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Etica della scienza pura : un percorso storico e critico

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Academic year: 2022

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Riccardo Campa

ETICA DELLA SCIENZA PURA

UN PERCORSO STORICO E CRITICO

SESTANTE EDIZIONI

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Recensori:

Prof. Luciano Pellicani

Ordinario di sociologia all’Università Luiss di Roma Prof. Giuseppe Marcon

Ordinario di economia all’Università Ca’ Foscari di Venezia

Progetto grafico:

Maria Elisa Zonta

Tutti i diritti riservati

© 2007 Riccardo Campa

ISBN: 978-88-95184-25-8

Sestante Edizioni - Bergamo www.sestanteedizioni.it

Printed in Italy

by Stamperia Stefanoni

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Ringraziamenti

Esprimiamo innanzitutto particolare gratitudine alla NATO, per avere finan- ziato la nostra ricerca. Ringraziamo anche il Prof. Piotr Sztompka e i colleghi del Dipartimento di Sociologia Teoretica dell’Università di Cracovia, che negli ultimi anni hanno discusso con noi diversi temi di questa ricerca.

Non possiamo poi mancare di ringraziare Robert K. Merton, che ha la- sciato questo mondo il 23 febbraio del 2003, ma ha fatto in tempo ad ispirare la nascita della presente opera e ad assistere alle sue prime fasi di gestazione.

Un ringraziamento anche a Mario Bunge, che per via epistolare ci ha dato preziosi consigli e motivato al lavoro, trasmettendoci la sua proverbiale pas- sione per la scienza e la ragione, e a Lech Witkowski che ci ha convinto ad allargare gli orizzonti dell’indagine alla cultura francofona – cosa che abbia- mo fatto con grande profitto. Altrettanto fondamentali sono stati i consigli del Prof. Luciano Pellicani che, nei suoi articoli e libri, ha affrontato con un orientamento simile molti temi trattati in quest’opera. Un grazie anche al Prof. Giuseppe Marcon che, da economista interessato all’etica delle profes- sioni e degli affari, ci ha consentito di vedere certe problematiche da una pro- spettiva diversa.

La ricerca si è certamente giovata anche delle frequenti, animate e inter- minabili discussioni sulla storia e il futuro della scienza con i filosofi e gli scienziati dell’Institute for Ethics and Emerging Technologies, della World Transhumanist Association e dell’Associazione Italiana Transumanisti, chapter italiano della WTA. Non potendo citarli tutti, ci limitiamo a ringra- ziare i membri del Comitato Scientifico dell’AIT, che più degli altri hanno interagito con le nostre ricerche:

• Fabrizia Cioffi, docente di neurochirurgia all’Università di Firenze;

• Amara Graps, ricercatrice di astronomia all’Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario;

• James Hughes, docente di sociologia medica al Trinity College del Con- necticut;

• Giuseppe Lucchini, docente di statistica medica all’Università di Brescia;

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• Alberto Masala, ricercatore di filosofia all’Università La Sorbonne (Paris IV);

• Giulio Prisco, direttore esecutivo della World Transhumanist Association;

• Stefano Sutti Vaj, docente di diritto delle nuove tecnologie all’Università di Padova.

Una menzione meritano anche Maria Elisa Zonta, che non solo ha curato gli aspetti grafici della copertina, ma ha anche letto il volume e corretto alcu- ni errori e imperfezioni, e Giuseppe Regalzi che ci ha fornito preziosi consi- gli riguardo le possibili interpretazioni dei testi biblici incontrati nel nostro percorso storico.

Infine, un ringraziamento per il quale riteniamo opportuno derogare, in caso eccezionale, dalla formula del plurale majestatis che abbiamo adottato in tutta l’opera: ringrazio di cuore i miei genitori, Aldo Campa e Maria Luisa Fioravanti, che – ovviando alle difficoltà del mio volontario esilio cracoviano – si spendono regolarmente per trovare e spedirmi i libri in italiano di cui necessito.

Naturalmente, eventuali errori e omissioni dell’opera sono da imputare in modo esclusivo all’autore.

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Indice

Introduzione: Termini, concetti, prospettive teoriche 9

Il concetto di etica 11

Il concetto di scienza 13

Etica per la scienza, etica contro la scienza 17

I princìpi e le norme etiche della scienza 21

Nota tecnica 23

1. L’Antichità: Primum philosophari 25

La Genesi, ovvero la conoscenza come peccato 29

I Presocratici: disinteresse e comunismo epistemico 36 I Sofisti: la prima crisi dell’ethos scientifico 39

Socrate e la norma della dotta ignoranza 45

Platone: un’apologia del sapere disinteressato 49

La prospettiva protosociologica di Aristotele 56

Il ‘fallimento tecnologico’ come indice di disinteresse 66 2. Il Medioevo: La morte dell’ethos scientifico 79 L’elogio dell’ignoranza nel pensiero dei primi cristiani 83

Agostino d’Ippona e la scienza dei demoni 93

Segnali di ripresa nel Basso Medioevo 107

Ruggero Bacone e il segreto dell’immortalità 113

3. Il Rinascimento: Inizia la rivoluzione scientifica 119 Ricostruzioni storiche della rivoluzione scientifica 123

Leonardo da Vinci: il sapiente come uomo buono 129

Copernico il rivoluzionario 138

Il caso Giordano Bruno: ovvero il disinteresse assoluto 148

L’utopia prometeica di Tommaso Campanella 150

Galileo Galilei: l’ethos scientifico alla prova dei fatti 160

Renato Cartesio: il purista 176

Francesco Bacone: l’utilitarista 181

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4. L’Illuminismo: La scienza come dovere civico 197 Denis Diderot e la lotta alla segretezza del sapere 203

Voltaire e la consorteria degli scienziati 211

Morale e scienza nel pensiero di La Mettrie 214

Condorcet e l’infinità perfettibilità dell’uomo 220 5. Il Positivismo: La scienza al servizio dell’industria 231

Saint-Simon e l’industria al potere 235

Auguste Comte: contro la scienza inutile 238

John Stuart Mill e il piacere dell’intelligenza 247 Herbert Spencer e l’etica della libertà scientifica 250

La psicologia delle scienze di Carlo Cattaneo 256

6. La filosofia tedesca: Il divorzio tra spirito e materia 279

Georg Hegel: la scienza come impostura 282

Karl Marx: tra scienza e rivoluzione 288

Scienza e superuomo nel pensiero di Friedrich Nietzsche 299 7. Il Neorazionalismo: Una logica della sincerità 335

Federigo Enriques e l’abito della sincerità 338

Gaston Bachelard e la psicologia degli interessi 351 Karl Popper e l’etica della scoperta scientifica 365 8. L’approccio sociologico: Scienza pura e struttura sociale 379

Émile Durkheim: la scienza come fede 380

Max Weber: la scienza come vocazione 385

Robert K. Merton: la codificazione dell’ethos scientifico 392 9. Il Postmoderno: La demistificazione dell’ethos scientifico 419

La visione deviante di Barnes e Dolby 423

I rimpianti dell’anarchico Feyerabend 434

Prelli: l’ethos scientifico come costruzione retorica 443 L’ambivalenza dell’ethos scientifico: Mitroff contro Merton 448

Altre ‘deviazioni’ postmoderne 454

Dal postmoderno al postumano: il caso Lyotard 456

10. Oltre il postmoderno: Verso nuovi orizzonti etici 471 Imre Lakatos: una questione di onestà intellettuale 473

L’ipotesi biologica di Jacques Monod 479

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Piotr Sztompka: neutralismo, assiologismo, impegno 487

Il decalogo di Mario Bunge 506

La scienza pura e l’orizzonte postumano 517

Conclusioni: Per una ricodificazione dell’ethos scientifico 533 Princìpi etici della scienza e loro presupposti giuridici 538 Norme etiche della scienza e frodi scientifiche 543

La scienza come modello etico 564

Excusatio non petita 571

Bibliografia 577

Sitografia 589

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Introduzione

Termini, concetti, prospettive teoriche

Due interrogativi fondamentali accompagnano la storia dell’uomo. Il primo riguarda la realtà degli oggetti, dei fenomeni, dei processi che si presentano ai nostri sensi e al nostro intelletto. Per millenni, ci siamo chiesti: che cosa è reale e che cosa è solo apparenza? Il secondo interrogativo riguarda invece le nostre azioni volontarie, i nostri comportamenti, le nostre scelte. Da tempi ancora più remoti, ci chiediamo infatti: come dobbiamo vivere?

