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La morte dell’ethos scientifico

Quando il medievalismo dominava l’Europa, la

‘razionalità’ di Jehova conservò il suo pre-dominio per un millennio, ma la scienza era virtualmente estinta.

Lewis Feuer

Se dessimo ascolto a Imre Lakatos, potremmo liquidare il problema del Me-dioevo con una battuta: nel MeMe-dioevo non ci fu scienza e quindi non poteva esserci ethos della scienza. Naturalmente, questa è una visione drastica della storia del pensiero umano che una schiera di agguerriti storici revisionisti sta cercando di mettere in discussione. Ma per quanto si raschi il fondo del barile e si elenchino le scoperte ‘scientifiche’ del Medioevo, rimane il fatto che su un piano tanto quantitativo quanto qualitativo, esse impallidiscono di fronte alla massa di scoperte dei periodi antecedente e successivo. Se dividiamo la storia in pressappoco tre millenni e li mettiamo a confronto, ci accorgiamo chiaramente che il millennio centrale offre ben poco dal punto di vista della conoscenza scientifica. Questo, naturalmente, se teniamo ben distinti i con-cetti di scienza e di tecnica.

Secondo Lakatos (1995: 46), che amava usare espressioni colorite, tutta l’operazione revisionistica tesa a rivalutare la scienza medievale è una sorta di ‘grande truffa’ ordita coscientemente da Stalin e dal Papa. Queste le parole da lui pronunciate, durante una lezione di filosofia della scienza alla London School of Economics: «Comincio dunque dall’induttivismo… Dobbiamo tor-nare al diciassettesimo secolo, quello in cui la scienza ebbe inizio. Per inciso, in libreria avrete gettato certo un’occhiata agli scaffali dedicati alla ‘Storia della scienza nel Medio Evo’; ebbene, vi dirò che ho appena appreso negli archivi a Roma che, nel 1929, ci fu un incontro segreto fra i rappresentanti del Papa e di Stalin. Secondo i marxisti – il succo è questo – più un sistema economico è sviluppato, più è sviluppata la sua scienza. Così, prima abbiamo il sistema schiavistico, poi il feudalesimo, quindi il capitalismo. Fermiamoci qui. Sappiamo certamente che il primo espresse personalità come Archimede e Tolomeo; mentre il capitalismo personalità come Newton e Einstein. Così,

ci devono essere stati [nel mezzo] scienziati migliori di Archimede, ma non all’altezza di Newton o di Einstein».

Naturalmente, la notizia del complotto segreto è da prendere con le molle, se non altro perché l’evento cospirativo è… segreto! È però vero che sulla questione della scienza sussiste (almeno sul piano logico) una convergenza di interessi storiografici tra cattolici e marxisti. Molti marxisti si sono in effetti preoccupati di evitare l’idea di quello che Lakatos chiama ‘slittamento re-gressivo’. Questo perché, ammettendo che la società possa regredire e con essa la sua scienza, si sarebbe persa la certezza che il previsto mutamento da capitalismo a socialismo sarebbe stato necessariamente progressivo. L’idea di una successione di diverse società con correlate strutture cognitive non è esattamente la filosofia della storia marxista. Essa, come del resto lo schema sociologico positivista, contiene anche l’idea di una evoluzione, di un pro-gresso verso il meglio. Ecco perché diventa importante, dal punto di vista marxista ortodosso, rivalutare il Medioevo.

