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"M’insegnavate come l’uom s’etterna” : La cecità tragica del ser Brunetto nel canto XV dell' "Inferno" di Dante

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Academic year: 2022

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Maria Maślanka-Soro

Università Jagellonica di Cracovia

„M ’INSEGNAVATE COME L ’ UOM S ’ ETTERNA”: LA CECITÁ TRAGICA DEL SER BRUNETTO NEL CANTO XV DELL ’/TVFEÁ

j

VO DI DANTE

Nel terzo girone del settimo cerchio, tra i sodomiti ritenuti da Dante violenti contro natura, soffre rumiliante e dolorosa penadella pioggia di fuoco, che accompagna in- cessantemente il cammino circolare dei dannati, assurdo cometutti i movimenti ripeti- tivi facenti parte delle pene infemali,il vecchio maestro di Dante, Brunetto Latini, nel suo passatoterreno ¡Ilustre magistrato,notaio, cultore e divulgatoredifilosofía e retori­

ca,scrittore.Tra lui eun altro dannato „¡Ilustre”, Pierdella Vigna, esiste un legame nel senso che il Latini puó essere considerato responsabile dell’estensione della técnica epistolografíca (lo „stile alto” fortemente retoricizzato) introdotta da Piero nella curia imperiale di Federico II, alia cancellería della guelfa Firenze1. II suo annovero tra i dannati ha datoluogo nel passato ai giudizipiü contrastanti su Dante autore, che oscil- lano tral’ammirazioneper la sua intransigenza morale,ubbidiente alia giustiziadivina e l’indignazioneper l’irriverenza nei confronti di uno che era statoil suo maestro2. Ma tale „collocazione”del „serBrunetto” lascia perplessianche alcuni traimodemilettori di Dante e, occorre ribadirlo, lo stesso Dante personaggioche, come é noto, prima di conoscere a fondo la veritá sul male causato daun determinato peccatoespiato eterna­ mente nell’inferno, non é insintonía con Dante autore3. Del resto lasorpresa é recipro­ cae ció costituisce giá una spia per notare, come spiritualmente poco profonda era stata l’intesa (non lastima!) trai due. Al grido del vecchio: „Qual maraviglia”4, incré­ dulo di incontrare ¡I suo „fígliuol” attraversante il luogo della pena eterna,corrisponde ladomandadi questi „«Siete voi,qui, ser Brunetto»?”, che nonpuó non mettere incrisi

Cfr. Gianfranco Contini, La letteratura italiana delle origini, Firenze, Sansoni, 1970, p. 239, dove lo studioso cita Robert Davidsohn, lo storico dell’antica Firenze.

SuH’argomento cfr. la voce „Latini Brunetto”, a cura di Francesco Mazzoni in Enciclopedia Dantesca, vol. III, Roma 1971, p. 582.

Per la dialettica tensione tra Dante autore e Dante personaggio che si riduce progressivamente con il procederé della vicenda poética, cfr. p. e. John Freccero, Dante. La poética della conversione, Bologna, II Mulino, 1986, 19892, p. 49.

Tutte le citazioni della Commedia sono tratte dall’edizione Dante Alighieri, La Commedia se- condo l'antica Vulgata, a cura di Giorgio Petrocchi, Milano, Mondadori, 1966-67 („Le opere di Dante Alighieri, Edizione Nazionale a cura della Societá Dantesca Italiana”).

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,,il maestro dimorale”5, in quantocompromettequell’immagine che ildiscepolo poteva avere impressanei suoi ricordi.

L’espressione è di Anna Maria Chiavacci Leonardi, La guerra de ¡a pietate, Napoli, Liguori, 1979, p. 111.

Le parole di Virgilio si riferiscono al terzo girone del settimo cerchio, dove „soggiomano” le tre categorie dei dannati che portano violenza a Dio e alie sue opere: 1. quelli che negano l’esistenza di Dio e Lo bestemmiano 2. i violenti contro la natura, cioè i sodomiti il cui nome proviene dalla bíblica Soddoma 3. i violenti contro l’arte nella sua accezione „técnica”, intesa come l’attività produttiva sensu lato, cioè gli usurai indicati metonimicamente con il nome della città tráncese Cahors (it. Caor­

sa), tristemente famosa nei tempi di Dante per la diffusa pratica di questo „mestiere”.