Col tempo siamo diventati anche più raffinati. Abbiamo imparato a chie- derci non tanto qual è la verità, ma quale delle nostre rappresentazioni della realtà è più vicina alla verità, più verosimile, più plausibile. Allo stesso tem- po, sempre più raramente ci chiediamo che cosa è oggettivamente giusto o sbagliato, buono o cattivo, bene o male, ma piuttosto quale modello di vita consideriamo soggettivamente migliore e perché. Così non abbiamo più solo due interrogativi, ma due tipologie di interrogativi. Una tipologia richiede un riferimento forte o debole alla categoria della verità. L’altra richiede un rife- rimento forte o debole alla categoria della bontà.

La ricerca scientifica e la riflessione etica cercano di dare risposta agli interrogativi che rientrano, rispettivamente, nell’una o nell’altra tipologia, quella del vero e quella del buono. Altre dimensioni della condizione umana – come la politica, l’economia, la religiosità, l’arte, la sessualità – hanno le- gami molto stretti con la scienza o con l’etica. Perciò, non può sfuggire l’importanza di un’indagine centrata sul punto d’incontro, o se si vuole il

‘cortocircuito’, tra queste due forme di conoscenza: l’etica della scienza.

In genere, l’espressione ‘etica della scienza’ disorienta. Un commento piuttosto comune tra chi non nutre particolare simpatia per il sapere scientifi- co è: «ma esiste un’etica della scienza?». Secondo uno stereotipo, lo scien- ziato lavora in una condizione di vuoto etico, fa ricerca al soldo delle multi- nazionali o delle forze armate, senza curarsi delle conseguenze morali e so- ciali delle proprie scoperte o invenzioni. Ma l’espressione disorienta anche chi ritiene la scienza una conquista fondamentale dell’uomo. Per lo scientista

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duro e puro, la scienza è neutrale sul piano etico, i giudizi di fatto sono rigi- damente distinti dai giudizi di valore, si inizia ad essere scienziati quando si lasciano da parte i valori e ci si dedica alla sola scoperta dei fatti. Per chi ve- de la scienza in questi termini, un’espressione come ‘etica della scienza’ non può che risultare fuorviante. A nostro avviso, entrambe le posizioni conten- gono elementi di verità, ma producono danni quando si pretendono assolute.

Il danno peggiore è che obliterano completamente il contesto etico nel quale la scienza si sviluppa. Questo libro intende innanzitutto colmare questa lacu- na. Intende mostrare, da un lato, che l’etica della scienza esiste come fatto storico e, dall’altro, che non costituisce affatto un pericolo per lo status epi- stemologico della scienza, anzi ne è il presupposto.

Entrambe le posizioni potenzialmente critiche verso il nostro approccio hanno dunque un contenuto di verità e, insieme, una debolezza di fondo. È vero che si muovono grossi interessi economici e militari dietro la scienza, ma questi non sono gli unici metri di valutazione dell’opportunità delle ricer- che: il desiderio di scoprire la verità sul mondo gioca ancora un ruolo im- portante. È pure vero che la scienza è neutrale sul piano etico-politico, ma soltanto quando la struttura politica della società non si regge su credenze scientificamente false. Se una società accetta l’idea che «2 + 2 = 5», anche il semplice affermare una verità scientifica basilare come «2 + 2 = 4» diventa un atto politico. Questo era il messaggio centrale del romanzo 1984 di Geor- ge Orwell, il cui protagonista Winston Smith afferma: «La libertà consiste nella libertà di dire che due più due fanno quattro». Non si può escludere che Orwell abbia tratto ispirazione da un motto (forse apocrifo) della Germania nazista che recitava: «Due più due è uguale a cinque, se Hitler lo vuole». In altre parole, la scienza ha un valore etico e politico intrinseco, ovunque sia negata la libertà di cercare e affermare la verità scientifica.

I valori e le norme etiche hanno un ruolo importante a monte e a valle della scienza. Condizionano positivamente o negativamente tanto la ricerca della verità scientifica, quanto le applicazioni tecniche di detta verità. In que- sto saggio ci occupiamo precipuamente del primo aspetto, ossia delle valuta- zioni etiche che riguardano la scienza pura, essendoci proposti di dedicare un’opera a se stante alle riflessioni etiche concernenti la tecnica.

Poiché l’argomento di questo libro è controverso, ovvero non trova tutti i ricercatori unanimi nella ricostruzione dei fatti e nella loro valutazione, ci sembra opportuno utilizzare lo spazio dell’introduzione proprio per definire e chiarire meglio gli orientamenti e i concetti basilari della nostra ricerca. Co- minciando da quelli espressi nel titolo.

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Il concetto di etica

Ogni volta che ci chiediamo se qualcosa (un comportamento, un essere uma- no, un oggetto, un fatto, ecc.) è un bene o un male, è buono o cattivo, è giusto o ingiusto, entriamo nel dominio dell’etica. La riflessione etica, lo abbiamo già accennato, intende rispondere alla domanda: come dobbiamo vivere? Ad un primo livello d’analisi, dunque, non è difficile distinguere il discorso etico da altri tipi di discorso. Entrando più in profondità nella questione, dobbiamo però riconoscere che il termine ‘etica’ rimanda a diversi significati.

Per alcuni, l’etica è la scienza della felicità. Per altri, è il codice di com- portamento che un essere divino prescrive agli uomini. Per altri, è un codice di comportamento naturale. Per altri ancora, è un imperativo categorico che ha come arbitro finale la ragione o la coscienza individuale. C’è anche chi – forse nel tentativo di fare chiarezza – distingue tra norme etiche, regole di etichetta, prescrizioni morali, leggi dello Stato, e costumi sociali. Per esem- pio, i teologi cattolici ritengono che si debba parlare di ‘etica’ quando ci si riferisce a codici di comportamento basati sulla ragione, mentre sarebbe più opportuno parlare di ‘morale’ quando si indicano i codici di comportamento basati sulla rivelazione divina. Così si esprime l’Enciclopedia del Cristiane- simo De Agostini: «In senso proprio, l’etica è la riflessione teorica che inda- ga, su basi puramente razionali e senza rifarsi ad alcuna tradizione e autorità, la natura del giusto e dell’ingiusto, mentre la morale è il discorso su ciò che è bene e ciò che è male. In questo senso è più preciso parlare di ‘morale cri- stiana’…».

La distinzione non è tuttavia fondata sull’etimologia, dal momento che «il termine ‘morale’ deriva dal latino mores (costumi) e fa riferimento all’agire dell’uomo e al suo libero orientarsi in rapporto al bene e al male. In questo senso è perfettamente sinonimo di ‘etica’, che deriva dal greco con lo stesso significato». La stessa enciclopedia specifica che «nel ’900 si è teso a indivi- duare nella morale l’insieme delle norme dell’azione buona e nell’etica la riflessione sui criteri di validità di queste norme».

La verità è che non ci sono convenzioni universalmente accettate. Doven- do scegliere comunque un punto di avvio, ci siamo risolti di prendere per buone (almeno in parte) le definizioni fornite dall’Enciclopedia Generale De Agostini. Da esse partiremo per elaborare la nostra analisi.

Etica: Branca della filosofia che ha come oggetto i valori comunque riferiti al volere e all’azione dell’uomo. Essa è descrittiva, se si limita a descrivere il com- portamento dell’uomo e ad aiutare questo a cogliere, tra i moventi che determina-

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no la sua azione, quelli la cui realizzazione presenta individualmente e social- mente i maggiori vantaggi; normativa, se dà indicazioni su quali valori siano giu- sti e quindi da realizzare con uno sforzo positivo o rimuovendo gli ostacoli che società, cultura e tradizione oppongono. Altra suddivisione è in etica soggettiva, che si occupa del soggetto che vuole e agisce solo nel dovere, a esclusione di ogni altro volere o azione, ed etica oggettiva o intersoggettiva, dove l’azione sog- gettiva è valutata in relazione ai valori morali comuni e alle istituzioni sociali sto- riche.

Ethos: sm. [dal greco êthos]. Insieme dei comportamenti, costumi, abitudini e regole di vita dell’uomo e delle società umane.

In accordo con queste due definizioni, parleremo di ‘etica’ riferendoci tanto all’essere quanto al dover essere, tanto alle norme che sono in vigore quando a quelle che dovrebbero o potrebbero essere in vigore, tanto alle de- scrizioni quanto alle prescrizioni, tanto al reale quanto all’ideale. Il termine

‘ethos’ sarà invece utilizzato in una accezione più ristretta, ovvero per indica- re esclusivamente la realtà delle norme, dei comportamenti, dei costumi, delle abitudini degli scienziati. Non a caso è il termine adottato dalla sociolo- gia, che fa della descrizione e non della prescrizione il proprio obiettivo sta- tutario. Poiché la definizione di etica rimanda al concetto di valore, diventa importante esplicitare anche il significato di questo termine. L’enciclopedia distingue tra il significato che il termine assume nella tradizione filosofica e quello proprio della teoria sociologica. Vediamoli entrambi.