Lakatos spiega poi le ragioni dei cattolici: «E la Chiesa cattolica? La Chiesa cattolica sta ancora scontando le accuse di chi, durante l’Illuminismo, chiamò il periodo della supremazia della Chiesa cattolica non solo Medio Evo [Middle Ages], ma Età Oscura [Dark Ages]. Gente come Voltaire pen-sava che la Chiesa avesse distrutto la scienza: fino al Rinascimento ci sarebbe stata oscurità, appunto i Secoli bui. Credo che cattolici e marxisti avessero un interesse comune a mettere [fra Antichità e Rinascimento] qualcosa [di posi-tivo]. Per la verità, questo tentativo era incominciato con Pierre Duhem, un eminente cattolico e patriota francese, che intorno al 1900 si diede a scrivere, in dieci volumi, la storia dell’inesistente scienza medievale. A Oxford, per esempio, oggi c’è un uomo illustre che ha scritto un libro intitolato The Hi-story of Science from Augustine to Galileo. Si tratta del professor A. Crom-bie, il quale ovviamente è anche cattolico». Ai testi revisionisti citati da La-katos, si può senz’altro aggiungere La vittoria della ragione di Rodney Stark (2006) – il più recente tentativo di ricondurre geneticamente la scienza al cristianesimo, nonché l’ennesimo che tralascia un piccolo dettaglio: la rivo-luzione scientifica avviene ad Alessandria d’Egitto tre secoli prima della na-scita di Gesù Cristo.

Dunque – e questo sarebbe certamente un’interessante programma di ri-cerca per la sociologia della storiografia della scienza – la scienza medievale la vedono sono quelli che sono interessati a vederla per motivi ideologici.

Ma il filosofo ungherese aggiunge che, oltre a coloro che rivalutano il Me-dioevo per rendere un servizio al marxismo o al cattolicesimo, ci sono anche storiografi che si interessano al periodo per motivi meno nobili: «Vedete

al-lora che tutta questa cultura medievale, fino a poco fa, veniva recuperata da cattolici o da marxisti, questi ultimi soprattutto in Unione sovietica. Ci sono più cattedre di scienza medievale in URSS che in qualsiasi altra parte del mondo. Oggi, naturalmente, la situazione è diversa, poiché la gente cerca lavoro e dice: ‘guarda ci sono un sacco di cattedre di Scienza del Medio Evo, perché non ci specializziamo in questa materia?’. In tal modo comunismo, cattolicesimo e parassitismo contemporaneo si uniscono per generare la scienza medievale. (…) Non ci si può lamentare di questo, ma vorrei scrivere a chiare lettere che la scienza è cominciata nel diciassettesimo secolo e quin-di la filosofia della scienza non può essere iniziata prima quin-di allora!».

Di cosa parlano tutti questi storici, se la scienza medievale non esiste?

Cercano di vedere le radici della scienza in certe forme avanzate di artigia-nato, mancando di riconoscere ancora una volta la distinzione tra una tecno-logia empirica ed una tecnotecno-logia che nasce da speculazioni astratte. Non si nega il fatto che diverse invenzioni e scoperte tecnico-scientifiche si siano sviluppate partendo da pratiche artigianali, e che il Medioevo sia stato parti-colarmente prolifico in tal senso, ma ciò non deve cancellare l’importanza dei processi che vanno esattamente in direzione opposta: ovvero, dalla specula-zione all’applicaspecula-zione. Piccole ma utili invenzioni medievali come la ferratu-ra e la staffa per i cavalli, il giogo fissato alle spalle e non al collo degli ani-mali da tiro, il mulino ad acqua e a vento, la pialla, la bussola, le lenti, gli occhiali (inventati, pare indipendentemente, da Ruggero Bacone e dai cinesi), gli orologi meccanici, la bilancia sono senza dubbio importanti tanto in se stesse e quanto per gli sviluppi successivi della scienza, ma non possono es-sere messe sullo stesso piano dell’applicazione alla balistica degli studi sulle coniche. Oppure, per citare ancora il caso più clamoroso, si pensi alle appli-cazioni dell’energia atomica, nate da speculazioni sulla natura dello spazio e del tempo.

Dunque, Lakatos ha buone ragioni per svalutare la scienza medievale.

Ciononostante, il filosofo ungherese commette alcuni errori storiografici nella sua analisi che debbono essere sottolineati. Il primo consiste nel non riconoscere che sarebbe conveniente separare le due epoche dell’Alto e del Basso Medioevo, giacché la nascita dei Comuni nell’Italia settentrionale e nelle Fiandre dopo l’anno mille è una trasformazione sociale e culturale di ampia portata che ha ripercussioni anche sulla ricerca filosofica e scientifica.