In realtá lo stesso Latini non aveva risparmiato la critica alia sodomía nei suoi scrit- ti, in particolare nei Trésor (IIxxxm, xl, 4), la suaopera maggiore in forma di trattato enciclopédico, scritta in lingua oil, nonché nei Tesoretto, un poemetto non compiuto, composto in settenari e scritto in volgare italiano, in cui vengono esposte, tra le altre, nozioni enciclopediche di filosofía morale e di cosmología. Ai versi 2859-64, tra una aperta condannadei peccati piü gravi,si legge:

Ma tra questi peccati Son vie piü condannati Que’ che son soddomiti:

Deh, come son periti Que’ che contra natura Brigán cotal lusura!

L’incongruenza se non proprio la contraddizione tra questo giudizio e quello di Dante autore nei confronti di chi l’aveva emesso, ha fatto metiere in dubbio il genere della colpaespiatain questo girone, soprattutto che a livello lingüístico non esiste nes- suna spia univoca a riguardo. Tale spia, pero, sarebbe da trovaresul piano delleimma- gini che illustrano il contrapasso.Giá nei cantoprecedente, dove nella prima parte del girone la stessa pioggia di fuoco cade sulle anime dei bestemmiatori che giacciono sulla sabbia ardente („sovratutto ’1 sabbion, d’un cader lento, / piovean di foco dilátate falde, / come di neve in alpe sanza vento”: If XIV, 28-30), la pioggia innaturale contrasta per il suo significato ossimoronico con la naturalezza della neve caduta in montagna a cui viene paragonata e che risveglianella memoria del lettore ¡I richiamo alia „normalitá”, rendendo piü realística quella immagine. Sia questo contrapasso il quale inoltre allude - con la sua contraddizione interna per cui il concetto di pioggia viene associato a quello di fuoco - al carattere innaturale della colpa, sia un’indicazione di Virgilio (il portavoce dell’autore) nei canto XI, nei contesto della descrizione dellastrutturamorale dell’Inferno, non lasciano dubbi sul simbolismo della pena di ascendenzabíblica:

Puossi far forza nella deitade

col cor negando e bestemmiando quella, e spregiando natura e sua bontade;

e peró minor girón suggella del segno suo e Soddoma e Caorsa

e chi, spregiando Dio col cor, favella (46-51)6

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Delle tre categoriea cui si allude, metonimicamente („Soddoma eCaorsa”) e con una perifrasi(„chi, spregiando Diocol cor, favella”), la parola„Soddoma” va associata con la bíblica pioggia di fuoco con cui Dio punidue città incui erano diffusi i peccati contro natura: „Pluit enim Dominus super Sodomam e Gomorrham sulphur et iğnem a Domino de cáelo” (Gen. XIX, 24). Il significato di Soddoma, familiäre ai lettori me- dievali della Commedia, è puntualmentespiegato dallo stesso Dante nel canto XXVI del Purgatorio, che a livello della struttura narrativa corrisponde all’episodio che si svolge sullasesta terrazza, quella cioè dei lussuriosi. Essicorrono divisi in due schiere a seconda se il lorovizioera praticato secondo ocontro natura; in quell’ultimocaso le animepenitenti biasimano se stesse gridando „Soddoma”:

«La gente che non vien con noi, offese di ció per che giá Cesar, triumfando,

„Regina” contra sé chiamar s’intese:

peró si parton „Soddoma” gridando rimproverando a sé com’ hai udito,

e aiutan’ l’arsura vergognando». (Pg XXVI, 76-81).

La colpa di Brunetto, la cui identitásembra non lasciare dubbi nella prospettiva analógica intra- ed intertestuale di cui sopra, non ècontraddetta dalla esplicita condan- na della sodomia nel Tesoretto, se si considera, come ha fatto Luciano Rossi , che questastessa condanna è farta nel contesto non genérico, ma personale, dove la voce narrante parla del pentimento e dell’assoluzione dell’autore (Burnetto), andato a confessarsidai fratidiMontpellier, cosache consigliaa fare anche ad un amico:

e poi ch’ i’ son mutato, ragion è ehe tu muti, ché sai che sén tenuti un poco mondanetti:

perô vo’ che t’ afïretti

di gire ai frati santi (2558-63).