Valore (Filosofia): Dottrine sul valore si sviluppano solo in epoca moderna e un momento fondamentale è contrassegnato dalla distinzione, introdotta da Kant, tra essere e dover essere. Tale antinomia consegnerà a tutto il pensiero successivo la scissione tra valore e realtà come problema fondamentale della filosofia. Una dottrina del valore si consolida proprio quando si configura l’autonomia del valo- re come categoria irriducibile al mondo della realtà…

Valore (Sociologia): Ciascuno dei criteri sulla base dei quali un individuo o una collettività stabilisce quali idee, comportamenti, fini o mezzi sono giudicati giusti e perseguibili e quali ingiusti. I valori influenzano le norme sociali, ma si differenziano da esse per il carattere puramente astratto (le norme, al contrario dei valori, sono strettamente prescrittive e sono desumibili dai comportamenti quoti- diani del gruppo sociale). Per il sociologo funzionalista T. Parsons, l’intero ordi- ne sociale dipende dall’esistenza di valori abbastanza diffusi e condivisi da armo- nizzare individuo e sistema sociale.

Noi accettiamo in linea di principio la distinzione kantiana tra essere e dover essere. Riteniamo, però, più produttivo attenerci all’accezione sociolo- gica del concetto di valore, in virtù della sua elasticità. Nella nostra prospet-

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tiva, quindi, l’etica è la disciplina che studia, in termini descrittivi o prescrit- tivi, «i valori comunque riferiti al volere e all’azione dell’uomo», assumendo che è valore «ciascuno dei criteri sulla base dei quali si stabilisce» la giusti- zia delle idee e dei comportamenti. Siamo così in possesso di una definizione che ci da qualche indicazione sul significato della parola ‘etica’, ma resta sufficientemente ampia da includere tutte le diverse accezioni di essa che incontreremo durante la narrazione storica.

Mentre riteniamo di scarsa utilità la distinzione tra etica e morale, dal momento che la presente è un’opera scientifica e non teologica, ci pare inve- ce vitale distinguere tra etica ed ethos. Sarà quindi nostra premura chiarire di volta in volta, a noi stessi e al lettore, se il pensatore che stiamo analizzando si pone verso la dottrina o il comportamento etico degli scienziati in termini prescrittivi o descrittivi.

Il concetto di scienza

Anche la parola ‘scienza’ rimanda a vari significati. Indica innanzitutto un corpus di conoscenze aventi certe caratteristiche, ma anche un’insieme di procedure e metodi, una specifica visione del mondo, una certa tipologia di istituzioni, e altro ancora. A seconda del modo in cui la intendiamo, la scien- za può essere indagata in una prospettiva sociologica o filosofica. A compli- care ulteriormente la situazione interviene il fatto che il significato di scienza è cambiato nel tempo. Ciò che era scienza nel Medioevo o nel Rinascimento non è più considerato tale oggi. Dato che la nostra ricerca è di tipo storiogra- fico, questo problema non può essere eluso.

Vi sono almeno due scuole di pensiero tra gli storici e i filosofi della scienza. C’è chi sostiene che la scienza non deve essere definita a priori e che il compito dello storiografo è quello di ricostruire lo sviluppo di tutto ciò che è stato considerato scienza nel corso del tempo. C’è invece chi ritiene che si debba comunque partire da una definizione di scienza e guardare alla sostan- za delle cose più che ai nomi che ad esse si danno: il fatto che in passato sia stata chiamata scienza l’astrologia non fa di essa una scienza. La questione è stata ampiamente dibattuta dai più noti metascienziati del ventesimo secolo – in particolare da Popper, Kuhn e Lakatos – e nella sua struttura sembra molto simile a un noto dilemma: viene prima l’uovo o la gallina? Per Popper viene prima la filosofia: la storia della scienza è il cimitero delle idee sbagliate e non si può parlare di scienza se non si parte da una definizione a priori. Per Kuhn invece viene prima la storia: la filosofia della scienza si riduce troppo spesso ad uno sterile gioco intellettuale ed è quindi preferibile arrivare a de-

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finire la scienza attraverso l’analisi del suo sviluppo storico. Lakatos si è in- serito nell’aspro dibattito, con una salomonica soluzione. Parafrasando una celebre frase di Immanuel Kant, ha concluso che: «La filosofia della scienza senza storia della scienza è vuota, la storia della scienza senza filosofia della scienza è cieca».

Mantenere una certa flessibilità, come suggerisce il filosofo ungherese, pare anche a noi la soluzione più saggia. Accettiamo quindi provvisoriamente l’idea che la scienza vada definita a priori, ma non in modo troppo rigido. La definizione deve fungere da strumento euristico e non può assumere i crismi di un dogma inviolabile. In definitiva, partiamo da una definizione di cono- scenza scientifica, ma ci riserviamo di prendere in considerazione anche for- me di conoscenza ora considerate non scientifiche, se lo riterremo utile al fine di ricostruire il quadro etico all’interno del quale la scienza si sviluppa.

Per esempio, Leonardo considera scienza tanto la geologia quanto la pittura mimetica. Nonostante oggi la pittura non sia più classificata tra le scienze, anche perché ha in buona parte perso il riferimento con il mimetismo, la rico- struzione delle idee metascientifiche di Leonardo può certamente giovarsi dell’analisi del suo pensiero sulla pittura.

Per definire il concetto di scienza, ci pare opportuno partire dalla celebre formula galileiana che indica nella scienza quella forma di conoscenza basata sulle sensate esperienze e le certe dimostrazioni. È scienza la rappresentazio- ne di un oggetto (il cosmo, la materia, la vita, l’uomo, ecc.) che si regge sol- tanto su argomenti di tipo razionale o su prove empiriche, e possibilmente su entrambe le cose, in contrasto con altre rappresentazioni della realtà che fan- no riferimento al principio di autorità, alla tradizione, alla divinazione o alla rivelazione.

Dopo avere posto questi primi paletti, possiamo ora indagare le ambiguità semantiche che permangono all’interno del nostro quadro concettuale. Vi sono definizioni che non distinguono tra scienza e tecnica. È il caso di quella del Dizionario di filosofia Gremese-Larousse: «Scienza. Il fatto di conoscere qualche cosa. La scienza può designare una conoscenza teorica (matematica, per esempio) come anche una capacità o abilità pratica, una tecnica». Da questa definizione si discosta il Dizionario della lingua italiana Tumminelli, che precisa: «Scienza. Il sapere, il conoscere, in quanto è conseguito con la riflessione intellettuale e con lo studio e mira più alla conquista della verità per se stessa che non ad applicazioni pratiche. La scienza pertanto si oppone tanto alla sapienza quanto alla tecnica; alla sapienza, perché questa è dote non solamente intellettuale, ma anche spirituale e morale; alla tecnica, in

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quanto questa è applicazione della conoscenza scientifica al dominio pratico della realtà».

La seconda definizione trova maggiori riscontri nel mondo scientifico ri- spetto alla prima, ma si deve riconoscere che è ormai consuetudine definire scienziati anche i cultori di discipline tecniche. La ragione di questa parziale sovrapposizione ce la spiega l’enciclopedia Sapere.it De Agostini, che defi- nisce il concetto di ‘tecnica’, tracciandone brevemente la storia.

L’insieme delle norme che si seguono nello svolgimento pratico di un’attività umana, intellettuale o manuale, o, in senso più specifico, il complesso delle atti- vità umane che, su basi soltanto empiriche oppure applicando a fini pratici nozio- ni scientifiche più complesse, tendono alla creazione di attrezzi, strumenti e appa- rati atti a migliorare materialmente le condizioni di vita dell’uomo. Nel corso della storia della civiltà, tra la sfera dell’agire tecnico e quella del pensiero scien- tifico si sono instaurati legami, anche se questi sono rimasti relativamente spora- dici e casuali almeno fino al sec. XVI, quando tecnica e scienza hanno comin- ciato, gradualmente, a compenetrarsi sempre più intimamente. È nel corso del sec. XIX che la ricerca scientifica ha cominciato a esercitare la sua influenza sulla tecnica, ma è solo a partire dall’inizio del sec. XX che la scienza è diventata il principale fattore del progresso tecnico; da allora l’applicazione non solo delle conoscenze scientifiche ma anche quella degli stessi principi scientifici alla tecni- ca ha continuato a svilupparsi e a diventare più complessa, dando luogo a tutto un vasto sistema di scienze tecniche o tecnologie che vanno dall’elettronica all’automazione, dalle discipline relative ai viaggi spaziali a quelle concernenti i calcolatori e gli elaboratori di dati.