Non a caso nascono in questo periodo le università, la prima a Bologna intor-no al 1088 e poi tutte le altre a seguire.

Il secondo consiste nel trascurare il fatto che alla rivalutazione della scienza medievale, almeno quella del Basso Medioevo, sono interessati

an-che i borghesi laici e protestanti. Il motivo è presto detto: ricondurre le radici della scienza alle botteghe artigiane dei borghi medievali, al fare pratico, all’utilitarismo, come fa J. D. Bernal (1965, 1983) con la sua prospettiva marxista, significa legare strettamente l’origine della scienza alla nascita della borghesia. Ciò potrebbe non dispiacere affatto agli scientisti non-marxisti.

In realtà, e qui c’è la terza critica alla prospettiva lakatosiana, la scienza affonda le radici nelle strutture culturali e sociali della società greca, che era fondamentalmente aristocratica. Lakatos, da un lato, si mostra conscio del fatto che, così come i tempi moderni possono vantare Newton ed Einstein, i tempi antichi possono rispondere con Archimede e Tolomeo, per tacere di Ipparco, Eratostene, Euclide ed altri ancora. Il vuoto è nel mezzo e questo è assodato. Ma poi, da questa osservazione, Lakatos non trae le dovute conclu-sioni, ovvero che c’era una scienza degna di questo nome prima del Medioe-vo. Egli continua invece, ossessivamente, a ripetere che la scienza è comin-ciata nel diciassettesimo secolo. Questo assunto è stato recepito dogmatica-mente da molti sociologi e filosofi contemporanei, nonostante sia contrad-detto da un’imponente mole di dati storici. Il motivo risiede forse nei pro-grammi di studio delle università. Per quanto riguarda la sociologia, si fa partire la storia della disciplina da Comte e si limita lo studio empirico alla società industriale e postindustriale. Per quanto riguarda la filosofia, soprat-tutto nella tradizione analitica anglosassone, si tendono a svalutare a priori i percorsi storici delle idee.

Ci pare, invece, di avere ampiamente mostrato che ciò che davvero co-mincia nell’era moderna è l’applicazione sistematica della scienza alla tecni-ca, non la scienza in se stessa. Per quanto precede, pur con le dovute cautele e limitatamente all’Alto Medioevo, ci pare più saggio rimanere legati alla visione storica tradizionale, quella illuministica per intenderci, piuttosto che ai revisionismi emersi a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. Sono infatti ancora numerosi gli storici della scienza che, anche oggi, rimangono fedeli a questa visione. Si può citare per esempio Giovanni Caprara (1998: 42), stori-co e divulgatore scientifistori-co, stori-come esempio paradigmatistori-co della visione tradi-zionale:

Triste panorama offriva nello stesso periodo [l’Alto Medioevo, nda]

l’astronomia che appariva sempre più come una finestra pronta a chiudersi. Ne era responsabile la diffusione del cristianesimo che per spiegare l’origine del mondo imponeva la descrizione della Bibbia e del capitolo della Genesi. I padri della Chiesa rifiutavano la cultura classica perché la ritenevano troppo compro-messa con la religione pagana.

Lo stesso Ambrogio di Milano, nel Trecento, riteneva sconveniente per un cristiano occuparsi di astronomia perché era al di fuori degli argomenti necessari ad aiutare la fede. Più moderato risultava Agostino che si limitava a rifiutare solo quegli elementi scientifici che discordavano palesemente con le scritture.

Così se nei periodi precedenti, l’ondata di misticismo aveva demolito l’interesse per la scienza, ora l’insistenza sui temi della salvezza e della fede pre-dicati come fondamentali e prioritari rafforzava e ampliava l’opera di chiusura culturale. E quando non si dimostrava avversione si esibiva indifferenza.