Del pentimento stesso si parlapiú avanti in questi termini:

ché, poi che del peccato mi son penitenzato, e sonne ben confesso e prosciolto e dimesso, io metto poca cura

d’andar a la Ventura (2887-92).

7 Cfr. Luciano Rossi, Canto XV in Lectura Dantis Turicensis, Firenze, 2000, pp. 209-10.

La variante „Bumetto”, come osserva Luciano Rossi (ibidem, p. 208) ai versi 30, 32, 101 del nostro canto, da rilevare nel Tesoretto (70, 1183, 2240, 2431), è presente nei codici „fiorentini” della Commedia.

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Esso puô essere ritenuto non un vero atto di „contrizione”, ma quello di „attri- zione”: „unpentimentoartificíale, cioè, causato dal timoré della pena(ché lomal non m’avampï) piùche dalla coscienza d’avere, coipropripeccati, offesoDio”9.

9 Cfr. ibidem, p. 210.

10 Paris, 1, Vrin, 1950, pp. 465.

Per il puntíllale „smontaggio” delle tesi del Pézard cfr. la ricensione di Francesco Mazzoni ne- gli „Studi Danteschi”, XXX, 1951, pp. 278-85.

12 Cfr. Richard Kay, The Sin of Brunetto Latini in „Medieval Studies”, XXXI, 1969, pp. 262-86;

negli Ultimi anni l’autore ha ripreso la sua tesi dándole un’impostazione diversa, cfr. idem, The Sin(s) of Brunetto Latini, „Dante Studies”, CXII, 1994, pp. 19-31.

Possiamo quindi constatare con la maggior parte dei commentatori antichi e dei eritici moderni,quale sia, agli occhi di Danteautore, il carattere della colpevolezzae la natura del peccato, cosí nel caso di Brunette come in quello dei „cherci / e litterati grandi e di gran fama”(If XV, 106-07) - alla cui sehiera egliappartiene.

2.

Pare infatti poco fondata l’interpretazioneesposta in un grosso volume, intitolato Dantesous la pluie de feu, di André Pezard10, dove l’autorecerca di attributea Bru­ nette un peccato meno infamante, anche sepiù grave, controloSpiritoSanto. È la nota tesi secondo cui Brunette, avendo scritto la suaopera maggiore, il Trésor, in lingua franceseinvece chenelvolgare italiano,sua linguamaterna, avrebbe violate la dimen- sione sacra del linguaggio e perciô sarebbe da accostare ai bestemmiatori contro Dio Padre - come Capaneo - puniti nello stesso terzo girone e di cui tratta il canto prece­

dente11. Un’altra lettura dell’episodio non meno controversa e troppo sottile per esser convincente è quelladi RichardKay12: lo studioso sostieneche il peccatocontro natura consistanell’aver sowertito l’ordine naturale per il fatto di aver posto la filosofía al servizio non dell’lmpero, ma delle strutture comunali, e nell’aver deformato la tesi dantesca, esposta nella Monarchia, circa i compiti dell’imperatore „qui secundum phylosophica documentagenus humanum ad temporalemfelicitatem dirigeret”(III, Xv, 10). Sfruttando il metodo dei passi paralleli nei canti corrispondenti delietre cantiche (IfXN, PgXIV,PdXIV), egli cerca di dimostrare che i peccati di Brunette avevano il carattere intellettuale ed il contenuto politico, come p.e. la concezione „razzista” delle virtù. Già perô la scelta dei canti appare arbitraria: se è vero che il primo ha il carattere introduttivo a tutte il poema, rimane non menovero che esistono delle precisecorris- pondenze (tematiche ed altre) tra i canti la cui numerazione è idéntica: basta addurre qui un noto esempio dei sesti cantidi ogni cántica, dove affiorano gli argomenti politici in unclimaxcrescente: riferiti primaa Firenze,poiall’Italiaed infine all’lmpero.