Possiamo allora risolvere la questione accettando il fatto che la parola

‘scienza’ può indicare tanto le scienze teoriche o pure (fisica, chimica, biolo- gia, astronomia, geologia, sociologia, psicologia, ecc.) quanto le scienze tec- niche o applicate (elettronica, meccanica, informatica, farmacia, bioingegne- ria, ecc.). Noi stessi abbiamo talvolta utilizzato la parola scienza in questo senso ampio, nel corso della trattazione. Allo stesso tempo, però, non dob- biamo obliterare la differenza analitica tra i due gruppi di scienze. Mantenere una distinzione è importante ai fini della nostra ricerca, perché i princìpi etici che si applicano alla scienza pura o teorica e i princìpi etici che si applicano alla scienza applicata o tecnica non sono perfettamente sovrapponibili. Esiste un nucleo comune di princìpi e norme, ma le discipline tecnologiche si rap- portano ad ulteriori problematiche di tipo etico o morale e, pertanto, debbono essere viste in ultima istanza come scienze sui generis. Si ricordi anche che

‘scienza applicata’ e ‘tecnica’ non sono termini sinonimi, perché si possono elaborare tecniche senza disporre di conoscenze scientifiche strictu sensu. Si pensi alle pietre scheggiate dell’homo habilis o a certe procedure di produ- zione artigianale. Anche questa distinzione deve essere tenuta in debita con-

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siderazione. In ogni caso, ci occuperemo di tecnologie e di tecnoetica sol- tanto nella misura in cui detti ambiti disciplinari retroagiscono sulla ricerca di base. Per esempio, potremo parlare del telescopio o delle pillole per la me- moria, perché sono prodotti tecnologici che assumono una valenza precisa nell’ambito della riflessione sulla scienza pura.

È significativo anche il fatto che l’Enciclopedia Tumminelli tende ad identificare scienza e conoscenza e quindi ad includere nella scienza anche la morale: «Scienza. In senso generico è ‘conoscenza’; in senso specifico è un insieme di conoscenze ordinate intorno a un soggetto. Carattere della scienza è di essere universale nella sua visione, necessaria nelle sue deduzioni. Le scienze si dividono in matematiche (aritmetica, algebra, geometria, meccani- ca razionale, meccanica celeste, astronomia); fisiche (fisica, chimica); natu- rali (geologia, paleoantologia, mineralogia, astronomia, zoologia, botanica);

morali (psicologia, logica, morale, economia politica, sociologia, storia, lin- guistica, ecc.)».

Stupisce l’assenza della biologia e l’inserimento della logica nelle scienze morali. Il riferimento ad una disciplina come la ‘meccanica celeste’, inserita tra le scienze matematiche, rivela che si tratta di una definizione piuttosto datata. A nostro avviso, è più opportuno distinguere tra quattro grandi gruppi di scienze: scienze analitiche (puramente razionali), scienze naturali (razio- nali ed empiriche riguardanti il mondo naturale), scienze sociali (razionali ed empiriche riguardanti il mondo sociale) e scienze tecnologiche (razionali ed empiriche finalizzate alla trasformazione del mondo naturale e sociale). In questa prospettiva, la logica va catalogata tra le scienze analitiche, insieme alla matematica. Comunque, abbiamo introdotto la definizione della Tummi- nelli soprattutto per sottolineare l’identificazione di scienza e conoscenza.

Tale identificazione è propria anche del pensiero positivistico, sebbene esso distingua chiaramente tra giudizi di fatto e di valore ed escluda questi ultimi dal campo della conoscenza. Il positivismo più ortodosso esclude infatti le discipline non scientifiche dalla pretesa di poter conoscere il mondo e in par- ticolare: filosofia, metafisica, teologia, miti, religioni, arti e letteratura.

Quasi tutti i filosofi della scienza sono però oggi concordi nel ritenere scorretta l’esclusione a priori delle idee non scientifiche dal dominio della conoscenza, giacché esse possono comunque svolgere un compito utile nella rappresentazione del mondo. Per fare un esempio, il materialismo e il duali- smo sono teorie metafisiche, ma anche se la loro verità o falsità non è dimo- strabile direttamente, il ruolo che hanno svolto nell’indirizzare la ricerca scientifica è innegabile. Allo stesso modo, opere d’arte come film, romanzi, dipinti hanno talvolta rappresentato la realtà in modo più efficace e veritiero

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di saggi scientifici. È perciò difficile negare che si tratti di conoscenza. Infi- ne, l’epistemologia può difficilmente essere definita una scienza empirica, ma non per questo può essere considerata un non senso. Se così fosse, lo stesso positivismo – che in buona misura è una dottrina epistemologica – sa- rebbe ipso facto un non senso.

In sintesi, per noi, è scienza ogni tentativo di conoscere e rappresentare la realtà attraverso l’uso esclusivo di ragione ed esperienza, specialmente se finalizzato alla scoperta di leggi o all’elaborazione di modelli teorici in grado di favorire la comprensione, la spiegazione o la previsione di fenomeni e processi del mondo naturale o sociale. La definizione che qui proponiamo, pur nella sua vaghezza, ci permette in ogni caso di distinguere questa specifi- ca forma di conoscenza da altri tentativi di rappresentare, spiegare, compren- dere il mondo.

Etica per la scienza, etica contro la scienza

Da quanto detto sinora segue che – ad un primo livello di astrazione – l’etica della scienza è il campo di studi che include tutti i discorsi sulla bontà o cat- tiveria del sapere scientifico o delle sue applicazioni. Ogni qualvolta ci chie- diamo se è bene o male sapere qualcosa o utilizzare il sapere scientifico per fare qualcosa, entriamo nel dominio dell’etica della scienza.

Questa prima definizione svela che le norme etiche della scienza possono essere favorevoli o contrarie allo sviluppo del sapere scientifico. Se si fa uni- voco riferimento all’una o all’altra funzione, obliterando la funzione specula- re, l’espressione ‘etica della scienza’ può assumere significati diversi e quasi opposti. Per tale ragione, ai lettori che vedono il problema da una singola angolatura, la comprensione di questo libro richiederà una sorta di cambio gestaltico di prospettiva.

Spieghiamoci meglio. Spesso, quando si parla di etica della scienza si in- tende una sorta di baluardo contro i presunti effetti negativi della scienza.

Nella prospettiva forse più popolare, l’etica è intesa come una ‘cosa altra’

rispetto alla scienza. Un codice di comportamento – spesso derivato dalla religione – che deve essere frapposto tra la scienza e l’uomo, al fine di pro- teggere quest’ultimo dai pericoli che la scienza genera. In altre parole, l’etica della scienza è intesa come una dottrina dei limiti.

Diciamo subito che chi nel libro si aspetta di trovare questo elenco di li- miti, nonché gridi d’allarme e perorazioni affinché si fermi la scienza a bene- ficio dell’uomo, è del tutto fuori strada. Qui, parlando di etica della scienza,

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intendiamo soprattutto l’etica che permette la scienza, ovvero che è ad essa congeniale o funzionale. Non andiamo alla ricerca di una contrapposizione, di un limite, di un freno, ma piuttosto di un’alleanza, di una complicità, di una funzionalità, tra etica e scienza. In altre parole, intendiamo l’etica della scienza nel senso in cui la intende Norberto Bobbio, quando spiega che le sue considerazioni realistiche sul futuro della democrazia rappresentano una «il- lustrazione spassionata, disincantata, amara, se si vuole, ma doverosa per chi vuol restare fedele all’etica della scienza, cioè della ricerca disinteressata».

L’etica della scienza è dunque intesa come quel complesso di sentimenti e valori che è chiamato a fare da garante al realismo delle rappresentazioni.

Quest’opera deve dunque essere intesa come una storia dell’etica per la scienza, più che una storia dell’etica contro la scienza. La seconda prospetti- va non sarà certo ignorata, anche perché una ricostruzione storica che non ne tenesse conto sarebbe monca. Troverà spazio come importante termine di confronto, ma non assumerà il ruolo di protagonista che assume in altri testi sull’argomento, troppo sbilanciati nel senso esattamente opposto.