L’astronomia è una finestra che si chiude, il che significa che prima era ben aperta. L’ondata di misticismo ha demolito l’interesse per la scienza, il che significa che tale interesse prima c’era. Dunque, Lakatos avrebbe fonda-mentalmente ragione: ben poca cosa è la scienza medioevale. Tuttavia, alcu-ne imprecisioni alcu-nella sua analisi ci inducono ad esaminare più in dettaglio il problema. In particolare, ci preme stabilire se c’è un legame tra la crisi della scienza e il mutamento delle valutazioni etiche della scienza. La causa della crisi potrebbe infatti essere individuata nel crollo delle strutture politico-economiche dell’Impero romano, a seguito delle invasioni barbariche, oppure nel mutamento del clima intellettuale dovuto alla diffusione del cristianesi-mo. Naturalmente, un fattore non esclude l’altro, rendendo difficile stabilire in ultima istanza qual è la causa e qual è l’effetto.

L’elogio dell’ignoranza nel pensiero dei primi cristiani

Il Medioevo viene spesso descritto come l’età cristiana, perché l’affermazione di questa religione rappresenta uno dei tratti più salienti del periodo. La religione cristiana diventa la porta sull’Europa di una tradizione, quella giudaica, che presenta molte differenze rispetto alla tradizione pagana, o greco-romana. Abbiamo visto come inizia la Genesi: con un divieto all’uomo di mangiare dall’albero della conoscenza. Molti filosofi hanno in-terpretato il mito come un segno dell’insanabile conflitto fra scienza e reli-gione, il segno che la religione giudeo-cristiana porta con sé i germi di un’etica dell’antiscienza. Secondo Nietzsche, per esempio, tutta la morale cristiana, incluso l’elogio della povertà e della sofferenza, è uno strumento per impedire la scienza, la quale necessità di ozio e benessere per svilupparsi.

Scrive il filosofo tedesco nell’Anticristo: «La morale non è altro che questo.

‘Tu non devi conoscere’: il resto segue da questo».

Il Nuovo Testamento non si discosta molto da questa posizione anti-intellettualistica. Nel Vangelo di Matteo (11, 25) si legge: «In quel tempo Gesù disse: ‘Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai

tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli’». Chi scopre la verità che davvero conta non è lo scienziato, il sa-piente, il grande, ma il semplice, l’ignorante, il piccolo, e la scopre attraverso la rivelazione divina, non attraverso gli strumenti dell’osservazione e del ra-gionamento. Nello stesso Vangelo (23, 1 et seg.) Gesù attacca violentemente i sapienti dell’epoca, accusandoli di ipocrisia: «Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: 2 ‘Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei… 27 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati… 33 Serpenti, razza di vipere, come potrete scampare dalla condanna della Geenna? 34 Perciò ecco, io vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni ne ucciderete e crocifiggerete, altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città; 35 perché ricada su di voi tutto il sangue innocente versato sopra la terra…».

Naturalmente, i racconti biblici possono essere interpretati in modo diver-so. È proprio perché esistono interpretazioni diverse che, nell’ambito del cri-stianesimo e delle religioni monoteistiche in genere, riesce a svilupparsi an-che una tradizione intellettuale di alto livello. Diverse figure di spicco della filosofia e della scienza sono riconducibili alla tradizione cristiana, ebraica e musulmana. Tuttavia, è difficile negare che esista questo atteggiamento anti-scientifico di fondo che caratterizza la tradizione cristiana, almeno fino al Rinascimento. E non è un caso che il Rinascimento sia interpretato da diversi studiosi come una rinascita del paganesimo.

Sappiamo che la filosofia cristiana può essere distinta in due filoni: la patristica e la scolastica. La patristica è la letteratura dei Padri della Chiesa, i quali elaborano una filosofia apologetica, tesa cioè a difendere la religione cristiana dalle critiche e dalle minacce esterne. Dopo l’affermazione del cri-stianesimo, potrà svilupparsi la scolastica, una forma di filosofia che incorpo-ra molti elementi della tincorpo-radizione pagana e che viene insegnata nelle scuole e, quando nasceranno, nelle università. Nella patristica è più evidente il legame con l’anti-intellettualismo che già si intravede nella Genesi e nel Nuovo te-stamento.