Quella della sodomiadi Brunette - di cui taccionole fonti cronachistiche ed altre dell’epoca - è una scoperta sconcertante, come si è dette, peril pellegrino.L’incontro dei due è carico di unadrammaticità interna e di una ambiguità particolare (che non trovariscontro nel restedella prima cantica).Nonostante ne sia permeate il lorodialo­ go, alla maggioranza dei lettori non sfuggono accenti di sincero affetto tra Dante e Brunettedi cui il più forte eal tempo stesso il più problemático - allaluce del fatto che per il vecchio maestro,a causa del giudizio di Dante autore, non esiste nessuna speran-

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za disalvezza-risuona nelle parole di Dante personaggio: ,,ché ’n lamentem’éfitta, e or m’accora, / lacara e buona imagine paterna” (82-83).Ció perosorprende meno se consideriamo altri esempi dei dannati in qualche modo anch’essi nobili, come Frances- ca,Farinata, Pier della Vigna, Ulisse ecc.:proprio ladignitá umana nefa i personaggi tragici in un poemacristiano che tutto sommato si distanzia dalla concezione trágica dell’uomo nel senso aristotélico della parola,grazie soprattutto alia dottrina del libero arbitrio che non ammette una colpa proprio malgrado, valea dire, per servirci del ter­

mine „técnico”, unahamartia. D’altra parteDante autoremirabilmente concilia il ris- petto peri valori umani di questi personaggi, ritenuti tuttavia insufficienti ai fini della salvezza, con una pur sofferta condannamorale.

Brunetto rimane quindi un altro insigne „giusto” che commise l’ingiustizia verso se stessosenzarisentire rimpiantiné pentimenti, ilche- nell’otticacristianadi Dante - significa quella verso Dio tramite un atteggiamento che offende l’immagine dell’uomo comesimulacrum Dei. II canto,delineando il contrasto tra lafigura (ideale) di Brunetto maestro euomo di cultura e la condizione di Brunetto peccatore mortale svela anche le cause dellasua tragedia attuale incui le inclinazioni contro natura non sono che - per

cosí dire - il coronamento dei valori su cui avevafondato lapropriaesistenza terrena, valori che si avvicinano di piü alia cultura anticache a quella cristiana. In questo modo l’epifania13 del Latini mette in relazione la forma penale ultraterrena in cui la divina giustizia ha racchiuso per l’etemitá l’essenza del suo essere, e „le maschere”, vale a dire delle realtá o veritá per le quali egli eravissuto, in cui aveva creduto (= forme di vario „valore”) e nelle quali continua a credere. Esse vengono „smontate” da Dante autore che ne fa vedere l’inutilitá e la nocivitá ai fini della salvezza eterna. Brunetto sarebbe ¡1 portatore, esattamentecome Pier della Vigna, di certi aspetti diquella cultura in cui Dante, purammirandolanel suo complesso, ha visto solo unatappa nella storia dell’umanitá, necessaria per lo sviluppo morale ed intellettuale dell’individuo umano, che lo distingua dai „bruti”14, ma trágicamente insufficiente per realizzare la piena umanitá,quella chevalorizza le sue caratteristiche dellacreatura di Dio. L’uomo é per lui e la cultura del suo tempo il riflesso del divino con cui -assieme a tutto il creato - mantiene i legami indissolubili deH’Amore15, in cui trova il suo inizio e la sua fine.

L’errore dawerotrágico di Brunetto, come quello di Piero, sopra cui grava l’ombra di Ulisse- figura emblemática dell’eroe antico divenuto un antieroe cristiano - é quello di aver scelto una strada che nellaprospettiva ultraterrena conduce anullao piuttosto ad uno stato perenne di morte spirituale. Entrambihanno capovolto l’ordine naturale, Puno con il suicidio, l’altro con la sodomía, acausa di una cecitá chenel caso di Bru­ netto, oltre ad esseremorale assumeanche la dimensione intellettuale. Questacecitá, che corrisponde agli sviluppi particolari di una condizione generale, comune a tutti i dannati, quelladi aver perso ,,il bendell’intelletto” (¿¡fIII, 18), cioé la veritá, compro-

Uso questo termine nel senso adoperato da Marino Barchiesi in riferimento alie scene della Commedia, dove esso indicherebbe la „rivelazione della quintessenza di un oggetto”, in particolare di un personaggio, che „coincide con la sostanza stessa del canto”: cfr. M. Barchiesi, Catarsi classica e

«medicina dantesca» (dal canto XX dell'«Inferno»), „Letture Classensi”, vol. IV, Ravenna, Longo, 1973, p. 49.