Il cambio gestaltico di prospettiva non è operazione facile. È diffusa l’opinione che la scienza non abbia una propria etica. Si ritiene comunemente che essa sia, nel migliore dei casi, amorale – in quanto indifferente alle sorti dell’uomo – e, nel peggiore dei casi, immorale – in quanto asservita ai poteri politici ed economici. Tuttavia, riteniamo che sia opportuno cercare di sfatare questi luoghi comuni. Per entrare nella prospettiva adeguata, è necessario innanzitutto comprendere che la parola ‘scienza’ non indica soltanto un cor- pus di conoscenze in continua espansione e revisione. La parola ‘scienza’

indica anche una pratica sociale, ovvero un’insieme di istituzioni, norme, comportamenti e, se si vuole, miti e riti. È guardando alla scienza come prati- ca sociale che possiamo scoprire e valorizzare la visione etica che la caratte- rizza. Una visione che, a nostro avviso, potrebbe essere applicata anche ad altri ambiti della vita sociale. Ma di questo parleremo soltanto nelle ultime righe del libro.

Il nucleo significativo di quella che noi chiamiamo ‘etica della scienza pu- ra’ è il codice normativo che Robert K. Merton (e i sociologi della scienza che ne hanno seguito le orme) ha denominato ‘ethos della scienza’ o ‘ethos scientifico’. Si tratta di uno dei campi di studio tipici della sociologia della scienza. L’utilizzo del concetto di ethos scientifico, a partire dal titolo, avrebbe forse chiarito sin dall’inizio l’orientamento generale dell’opera, perlomeno a chi ha familiarità con la sociologia. Il problema è che la pro- spettiva sociologica, pur importante, non è l’unica a caratterizzare la nostra ricerca. La riflessione filosofica gioca un ruolo altrettanto fondamentale.

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Abbiamo deciso di trattare insieme le due dimensioni, descrittiva e pre- scrittiva, sociologica e filosofica, per tre motivi: a) perché esse interagiscono costantemente e si influenzano a vicenda nel corso della storia; b) perché, per un lungo tratto della storia del pensiero occidentale, scienza e filosofia sono praticamente indistinguibili; c) perché nella pratica della ricerca, la distinzio- ne tra analisi sociologica e riflessione filosofica è una questione di misura, piuttosto che una chiara distinzione analitica.

Proviamo a dirlo con altre parole. Innanzitutto, il prescrivere una norma è comunque un atto e come tale si presta sempre ad un’analisi storiografica e sociologica, oltre che filosofica. Se il filosofo che propone di mettere in pra- tica una certa condotta è particolarmente influente, ovvero, se gli scienziati seguono davvero la sua proposta normativa, allora trascurare il dibattito filo- sofico significa non avere colto un elemento fondamentale del meccanismo che ha prodotto un certo fatto sociale. Va inoltre evidenziato che il filosofo potrebbe avere avanzato la propria proposta normativa dopo avere osservato la condotta di un numero più o meno ampio di scienziati. In questo modello, accade quindi che l’ethos di una certa percentuale di soggetti, diventa etica nella riflessione di un filosofo. A sua volta, l’etica codificata e proposta dal filosofo si ripercuote sull’ethos, allargando la percentuale di soggetti che fanno proprio quello specifico codice. In altre parole, al contrario di quanto sembrano assumere gli empiristi radicali, anche le apparentemente oziose discussioni filosofiche hanno oggi e hanno avuto in passato conseguenze fattuali. Chi ne dubitasse, pensi solo alle conseguenze storiche di idee come il liberalismo, il marxismo o il nazionalsocialismo. Non c’è necessità di sposare l’idealismo hegeliano per riconoscere lo straordinario potere mostrato dalle idee nella storia. Tale consapevolezza ci ha consigliato di non limitare la no- stra analisi all’ethos vissuto nei laboratori scientifici, ma piuttosto a porre l’ethos in costante relazione con l’etica discussa e codificata nei salotti filo- sofici.

Oggi distinguiamo le tre figure dello scienziato naturale, del filosofo della scienza e del sociologo della scienza. Il primo decodifica il mondo, il secon- do riflette da un punto di vista logico e metodologico sulla pratica scientifica e dà consigli agli scienziati e, infine, il terzo studia empiricamente la pratica di ricerca degli scienziati. La distinzione è bella e precisa, ma va evidenziato che i tre soggetti in questione invadono sistematicamente i campi degli altri.

E, a nostro avviso, fanno bene. Gli scienziati riflettono sui metodi e anche sulle conseguenze sociali delle proprie ricerche. I filosofi della scienza pri- vilegiano l’aspetto normativo, tendendo a prescrivere le norme più che de- scriverle, ma si basano spesso su esempi tratti dalla storia della scienza e

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quindi, di fatto, fanno ricorso anche alla descrizione. I sociologi della scienza dicono di limitarsi a descrivere i fatti, ma in realtà spesso esprimono impli- citamente o esplicitamente giudizi di valore, approvando o criticando lo sta- tus quo, e tali prese di posizione sono da considerarsi proposte normative a tutti gli effetti. Le invasioni di campo sono benefiche, perché – se ci è con- sentito riassumere la posizione in una formula vagamente retorica – nella buona filosofia c’è sempre un certo grado di realismo sociologico e nella buona sociologia un certo grado di astrazione filosofica.

Infine, un concetto analogo a quello di ethos scientifico è stato indicato con l’espressione ‘etica della conoscenza’ da Jacques Monod, che ha affron- tato il problema in una prospettiva biologica ed evoluzionistica. Anche per questa ragione ci siamo trovati nella necessità di utilizzare un’espressione semanticamente più ampia rispetto alle varie tradizioni di pensiero esistenti.

La locuzione ‘etica della scienza pura’ ci è parsa l’espressione più opportuna per indicare tanto l’ethos scientifico codificato dai sociologi, quanto l’etica della conoscenza scientifica prescritta dai filosofi. L’etica della scienza pura è uno dei due settori principali dell’etica della scienza. L’altro è l’etica della scienza applicata o etica della tecnica o tecnoetica, su cui dibattono oggi con insistenza i forum accademici e i mezzi di comunicazione di massa. Come già accennato, abbiamo deciso di trattare separatamente questo secondo set- tore.

Nell’ambito dell’etica della scienza, possiamo distinguere analiticamente fra una tendenza positiva ed una negativa. Parleremo di etica positiva della scienza (etica per la scienza) quando ci riferiremo a princìpi, norme e valori etici che sono funzionali alla crescita della conoscenza scientifica. L’ethos scientifico codificato da Robert K. Merton è un esempio di etica positiva della scienza. Parleremo invece di etica negativa della scienza (etica contro la scienza) riferendoci a princìpi, norme e valori che ostacolano la ricerca della conoscenza scientifica. A titolo esemplificativo, il racconto della Genesi può essere interpretato come un’istanza di etica negativa della scienza, perché il mangiare dall’albero della conoscenza è presentato come un atto peccamino- so, sbagliato, immorale.

La ragione per cui in quest’opera abbiamo posto maggiore enfasi sull’etica positiva piuttosto che su quella negativa, pur non mancando ampi riferimenti a quest’ultima, è presto detto. Quando ci si chiede se un compor- tamento «è etico», si intende chiedere se «è giusto». Ciò significa che l’etica è l’insieme dei comportamenti considerati giusti. Per tale ragione sembra le- cito considerare l’etica positiva della scienza (l’enfasi sul bene della scienza) come l’essenza di una disciplina denominata ‘etica della scienza’, mentre

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l’etica negativa della scienza (l’enfasi sul male della scienza) non può che essere un importante termine di paragone. In altre parole, chi parte dal pre- supposto che la scienza è contro il bene dell’uomo e che l’etica deve perciò essere contro la scienza, dovrebbe a nostro avviso denominare diversamente la propria prospettiva disciplinare. Suggeriamo tre denominazioni: etica dell’antiscienza; antietica della scienza; etica dell’ignoranza scientifica.

Il princìpi e le norme etiche della scienza

Per comprendere i fondamenti dell’etica della scienza pura si devono innan- zitutto riconoscere due ‘fatti’: il primo è che lo scopo della scienza è la ricer- ca della verità; il secondo è che la verità è in se stessa un valore etico. La pietra angolare dell’etica della scienza è infatti il principio di eusofia (o prin- cipio di bontà epistemica), ossia il riconoscimento che la conoscenza è un bene e l’ignoranza un male. Accettare questo principio significa convincersi che è sempre meglio sapere, piuttosto che non sapere, anche quando la verità è scomoda. Al contrario, l’etica negativa della scienza accorda la propria pre- ferenza all’ignoranza, se essa si rivela funzionale ad altri valori considerati più importanti (per esempio, la fede religiosa, la felicità, l’amore, ecc.). C’è chi si rifiuta di apprendere nuove verità, perché teme che possano turbare l’equilibrio interiore. Per fare un parallelo con la vita quotidiana, si pensi al coniuge che preferisce non sapere di essere stato tradito. Alla base di questa visione alternativa c’è il principio di cacosofia (cattiveria del sapere), che nella storia occidentale ha trovato espressione nel detto «beati gli ignoranti».