Cominciamo dalle Lettere paoline. È noto che San Paolo scrive lettere che sono considerate capisaldi della dottrina cristiana, giacché in esse definisce molti aspetti dei riti, della morale, della struttura della Chiesa, della teologia che non erano stati esplicitamente trattati da Gesù di Nazareth. È, dunque, importante ricostruire il suo pensiero nei confronti della scienza. Nella Lette-ra ai Corinzi, il santo scrive:

Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il vangelo; non però con un discorso sapiente, perché non venga resa vana la croce di Cristo. La

parola della croce infatti è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio. Sta scritto infatti:

Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l’intelligenza degli intelligenti.

Dov`è il sapiente? Dov`è il dotto?

Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo? Non ha forse Dio dimo-strato stolta la sapienza di questo mondo? Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. E mentre i Giudei chie-dono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini. Considerate infatti la vostra vocazione, fratelli: non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobi-li. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio.

Sono passaggi come questo che fanno dire a Nietzsche che il cristianesi-mo è una religione contronatura, perché disprezza tutti i valori più alti dell’uomo: la sapienza, la forza, la ricchezza. Vediamo in particolare che la profezia prende di mira innanzitutto la scienza dell’uomo: «Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l’intelligenza degli intelligenti». Che San Paolo stia pensando proprio alla filosofia e alla scienza elaborata dai greci risulta evidente, dato che li nomina esplicitamente.

Nella Lettera ai Colossesi, il Padre della Chiesa ribadisce il concetto e in-vita a diffidare dei filosofi e della loro falsa sapienza. Sostiene che «tutti i tesori della sapienza e della scienza» sono nascosti nel mistero di Cristo:

«Badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispi-rati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo». In conclusione, per San Paolo la scienza è un pericolo, un potenziale nemico della religione.

Sugli stessi passi si muove un altro Padre della Chiesa: Tertulliano di Cartagine. È un rappresentante del pensiero cristiano tardo-antico, quindi antecedente al Medioevo. Come Paolo, è però una figura chiave per capire se la crisi della scienza sia da ricondurre alle invasioni barbariche, come sembra intendere la pubblicistica cristiana revisionista, o se il germe sia da ricercarsi proprio nel clima intellettuale prodotto dall’affermazione del cristianesimo.

Nel De praescriptione haereticorum, Tertulliano ribadisce che la filosofia non è semplicemente una diversa forma di conoscenza, ma un nemico della religione. È, infatti, la filosofia che favorisce le credenze eretiche. Così

scri-ve: «Sono queste le dottrine di uomini e di demoni sorte da quel che sia lo spirito della pretesa sapienza mondana, per le orecchie che non sanno trovar pace e tranquillità. Il Signore, l’ha chiamata follia tale saggezza, e la stoltez-za del mondo ha scelto appunto, per confonder quella che sia l’umana filoso-fia. È la filosofia stessa, invero, che dà materia a quella che si chiama mon-dana saggezza, dal momento che, con molta libertà e pretesa arroganza, in-terpetra la natura divina, i suoi disegni e i suoi procedimenti. Diciamolo fran-camente: le eresie stesse sono quelle che attingono forza e consistenza da tali principi filosofici». Tertulliano fornisce poi le prove della sua accusa: Valen-tino prende dalla filosofia la concezione degli Eoni e di una quantità di for-me, nonché il concetto della trinità dell’uomo (che sarebbe stata mutuata dalla dottrina dell’anima di Platone); Marcione formula la sua idea del dio

‘tranquillo’ leggendo i filosofi greci e in particolare gli stoici; chi nega il principio della resurrezione della carne si ispira agli epicurei, i quali sosten-gono la mortalità dell’anima oppure a tutti i filosofi che eguagliano la materia alla natura di Dio, in particolare Zenone; coloro che attribuiscono a Dio una natura ignea si rifanno ad Eraclito.

È evidente che qui sono in particolare le tesi metafisiche a preoccupare Tertulliano, perché entrano in contrasto diretto con la teologia cristiana.

Dunque, potrebbe sembrare che non sussiste un conflitto reale con la scienza

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