14Cfr. la frase di Ulisse dantesco che ribadisce i principi fondamental i della cultura antica: „fatti non foste a vi ver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza” (//XXVI, 119-20).

Cfr. l’ultimo verso della Commedia che indica l’obiettivo del viaggio dantesco e dell’umanitá:

,,1’amor che move il sole e l’altre stelle” (Pd XXXIII, 145).

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mette il bene operatosulla térra. Non lo annulla, pero, comedimostrano gli esempi di tutti i dannati „illustri” la cui memoria viene „rinfrescata” dall’opera dantesca. Grazie al loro,,ben far”16, essi c’entrano nella formula aristotélica riguardante l’eroe della tra­

gedia17 che non puó essere l’incamazione del male; ció precluderebbe uno dei senti- menti chiave della tragedia: lapietá.

Questa espressione che riguarda l’impegno civile e politico di Farinata e di alcuni altri dannati, tra l’altro dei sodomiti illustri che il pellegrino incontrerá nell’episodio del canto XVI áe\V Inferno, appare nel canto „político” di Ciacco: ,,a li altri ch’a ben far puoser li ’ngegni”: If VI, 81.

17 Cfr. Aristotele, Poet. 13, 1453 a 7-10.

Cfr. De Vulgar i Eloquentia II, |V, 5-6: „Per tragediam superiorem stilum inducimus, per come- diam inferiorem (...) si tragice canenda videntur, tune assumendum est vulgare ¡Ilustre (...) Si vero comice, tunc quandoque mediocre, quandoque humile vulgare sumatur”.

3.

Come accade nel caso degli altri personaggi di rilievo nell’Inferno, anche per il Latini la tragicitá si risolve nellaconcezione della libertacristianadi fronte alia quale svanisconoi concetti di fatalitá, di necessitá o di una colpa commessa propriomalgra- do che, nonostante il suo valore „oggettivo”, viene punita come quella „soggettiva”, premeditata e volontaria-concetti operanti tutti in una tragedia antica. Inoltre, se vo- gliamo rimanere solo sul terreno del poemadantesco, a nostro awisoBrunetto, a diffe- renza di Francescao di Pierdella Vigna ai quali lo accomuna la formuladel „giusto”

ingiusto, é vittima solo di se stesso e in quanto tale risulta meno trágico di quei due:

Francesca- vittima dell’amore presentato da leicomeuna fatalitá, ma, in conseguenza di questo, anche del marito uxoricida, Piero - quella della propria concezione dell’onore, distortadal punto di vista cristiano, e inoltredell’azione denigratoriadi altri cortigiani, direttamente responsabilidellasua caduta.

II grado minore della tragicitá del maestro di Dante - alia quale passeremo fra poco - rispetto ad altri „grandi” dannati, é messo in rilievo da alcuni cenni comici. É giá significativo il fattoche non ci sono qui -diversamente che nel caso di Francesca, Piero, limbicoli - presupposti per il sentimento di pietá checede spazioa quello di sti- ma e rispetto, piuttosto estraneoall’idea deltrágico. Lapercezione, daparte del pelle- grino,della forma oltremondana di Brunettomessa in reiazione con la sua „maschera”

terrestre, con i valori in cui continuaa crederee che continuaa trasmettere al suo ex- discepolo nonostante questiabbiagiá un’altra guida(Virgilio), nonéaccompagnatadal pathos - emozione di dolore e di sofferenza.

L’incontro é anticipato da due similitudini in stile mediocre,cioé comico, secondo la classificazione dantescae piü generalmente medievale degli stili18. La prima awici- na con un tocco di realismogeográfico un particolaretopográfico, vale adire gli argini del fiume infernale di sangue (Flegetonte),su cuicamminanoVirgilio e Dante, e il loro entourage - ilvapore sanguigno che awolgegli argini eproteggei viandanti dal calore deldeserto ardente che si estendeoltre - alie dighe delle Fiandre e del fiume Brenta(3-

12). Un’altrasimilitudine, duplice anch’essa, é strettamente connessa con la tenebro- sitá del luogo e con lo sforzo visivodei dannatinell’osservarei due viandanti, resi con

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l’immagine della difficoltosa visibilité durante la luna nuova, nonché con quella del vecchio sarto che stenta ad infilarela cruna nell’ago:

quando incontrammo d’anime una schiera che venían lungo l’argine, e ciascuna ci riguardava come suoi da sera guardare uno altro solto nuova luna;

e si ver’ noi aguzzavan le ciglia

come ’ 1 vecchio sartor fa ne la cruna. ( 16-21 ).