Oltre al principio di eusofia, esistono altri princìpi etici della scienza, nonché norme che da essi derivano. Le norme di cui ci apprestiamo ad inda- gare l’origine storica sono soprattutto quelle codificate da Robert K. Merton:

il disinteresse, lo scetticismo organizzato, il comunismo del sapere, l’universalismo. Per l’importanza del discorso mertoniano, cenni relativi a questo autore sono presenti nei capitoli precedenti e successivi a quello a lui dedicato. Chi non conoscesse questi concetti potrebbe pertanto trovare van- taggioso consultare preventivamente l’opera originale di Merton (2000:

1033-1073). Per comodità del lettore forniamo sin d’ora le nozioni base del modello euristico.

La norma del disinteresse deriva direttamente dal principio di eusofia.

Poiché il fine dell’etica è il bene, se si riconosce che la conoscenza scientifica è un bene, è doveroso fare della conoscenza scientifica il fine della propria azione. La norma del disinteresse impone al ricercatore scientifico di cercare

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la verità, quale essa sia, senza anteporle altri fini. Si badi che questa norma non impone necessariamente l’assenza di secondi fini. Lo scienziato può le- gittimamente avere a cuore la propria vita, i propri beni, il benessere della propria famiglia, o volere conciliare la scienza con interessi politici, sociali, religiosi o di altro tipo. Quello che la norma chiede è di scegliere la verità in ultima istanza, di essere onesti prima di tutto con se stessi. La negazione del disinteresse non è la presenza di altri interessi, ma la frode scientifica. Com- mettendo frodi, l’intellettuale cessa ipso facto di essere scienziato. Alcuni filosofi e scienziati hanno tuttavia concepito il disinteresse in modo molto più radicale rispetto a Merton, avocando l’unicità e non solo la priorità del fine cognitivo. Tale visione ha implicato in alcuni casi l’abnegazione, il sacrificio di sé, addirittura il martirio.

La norma dello scetticismo organizzato (o del dubbio sistematico) chiede agli scienziati di non fidarsi di alcuna affermazione o teoria che non sia so- stenuta da ragioni, osservazioni, argomentazioni convincenti. Lo scienziato ha dunque il dovere di dubitare. Tale norma non va però confusa con lo scet- ticismo assoluto, giacché lo scienziato ha il diritto di credere nella validità di una teoria o di un paradigma. Quello che non deve fare è trasformare il para- digma in dogma. L’opposto dello scetticismo organizzato è infatti il dogmati- smo. In definitiva, è dovere dello scienziato mantenere una certa apertura mentale e sollevare sistematicamente dubbi sulle proprie e le altrui convin- zioni.

La norma del comunismo del sapere o comunismo epistemico impone ai ricercatori scientifici di mettere in comune la conoscenza, senza celare nulla di ciò che ritengono vero e senza chiedere nulla in cambio, se non un ricono- scimento formale. È noto che questa norma ha una validità parziale o limitata in relazione alle scienze tecniche, per via dei brevetti industriali. La questio- ne rimane comunque ai margini del nostro discorso, perché qui ci occupiamo quasi esclusivamente di scienza pura.

La norma dell’universalismo, infine, impone agli scienziati di non discri- minare i prodotti scientifici sulla base delle caratteristiche personali dell’autore, ovvero razza, religione, sesso, preferenze sessuali, età, fama, po- tere, parentela, status sociale, ricchezza, ecc. Il giudizio deve fare riferimento a criteri impersonali prestabiliti che sono poi quelli del metodo scientifico:

consistenza logica, adeguatezza empirica, potere esplicativo, potere preditti- vo, ecc. Il focus è quindi sul prodotto e non sul produttore.

Queste norme hanno una natura tecnica, perché sono funzionali alla sco- perta o alla costruzione di un certo tipo di conoscenza, ma hanno anche una dimensione morale perché debbono muovere la coscienza prima ancora che

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l’intelletto. Esse debbono innanzitutto essere credute giuste; e non tutti le credono tali. Per fare un esempio, i nazisti squalificarono la teoria della rela- tività perché Einstein non era ariano. La loro etica era in contrasto con la norma dell’universalismo. Come del resto quella di alcuni Padri della Chiesa che respinsero la sapienza del mondo greco, perché elaborata da pagani.

La teoria metascientifica di Merton presenta alcuni lati deboli ed è stata, perciò, criticata da alcuni sociologi della scienza. Ciononostante, ci è parsa un’ottima ipotesi di partenza. Il nucleo duro della teoria mertoniana costitui- sce dunque l’ossatura di questa ricerca, anche se – ci preme sottolinearlo – la nostra tesi finale si discosta parzialmente dall’ipotesi iniziale. Vedremo in- fatti che le norme dell’ethos scientifico non sono sempre invariabilmente in vigore, vedremo che le norme non sono solo quattro, vedremo che esistono conflitti tra norme, vedremo infine che le norme possono essere interpretate diversamente a seconda delle situazioni storiche o delle discipline scientifi- che. In altre parole, anche se l’ipotesi mertoniana regge piuttosto bene fino in fondo, non abbiamo semplicemente trovato conferme della stessa. Essa ci ha guidato alla scoperta di molti fatti storici congruenti, ma anche di alcune anomalie. Queste ultime ci hanno imposto, a mano a mano che le incontra- vamo, una graduale riformulazione dello schema mertoniano, portandoci in- fine ad elaborare un nuovo modello normativo, più ricco e complesso.

Non intendiamo, comunque, anticipare ora i contenuti del modello finale.

Per venirne a conoscenza il lettore dovrà seguire il percorso fino alle conclu- sioni. L’utilizzo della struttura narrativa ipotesi-svolgimento-tesi, con una tesi finale che differisce parzialmente dall’ipotesi di partenza, rende forse meno schematica, assiomatica, sistematica la rappresentazione, ma se non altro mostra che non c’è circolarità nella ricerca. Offre il duplice vantaggio di presentare la ricerca come si è realmente svolta e di rendere più avvincente la lettura. Almeno, questa è la nostra speranza.

Nota tecnica

Trattandosi di uno studio di storia del pensiero, questo volume contiene un numero considerevole di citazioni. Si poteva forse scrivere un’opera più snella, con un centinaio di pagine in meno e semplici rimandi, ma si è prefe- rito evitare al lettore la scomodità di andarsi a cercare le opere originali per vagliare l’attendibilità delle nostre interpretazioni. In molti casi, è risultato più comodo utilizzare versioni digitali delle opere. I classici, in particolare, essendo fuori copyright, sono facilmente reperibili in rete. Ma anche molti

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articoli scientifici sono ormai pubblicati solo in rete. Ogni volta che è stato possibile, abbiamo dunque attinto agli e-book, perché rendono più agevole tanto cercare le parole, le frasi e i nomi che interessano, quanto citare. Ci siamo tuttavia fatti premura di controllare anche le equivalenti opere carta- cee, quando il sito non dava sufficienti garanzie riguardo alle fonti.

Se la citazione è tratta da un libro cartaceo, il lettore troverà vicino ad es- sa, tra parentesi, il nome dell’autore, l’anno di pubblicazione e la pagina in cui si trova la frase citata. Secondo tradizione, il lettore troverà maggiori rag- guagli (titolo, editore, città) nella bibliografia. Questa operazione non è però possibile in caso di libri digitali pubblicati in formato html, piuttosto che pdf.

Le opere digitali non hanno numeri di pagina e spesso nemmeno una data di pubblicazione. Abbiamo perciò compilato anche una sitografia. Se l’autore trova una citazione senza anno e numero di pagina, significa che è tratta da un libro digitale, per cui deve fare riferimento alla sitografia. Quando ci sia- mo riferiti a più opere dello stesso autore, abbiamo indicato il titolo nelle vi- cinanze della citazione. Altrimenti solo l’autore. Per trovare la frase nell’opera digitale, il lettore deve naturalmente fare una ricerca con gli appo- siti dispositivi elettronici. Tutte le citazioni sono in lingua italiana, dunque, se l’opera citata è in lingua straniera, significa che la traduzione è nostra. A parte alcune eccezioni (dialoghi, frasi poetiche), le citazioni di misura infe- riore alle quindici righe sono state inserite nel corpo del testo tra virgolette, quelle più corpose sono state separate dal testo e ridotte in corpo 10.

