone, e che non trova una soluzione del tutto adeguata nell’in- dagine jonasiana, è quello di come possa essere indagata la dinamica della corporeità se il corpo non può mai essere considerato come oggetto d’analisi, ma deve sempre essere compreso (che per Jonas vuol dire vis- suto) ‘immediatamente’.

Jonas tenta di risolvere tale diffi coltà, anche se non in maniera espli- cita, ritenendo che dal momento che io ‘vivo’ il mio corpo, tale esperienza deve essere resa esplicita attraverso una rifl essione che non sia però di tipo intellettualistico. Una rifl essione che si rivolga cioè non al rifl esso bensì al vissuto, e che sia condotta in modo tale da non separare il soggetto dal mondo, considerandolo invece come un essere-presso-il-mondo. Infatti per Jonas il mondo e la coscienza sono dati insieme simultaneamente nella mia esperienza vissuta per cui, se si tenta di separarli, cessano immediatamente di essere tali. Questa tipologia di rifl essione presenta però alcune diffi coltà dal momento che, se la conoscenza del mio corpo avviene solamente vivendolo, e non attraverso un atteggiamento rifl essivo, non si comprende come, secondo Jonas, questo ‘diverso’ tipo di rifl essione, in quanto modo di accesso all’esperienza, possa realmente avvenire. Il fi losofo infatti, non esplicita mai la modalità di questa rifl essione, limitandosi a delinearne la necessità e l’imprescindibilità per giungere alla conoscenza dell’essere.

Un ulteriore rischio in cui incorre la visione jonasiana della corporeità è il fatto che assumere il corpo, il ‘mio’ corpo, come paradigma di com- prensione non solo di me stesso ma di tutto l’esistente, possa condurre ad un’interpretazione di tipo antropocentrico. In realtà, è necessario attuare una distinzione tra antropocentrismo (che individua una specifi cità umana in senso qualitativo e la utilizza per l’interpretazione di tutto il reale) e antropomorfi smo (che considera invece la specifi cità umana nel senso di una maggior complessità). L’analisi della struttura della corporeità, proposta da Jonas, si pone nella seconda delle due prospettive. Jonas infatti ha sì indicato nel corpo umano il grado più alto di completezza ontologica, ma ha anche evidenziato come al centro della meditazione dell’essere sia il fenomeno del metabolismo, che non è esclusivamente umano, ma accumuna tutti gli esseri viventi.55 In altre parole, senza il corpo e «la sua elementare

55 Cfr. C. FOPPA, L’être humain dans la philosophie de la biologie de H. Jonas: quelques aspects, in G. HOTTOIS - M. G. PINSART (edd), Hans Jonas. Natura e responsabilità, Lecce 1985, pp. 245-267.

A questo proposito anche K.-O. Apel ritiene che la posizione jonasiana si opponga alla visione antro- pocentrica come orizzonte di pensiero all’origine dello sfruttamento della natura, e cerchi di trovare

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esperienza di sé», come punto di partenza per la nostra conoscenza del reale, non potremmo trarre alcun concetto di natura in generale.56 D’altra parte, la scala biologica della vita, che culmina nel corpo umano e si differenzia per funzioni, sensibilità dei sensi, intensità degli istinti ecc., è caratterizzata da una «progressiva sovrapposizione di strati» dove però ciascuno strato superiore (e quindi anche il corpo umano) dipende da quello inferiore e contemporaneamente mantiene in sé tutti gli strati inferiori.57

Detto ciò, va evidenziato che all’interno del progetto di fi losofi a della biologia di Jonas si delinea una proposta teoretica che, al di là della valu- tazione, più o meno effi cace, dei singoli contenuti, mostra la sua originalità nell’aver indicato come la fi losofi a non possa e soprattutto non debba rinunciare ad un’interrogazione critica della contemporaneità, che instauri però un profi cuo dialogo con le scienze particolari. In mancanza di tale istanza, la fi losofi a scadrebbe, secondo il fi losofo, a mero sapere tecnico e tradirebbe quindi il suo compito essenziale. Lo sfondo problematico della critica jonasiana alla reductio ad unum attuata dai ‘monismi parziali’, che dominano tanto la scena fi losofi ca, quanto quella delle scienze particolari, non è quindi solamente un rinnovato ripensamento dell’essere dell’uomo e della natura, e un tentativo di riconciliazione della scissione io-mondo, ma ancor più l’idea di liberare la fi losofi a dalla ‘prigionia’ dell’ambito mentale, ridefi nendone il compito specifi co in relazione alle altre scienze.

La biologia fi losofi ca jonasiana non è un’elaborazione avulsa rispetto al lavoro delle scienze particolari della natura, quanto piuttosto una forma di ‘comprensione’ che trova il suo punto di partenza e il suo terreno di nascita proprio nei risultati a cui queste scienze conducono.

Utilizzando una terminologia che non appartiene all’indagine jona- siana, ma che proviene dalla fi losofi a della logica, si potrebbe a buon grado sostenere che il tentativo jonasiano è quello di ‘coerentizzare’ due ambiti teorici (fi losofi a e biologia) che egli ritiene ‘in se stessi consistenti’.