L’atmosfera della quotidianità introduce un tono dimesso, familiäre dell’incontro e puô essere attribuita ai ricordi autobiografici19, ma non esclude neanche l’intenzione di preannunciare metafóricamente l’inferioritàmorale di Brunetto, in quanto maestro del passato, rispetto all’attuale maestro, Virgilio, e anche rispetto all’ex-discepolo, ri- baditasul piano letterale tramite la descrizione-başata sul lessico basso- dell’aspetto

„cotto”edel gesto umiliantedel Latini, costretto- nella sua posizione di infériorité fí­ sica e „materiale” - a toccare illembo dellavestedel pellegrino per potergli parlare:

Cfr. il commento ai vv. 4-12 e 13-21 di Bianca Garavelli nell’edizione Dante Alighieri, La Commedia, a cura di Bianca Garavelli con la supervisione di Maria Corti, vol. I (Inferno), Sonzogno, Bom^iani, 1993, pp. 214-15.

Per il fuoco come strumento punitivo e mezzo di purificazione dal peccato di lussuria omo- ed eterosessuale, cfr. Pg XXV, 136-39; Pg XXVI, 81, 148.

Cosí adocchiato da cotai famiglia, fui conosciuto da un, che mi prese per lo lembo e gridô: «Qual maraviglia!»

E io, quando '1 suo braccio a me distese, ficcaï li occhi per lo cotto aspetto, si che ’1 viso abbrusciato non difese la conoscenza sua al mió ’ntelletto; (22-28).

Questa inferiorità è presente anche nel modo di formulare la domanda per poter accompagnare Dante (31-33). Essapuô essere interpretata come parte del contrapasso in quanto esprimerebbe il capovolgimento di un naturale rapporta maestro/discepolo.

In questo senso si puô capire pure l’immagine del viso e del corpo arsi dalle fiamme, segno visivo del peccato camale20. Una similitudine altrettanto „antitragica” sta alia chiusura del canto, dove Brunetto che si allontanain corsa per raggiungere la propria schiera viene paragonatoal partecipante alia gara podistica istituitaa Verona nel 1207:

Poi si rivolse, e parve di coloro Che corrono a Verona il drappo verde Per la Campagna; e parve di coloro

Quelli che vince, non colui che perde. (121-24).

Tali immagini realistiche e corniche „incomiciano” il colloquio di Brunetto e Danteridimensionando, ci pare, ladignité diBrunetto chetraspare dal suo discorso che volgeprincipalmente sullequestioni etiche ed esistenziali.

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4.

Nonostante le detteattenuazioni nel senso dicui sopra, ilpersonaggio di Brunetto, proprio alia luce delle parole che rivolge aDante, si riveste di una certa dimensione trágica. Nel rapporto che si stabiliscetra entrambi che, come si é detto, non manca di ambiguitá, si manifestano i valori nei quali egli continua a credere. Del resto non puó essere diversamente nella condizione in cuisi trova e incui ha raggiunto- per cosí dire - il „perfezionamento” della suaessenzaumana o,perriferirci alia felice formulazione di ErichAuerbach, l’adempimento della sua figura terrena21. IItermine chiave del col- loquiovero e proprio che inizia alv. 46 ed épreceduto dal riconoscimento reciprocoe dai chiarimenti del Latini quanto alia modalitá del loro conversare che gli permettano di evitare una pena aggiuntiva, é la parola fortuna. Essa compare ben quattro volte nell’arco di una cinquantinadi versi e nel contesto che conceme lavita di Dante: due volte nella bocea del vecchio maestro (46,70) ed altre due riecheggiata dal discepolo (93,95). SignificativamenteBrunettoapre con essa ildiscorsoformulando una doman- dache getta lucesulla sua concezione dell’uomo e sulle ragioni che secondolui stanno aliabase delleazioni umane:

Cfr. Erich Auerbach, Dante: Poet of the Secular World (tit. orig. Dante als Dichter der irdis­

chen Welt), The University of Chicago Press, Chicago 1961, pp. 141-42; idem, Mimesis (trad. it.), Torino, Einaudi, 1972, p. 209.