Si badi che per quanto riguarda le pubblicazioni cartacee, la data citata tra parentesi vicino al nome dell’autore o al titolo non indica la data di pubblica- zione della prima edizione dell’opera. Si tratta piuttosto di un’indicazione per ritrovare il libro nella bibliografia, dove abbiamo elencato le edizioni da noi effettivamente utilizzate. In altre parole, ‘Russo 2006’ non significa che La rivoluzione dimenticata è stata pubblicata per la prima volta nel 2006, ma che abbiamo utilizzato l’edizione del 2006. Se la data della prima edizione ha un significato importante, nel contesto della ricostruzione storica, l’abbiamo indicata nel testo.

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1. L’Antichità

Primum philosophari

La tradizione religiosa giudaica e la tradizione filosofica greca sono quanto di più antinomico si possa immaginare, essendo la prima intera- mente dominata dalla fede e dal dogma e la seconda altrettanto interamente dominata – quanto meno nelle sue punte più alte – dalla ragione e dal libero esame.

Luciano Pellicani

Vi fu un momento nella storia in cui gli esseri umani – inizialmente pochi individui e poi intere comunità – cominciarono a collocare la conoscenza scientifica del mondo tra le priorità della propria esistenza. Un momento in cui si convinsero che la vita non ha molto senso, se spesa soltanto per soddi- sfare i bisogni fisiologici. Un momento in cui si resero conto che la cono- scenza deve, per così dire, sostenersi da sola, sul piano delle motivazioni e del metodo. Un momento in cui si convinsero che il desiderio di senso dove- va essere soddisfatto facendo affidamento soltanto sull’intelletto e sui sensi.

Un momento in cui decisero di affermare la verità scientifica e filosofica, anche se così facendo mettevano a rischio il proprio benessere, la propria ricchezza, la propria vita. Un momento in cui il loro imperativo etico, che fino a quel momento era stato primum vivere, diventò primum philosophari.

Si trattò di un momento chiave nella storia dell’umanità.

Riconoscere l’importanza di questo momento è, tuttavia, ben più semplice che individuarne la collocazione storica. È piuttosto diffusa l’idea che la scienza abbia una storia breve. Per molti storici, filosofi e sociologi la storia della scienza si riduce a poco più di tre secoli, essendo il suo inizio ricondu- cibile all’opera di pensatori come Copernico, Galileo, Keplero, Cartesio e Newton. L’idea è però controversa, come dimostrano le numerose storie della scienza che iniziano la narrazione dai tempi antichi, se non addirittura prei- storici.1 Evidentemente, esistono diverse accezioni della parola scienza. Un inizio localizzato nella preistoria ha senso solo se includiamo il concetto di

1 A titolo esemplificativo citiamo Fatti essenziali di storia della scienza di Giorgio Tabarroni (1991) per un inizio localizzato nell’antichità e Breve storia delle grandi scoperte scientifiche di Caprara (1998) per un inizio localizzato nella preistoria.

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tecnica nel concetto di scienza. Se, invece, riteniamo la speculazione teorica un elemento irrinunciabile dell’impresa scientifica, segue che non può esservi scienza senza linguaggio articolato. L’Homo habilis era in grado di scheggia- re pietre e costruire capanne, ma non era in grado di parlare, almeno nel sen- so in cui intendiamo oggi la parola ‘parlare’. Ciò significa che la tecnica può essere in linea di principio dissociata dall’attività linguistica.

L’Homo erectus e l’Homo sapiens neanderthaliensis parlavano e costrui- vano manufatti, e probabilmente rappresentavano linguisticamente l’arte di produrre manufatti, ma non c’è prova che abbiano mai prodotto una specula- zione scientifico-filosofica nel senso odierno della parola. L’Homo sapiens sapiens è il primo, per quanto sappiamo, che abbia messo insieme le tre atti- vità (linguaggio, scienza, tecnica), anche se gli ci sono voluti quasi tutti i centomila anni della sua esistenza per capire fino in fondo gli effetti di questa sintesi. E solo una ristretta minoranza di individui di questa specie l’ha vera- mente capita. La conclusione è che, mentre la tecnica può esistere senza lin- guaggio articolato, la speculazione scientifico-filosofica non può avere luogo senza di esso. Se accettiamo di distinguere i concetti di scienza e tecnica, non abbiamo ancora dissolto tutti i possibili dubbi, ma se non altro la scelta ri- guardo l’inizio della scienza pura o teorica si riduce tra i tempi antichi e i tempi moderni.

Noi siamo propensi a riconoscere le origini antiche di questa forma di co- noscenza. Il perché è presto detto. Possiamo intendere il concetto di ‘scienza’

in due modi diversi, a seconda che concentriamo l’attenzione sul contenuto di essa o sul metodo su cui si fonda. In entrambi i casi, limitare la storia della scienza agli ultimi tre o quattro secoli è, secondo noi, un errore. Se riteniamo scientifiche le conoscenze vere, verosimili, certificate, verificate o non falsi- ficate, appoggiando la scienza sulla categoria della verità, in senso forte o debole, dobbiamo riconoscere che alcune teorie e scoperte dell’antichità sono ritenute valide o significative ancora oggi.

È difficile stilare un elenco completo di queste scoperte, ma è giusto ri- cordare almeno le seguenti: l’idrostatica, i principi di meccanica, le regole per il calcolo di superfici e volumi nelle figure solide, nonché i metodi per risolvere le equazioni cubiche di Archimede; lo studio delle coniche di Apollonio; l’aritmetica a base decimale di Pitagora e il teorema eponimo; la curva di quart’ordine intersezione di un cilindro e di un cono quadrici, la du- plicazione del cubo, la meccanica razionale, gli studi della vite e della carru- cola di Archita; la geometria assiomatica di Euclide; l’ipotesi atomistica di Democrito; la trigonometria e il sistema eliocentrico di Aristarco di Samo; la trigonometria ed il calcolo corretto della circonferenza della terra di Erato-

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stene; la precessione degli equinozi, la trigonometria ed il calcolo della di- stanza terra-luna di Ipparco; la catottrica, i principi di meccanica e di idrauli- ca di Erone; l’idea della sfericità della terra e i principi di logica di Aristotele;

e se si vuole persino l’ipotesi del big bang e della morte calda dell’universo di Empedocle e Zenone (sebbene non basate su osservazioni astronomiche).

E questa è solo una piccola parte delle idee scientifiche prodotte nell’Antichità. C’è chi ritiene che la vera rivoluzione scientifica abbia avuto luogo nella società ellenistica, tra il IV e il II secolo a.C., e che nel XVII se- colo l’umanità sia semplicemente ritornata a queste altezze e forse nemmeno.

Questa tesi è stata sostenuta in particolare da Lucio Russo, ne La rivoluzione dimenticata (2006), opera che si distingue per la mole impressionante di pro- ve documentali alle quali fa riferimento.

L’approccio centrato sulla conoscenza verificata o corroborata produce prove importanti, anche se qualcuno potrebbe ritenerle non conclusive. Esso è talora considerato insufficiente o insoddisfacente, perché implica l’esclusione dalla categoria di scienziato di tutti coloro le cui scoperte sono state successivamente falsificate. Paradossalmente, si potrebbe arrivare a mettere in dubbio lo status di scienziato di un ricercatore moderno e non di uno antico: per esempio, il calcolo della circonferenza terrestre di Eratostene è ancora valido (con un certo margine di approssimazione), mentre l’idea di Copernico che le orbite planetarie sono circolari è stata falsificata.

Per evitare questa trappola, si tende ad accoppiare all’analisi del conte- nuto anche l’analisi del metodo. Così, è scienziato non solo chi produce co- noscenza certificata, verificata, corroborata o plausibile (a seconda delle pro- spettive epistemologiche), ma anche chi, al di là dei risultati, studia i proble- mi con un certo metodo, con un certo abito mentale, per esempio ricorrendo alle certe dimostrazioni e sensate esperienze di cui parla Galileo, piuttosto che alla rivelazione divina o all’autorità.

Il cambio di prospettiva non salva però l’idea che la scienza abbia una sto- ria breve, anzi, svela ancora più chiaramente le origini antiche della scienza, riconducendole alla tradizione filosofica greca. Possiamo trovare nella Grecia antica una legione di intellettuali che cercano di conoscere il mondo e l’uomo attraverso l’uso della ragione e dell’esperienza, in consapevole contrapposi- zione con l’approccio mitologico. Secondo Karl Popper, è ai presocratici che dobbiamo tornare per ritrovare le radici del pensiero scientifico.