Per Jonas biologia e fi losofi a sono infatti considerabili come due teorie consistenti, dove ‘consistenza’ signifi ca che tutti gli elementi interni ad entrambe le teorie possono essere insieme veri, perché la loro congiunzione non è contraddittoria. La consistenza di due teorie non implica però che esse siano ‘necessariamente’ coerenti tra di loro: possono infatti entrambe assurgere al loro grado di veridicità, dal momento che tra di loro non è necessario che si instauri una congiunzione degli elementi dell’una con quelli dell’altra. In breve, due teorie consistenti possono dirsi autonome, entrambe vere, senza che l’una debba instaurare un qualsiasi rapporto con l’altra. La critica jonasiana alla visione fi losofi co-scientifi ca contemporanea non consiste quindi nel negare la consistenza delle due posizioni (fi loso-

una via anteriore alla relazione soggetto-oggetto dell’epistemologia moderna. Cfr. K.-O. APEL, La crisi ecologica come problema per l’etica del discorso, trad. it. in G. HOTTOIS - M.G. PINSART (edd), Hans Jonas. Natura e responsabilità, pp. 159-200.

56 H. JONAS, Organismo e libertà, p. 33.

57 Cfr. ibidem, p. 8.

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fi a o biologia), ma si rivolge alla loro pretesa di assurgere ad una verità assoluta (ovvero slegata da quella dell’altra), senza tentare di attuare una coerentizzazione dei due ambiti. La consistenza è infatti una condizione necessaria, ma non suffi ciente della coerenza. La coerenza (che quindi non si dà tra due teorie in sé non consistenti) è un concetto graduale e si attua nel momento in cui tra entrambe le teorie si individuano delle

‘connessioni inferenziali’.

Jonas quindi, servendosi dell’esempio empirico dell’unità psico-fi sica del corpo come modello di coerenza, intende, attraverso la costituzione di una fi losofi a della biologia, coerentizzare due teorie (fi losofi a e biologia) o due ambiti (soggettivo e oggettivo/spirito e corpo) ritenuti, dal pensiero moderno e contemporaneo, o semplicemente consistenti – perché privi di qualsivoglia connessione inferenziale –, o contraddittori. La tesi della mera consistenza si fonda infatti sull’assunzione che la fi losofi a da un lato, e le scienze particolari dall’altro, si muovono su due differenti livelli logici, e di conseguenza quindi, riferendosi a livelli assolutamente autonomi, non instaurano alcuna conciliazione, ma nemmeno alcuna contraddizione. La tesi della contraddizione al contrario, sostenuta ad esempio dalla prospettiva del riduzionismo naturalistico, ritiene che il discorso fi losofi co, incentrato su temi come quelli di spirito, libertà, moralità ecc., venga semplicemente smentito dai risultati delle scienze particolari.58

La fi losofi a della biologia jonasiana si forza pertanto di intraprendere una ‘terza via’, dal momento che non ha la pretesa di sostituirsi al con- creto lavoro delle scienze, ma intende ridefi nire il ‘nuovo compito’ della fi losofi a, che essa può affrontare

«solo in sintonia sempre più stretta con le scienze della natura, dal momento che queste ci dicono che cos’è quel mondo corporeo con cui il nostro spirito deve con- cludere una nuova pace».59

58 La distinzione qui presentata è consapevolmente riduttiva. Va detto infatti che alcuni espo- nenti del naturalismo – come ad esempio Dennet – pur abbandonando l’idea di una ‘fi losofi a prima’, riconoscono ad essa il compito di collaborare con la scienza per la ricerca della verità, cfr. D. DENNET, L’evoluzione della libertà, Milano 2004, p. 20. Per un’interessante vaglio delle differenti correnti naturalistiche contemporanee, cfr. M. DE CARO, Il naturalismo scientifi co contemporaneo: caratteri e problemi, in P. COSTA - F. MICHELINI (edd), Natura senza fi ne, pp. 85-95. Lo studioso, considerando il naturalismo contemporaneo come una concezione metafi losofi ca generale, ne critica soprattutto un fi lone, quello del ‘naturalismo scientifi co’. Il naturalismo scientifi co – la forma oggi più comune –, ritiene infatti che la fi losofi a debba rinunciare a qualsivoglia appello ad entità, proprietà o spiegazioni sovra-naturali. Dal momento che i concetti relativi ad entità astratte (valori, sentimenti ecc.) non pos- sono essere ridotti a concetti scientifi camente accettabili, essi devono essere necessariamente esclusi dall’indagine fi losofi ca. È questa, ad esempio l’idea di H. Field che sostiene che «quando ci troviamo di fronte ad un complesso teorico … che pensiamo non possa avere alcuna fondazione fi sica, noi tendiamo a rigettare quel complesso teorico»; H. FIELD, Physicalism, in J. EARMAN, Inference, Explanations, and Other Frustrations: Essays in the Philosophy of Science, Berkeley (CA) 1992, p. 271.

59 H. JONAS, La fi losofi a alle soglie del duemila. Una diagnosi e una prognosi, trad. it., Genova 1994, p. 45. Corsivo mio.

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