La sua prima illustrazione appare nel XXIV libro äeWIliade, con l’immagine dei due vasi da cui Zeus distribuisce, senza un criterio etico, il bene e il male: cfr. vv. 527 sgg.

(...) «Qual fortuna o destino anzi I’ultimo di qua giú ti mena?

e chi é questi che mostra ’1 cammino?» (46-48).

Egli intende la fortuna come un caso fortuito e cieco della sorte, attribuendole il significato „da sempre” riconosciuto dagli antichi22 in un potere oscuro e misterioso che domina la storia umana. Questa concezione casualistica e irrazionalistica della fortunache sfugge all’azione di Dio, Ragionesupremaoperantesecondo la giustiziae Prowidenza, si concilia bene con lo scarso interesse di Brunetto per le questioni meta- fisiche e con il suo modo laico ed enciclopédico di guardare la realtá. Essa trova ris- contro in diversi passi della sua opera; peresempio nel Favolello si legge: ,,ch’ amico di ventura / come rota si gira” (72-73). Un pensiero simile compare nel Tesoretto:

„Come ventura mena / La rot’ a falsa parte” (2434-35). A questa concezione viene contrapposta nel Trésor volgarizzato un’altemativa che la esclude, ma che viene for- mulata in termini di un giudizio piuttosto imposto che liberamente accettato, e quindi tale che puó anche non convincere:

„(...) elli beni di ventura (...) vanno e vengono d’ora in ora, e non hanno punto di fermezza;

ché ventura non é ragionevole in suo corso, né non é per diritto, né per ragione (...). Peró dicono piü persone, che ventura é vocola e cieca, e ch’ella sempre diviene errando, e non vedente; ma noi ne doviamo tenere quello che i Santi ce ne mostrano per la Scrittura, che Dio abbassa li possenti, ed alza li umili” (II, CXV).

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4.

Nonostantele dette attenuazioni nel senso dicui sopra, il personaggio di Brunetto, proprio alla luce delle parole che rivolge a Dante, si riveste di una certadimensione trágica. Nel rapporte che si stabiliséetra entrambi che, come si è dette, non manca di ambiguità, si manifestano i valori nei quali egli continuaa credere. Del reste non puô essere diversamente nella condizione in cuisitrovaein cuiha raggiunto - per cosi dire - il „perfezionamento”dellasuaessenza umana o, per riferirci alla felice formulazione di ErichAuerbach, l’adempimentodella sua figura terrena* *21. Iltermine chiave del col- loquiovero e proprioche inizia al v. 46ed è preceduto dal riconoscimentoreciproco e dai chiarimenti del Latini quanto alla modalità del loro conversare che gli permettano di evitare una pena aggiuntiva, è la parola fortuna. Essa compare ben quattro volte nell’arco di una cinquantina di versi e nel contesto che concerne lavita di Dante: due volte nella bocea del vecchio maestro (46,70) ed altre due riecheggiata dal discepolo (93,95). SignificativamenteBrunetto apre con essa il discorsoformulando una doman- dache getta lucesulla sua concezione dell’uomo e sulle ragioni che secondoluí stanno alla base delle azioni umane:

Cfr. Erich Auerbach, Dante: Poet of the Secular World (tit. orig. Dante als Dichter der irdis­

chen Welt), The University of Chicago Press, Chicago 1961, pp. 141-42; idem, Mimesis (trad, it ), Torino, Einaudi, 1972, p. 209.

22La sua prima illustrazione appare nel XXIV libro delVIliade, con l’immagine dei due vasi da cui Zeus distribuisce, senza un criterio etico, il bene e il male: cfr. vv. 527 sgg.

(...) «Qual fortuna o destino anzi l’ultimo di qua giù ti mena?

e chi è questi che mostra ’1 cammino?» (46-48).