Seguiremo il suo consiglio, ma non prima di avere dedicato un cenno all’ontogenia mitico-religiosa di un’altra importante civiltà del Mediterraneo:

quella ebraica. Uno sguardo a questa cultura è necessario, per almeno tre ra- gioni. La prima è che la civiltà occidentale si è retta fondamentalmente, per

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millenni, su due gambe: la cultura filosofica greca e la cultura teologica giu- daico-cristiana. È difficile parlare dell’una, senza parlare dell’altra. La se- conda è che la cultura ebraica è stata capace di produrre idee proprie, ma an- che di assorbire e rielaborare miti e leggende provenienti dalle civiltà limitro- fe, soprattutto l’egiziana e l’assiro-babilonese. Perciò, anche prescindendo dall’influenza che l’ebraismo ha poi esercitato in Europa per tramite del cri- stianesimo, si tratta comunque di un termine di confronto importante. Si comprende meglio una visione del mondo scientifica, se la si paragona ad una non scientifica. La terza ed ultima ragione è che l’Antico Testamento, e in particolare la Genesi, è stato considerato per lungo tempo un testo scienti- fico. Ancora oggi, secondo sondaggi piuttosto attendibili, circa la metà della popolazione americana lo considera un testo da interpretare alla lettera. Se in Europa il creazionismo è trattato alla stregua di una favola, negli USA molti lo vorrebbero insegnato nelle scuole al posto del darwinismo. Perciò, siamo di fronte ad un termine di paragone che non ha solo una valenza storica limi- tata, ma sembra piuttosto caratterizzare tutta la storia dell’Occidente.

Il rapporto tra la razionalità greca e il fideismo ebraico, tra Atene e Geru- salemme, è stato analizzato da una schiera di studiosi, tra i quali Strauss (1998), Hengel (2001), Śestov (2005) e Pellicani (1997, 2007a). Sebbene alcuni storici, come Max Weber e Max Scheler, all’inizio del XX secolo, ab- biano voluto vedere le radici della razionalità e del ‘disincanto del mondo’

nella combinazione tra ebraismo ed ellenismo, la maggior parte degli scien- ziati sociali tende piuttosto a rimarcare una incompatibilità tra le due visioni del mondo e, dunque, a ricondurre molte delle convulsioni dell’Occidente alla compresenza delle due tradizioni. Strauss (1998: 57) riconosce che «la storia occidentale si presenta come un tentativo di armonizzare o di sintetiz- zare la Bibbia e la filosofia greca», ma allo stesso tempo avverte «che ciò che per molti secoli è avvenuto in Occidente, e che ancora sta avvenendo, non è una armonizzazione, ma un tentativo di armonizzazione». Tutti i tentativi sono finora falliti, perché «ognuna delle due radici del mondo occidentale proclama un’unica necessità, e la sola cosa proclamata necessaria dalla Bib- bia è incompatibile, per come viene intesa dalla Bibbia, con la sola cosa pro- clamata necessaria dalla filosofia greca, per come viene intesa dalla filosofia greca… L’unica necessità per la filosofia greca è la vita intellettuale auto- noma. L’unica necessità proclamata dalla Bibbia è vivere in amore obbedi- ente. L’armonizzazione e la sintesi risultano impossibili, poiché la filosofia greca può assegnare all’amore obbediente una funzione ausiliaria, e la Bibbia può impiegare la filosofia come un’ancella. Ma ciò che in entrambi i casi viene adoperato in tal modo si ribella».

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Pellicani non manca di sottolineare che l’operazione storiografica di We- ber e Scheler risulta assai poco attendibile, se si presta attenzione al fatto che il mondo giudaico-cristiano è tutt’altro che disincantato, ma piuttosto popo- lato da demoni, streghe, miracoli, interventi divini, tentazioni sataniche, esor- cismi, preghiere, apparizioni di angeli e vaticini profetici. Perciò, pare più corretto ricondurre geneticamente la nascita della Modernità al recupero della cultura pagana e greco-romana, piuttosto che ad uno sviluppo del giudeo- cristianesimo. Pellicani aggiunge che, aldilà dei simbolismi esteriori, «la

‘vera Europa’ oggi è pagana, non già cristiana». Dunque il bimillenario con- flitto fra Atene e Gerusalemme si è infine concluso con la vittoria di Atene.

Queste considerazioni ci inducono, in ogni caso, a fare un passo indietro e a dedicare qualche pagina al mito della Genesi, prima di immergerci nel pen- siero filosofico e scientifico greco.

La Genesi, ovvero la conoscenza come peccato

Il racconto della Genesi è di particolare interesse per la nostra ricerca, perché, oltre ad una celebre ontogenia, contiene una valutazione etica della cono- scenza. Sul piano strutturale, si tratta una collezione di scritti che risalgono in parte al X/IX secolo a.C. (fonte Jahvista) e in parte al VIII secolo a.C. (fonte Elohista). Le religioni cristiane hanno poi fatto proprio questo racconto e, perciò, i suoi contenuti sono ormai stati assorbiti dalla cultura popolare.

Premettiamo che, proprio perché si tratta di un testo molto noto, non ab- biamo ora la pretesa di proporne un’interpretazione nuova ed originale. Sia- mo anche consapevoli del fatto che, mentre il cristianesimo protestante rico- nosce al fedele il diritto di interpretare liberamente le sacre scritture, la Chie- sa cattolica ritiene di propria esclusiva competenza l’interpretazione delle stesse. Il fatto stesso di produrre una libera interpretazione potrebbe quindi essere visto da teologi cattolici come un’indebita invasione di campo. Ricor- diamo, però, che questo è un lavoro scientifico e che la scienza si è statuta- riamente data la libertà di invadere qualsiasi campo, facendo cadere la distin- zione fra sacro e profano. Proprio le regole etiche dello scetticismo organiz- zato e dell’universalismo, codificate da Merton, stabiliscono che non può essere limitata una ricerca in base al principio di sacralità o di autorità. In questo senso, il nostro libro è auto-esemplificante.

Tralasciamo la creazione del cielo e della terra, che dice poco sulla que- stione della conoscenza, e andiamo subito al quinto e al sesto giorno che nar- rano della comparsa degli animali e dell’uomo.

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[20] Dio disse: «Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra, davanti al firmamento del cielo». [21] Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque, secondo la loro specie, e tutti gli uccelli alati secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona. [22]

Dio li benedisse: «Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra». [23] E fu sera e fu mattina: quinto giorno.

[24] Dio disse: «La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e bestie selvatiche secondo la loro specie». E così avvenne: [25] Dio fece le bestie selvatiche secondo la loro specie e il bestiame secondo la propria specie e tutti i rettili del suolo secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona. [26]

E Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domi- ni sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie sel- vatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». [27] Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. [28] Dio li be- nedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggioga- tela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere viven- te, che striscia sulla terra».

L’uomo è creato ad immagine di Dio, anche se – si capirà più avanti nella narrazione – si tratta di una somiglianza solo esteriore. L’uomo non ha né la sapienza né l’eternità di Dio. Ad egli è però riconosciuto il potere su tutto il creato, il diritto di moltiplicarsi e di dominare la terra e tutte le altre specie viventi che la popolano. La legittimità a porsi come padrone dell’ente, piutto- sto che come pastore dell’essere, per usare due espressioni di Martin Heideg- ger, viene dunque concessa all’uomo direttamente da Dio. Ciò che non è concesso all’uomo è la conoscenza, la sapienza, la consapevolezza (anche di tipo morale). Alla luce delle scoperte paleo-antropologiche in nostro posses- so, possiamo dire che il mito rappresenta piuttosto correttamente la condizio- ne umana. Il dominio tecnico dell’uomo sugli altri esseri è effettivamente indipendente dalla conoscenza scientifica e filosofica, al punto che la precede di milioni di anni. Per milioni di anni l’uomo ha prodotto tecniche senza pro- durre conoscenza o dottrine etiche.

Il problema della conoscenza viene affrontato nel capitolo secondo della Genesi. Qui si narra che, prima della creazione dell’uomo, nessuna erba campestre era spuntata perché nessuno lavorava il suolo e faceva salire dalla terra l’acqua dei canali per irrigare tutto il suolo. Dio pianta quindi il giardino dell’Eden e vi colloca l’uomo perché si prenda cura di esso. L’uomo viene dunque creato ‘giardiniere’, quindi tecnico. L’uomo ha il dominio sulle altre creature, ma non si tratta a ben vedere di un dominio assoluto. È un dominio regolato da Dio stesso, che stabilisce il fine del lavoro umano e quindi la fun- zione dell’uomo. Non è l’uomo che pianta gli alberi del giardino, ma Dio stesso. L’uomo è semplicemente chiamato a prendersene cura e a trarne be- nefici nutrendosi dei frutti. Proprio per questo, nel giardino vi sono due alberi

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