Egli intende la fortunacome un caso fortuito e cieco della sorte, attribuendole il signifícate „da sempre” riconosciuto dagli antichi22 in un potere oscuro e misterioso che domina la storia umana. Questa concezione casualistica e irrazionalistica della fortuna che sfugge all’azione di Dio, Ragione supremaoperantesecondo la giustizia e Prowidenza, si concilia bene con lo scarso intéressédi Brunetto per lequestioni meta- fısiche e con il suo modo laico ed enciclopédico di guardare la realtà. Essa trova ris- contro in diversi passi dellasua opera; per esempio nel Favolello si legge: ,,ch’ amico di ventura / come rota si gira” (72-73). Un pensiero simile compare nel Tesoretto:

„Corne ventura mena / La rot’ a falsa parte” (2434-35). A questa concezione viene contrapposta nel Trésor volgarizzato un’altemativa che la esclude, ma che viene for- mulata in termini di un giudizio piuttosto imposte che liberamente accettato, e quindi tale che puô anche non convincere:

„(...) elli beni di ventura (...) vanno e vengono d’ora in ora, e non hanno punto di fermezza;

ché ventura non è ragionevole in suo corso, né non è per diritto, né per ragione (...). Perô dicono più persone, che ventura è vocola e cieca, e ch’ella sempre diviene errando, e non vedente; ma noi ne doviamo tenere quello che i Santi ce ne mostrano per la Scrittura, che Dio abbassa li possenti, ed alza Ii umili” (II, CXV).

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L’immagine della ruota della Fortuna che entró nella cultura cristianasoprattutto grazie al famoso trattato-poema di Boezio,De consolatione philosophiae23, fu ripresa dal Román de la rose di Jeande Meun24.Danteancora nelConvivio,suotrattatofilosó­ fico - la cui forma,nota bene, sarebbe daawicinarea quella boezianadel prosimetrum

23Cfr. per es. l’espressione „volventis rotae impetum” (II, I, 52).

24 Cfr. per es. v. 4861: „Quant sur sa roe les fait estre” e vv. 53 50, 6856, 5901.

Giovanni Busnelli e Giuseppe Vandelli nel loro commento al passo IV, XI, 6 del Convivio non trovano nessuna contraddizione tra le due concezioni dantesche ritenendo che nc\\’Inferno (Canto Vil) la Fortuna sia una delle ministre della Prowidenza divina che corrisponde alia giustizia distri­

butiva con cui Dio govema il mondo; nel Convivio, invece, essa andrebbe considerata in riferimento ai fattori particolari che agiscono nella distribuzione e nell’acquisto delle ricchezze: cfr. Dante, II Convivio, a cura di G. Busnelli e G. Vandelli, parte II, Firenze, Le Monnier, 1964, p. 126.

Cfr. U. Bosco, Canto XV in Lectura Dantis Scaligera : Inferno, Firenze, 1967, p. 492.

Cfr. Luciano Rossi, op. cit., p. 212.

- considerato talvolta un preludio aliaCommedia, dicechenella distribuzione dei beni e dei mali non c’é nessunagiustiziadistributiva, ,,matutta iniquitade quasi sempre, la quale iniquitade é proprio effetto d’imperfezione” (IV, Xi, 6). La revisione di questo giudizio25 ha luogo nel canto Vil de\\’Inferno (70 sgg.), dove Virgilio afferma che questaforza resta al serviziodellagiustiziadivina; cosí viene raggiunta la coerenza con la concezione cristiana e finalisticadella storia edell’universo. LaFortunachiamata li un’ Intelligenza angélica, incaricata di realizzare i fini della Prowidenza, opera come

„causa prima”, lasciando un ampio spazio alia liberta umanadi realizzare determínate azioni.

II destino - per tomare all’espressione di Brunetto del v. 46 - non sarebbe un’alternativa alia fortuna cosí concepita: questo termine apporterebbe una correzione - secondo una ipotesi di Umberto Bosco26 - che contiene qualcosa di pió razionale e determinato. Ció significherebbe che Brunetto intuisce in qualche modole vere ragioni delviaggio,manon fino al punto di meritare una risposta da parte del pellegrino, anche in ció che riguardala sua guida,che nonsiavagae superficiale, con l’accentoche batte solo sulsenso letterale:

«La sil di sopra, in la vita serena», rispuos’ io lui, «mi smarri’ in una valle, avanti che l’etá mia fosse piena.

Pur ier mattina le volsi le spalle:

questi m’apparve, tornand’io in quella, e reducemi a ca per questo calle». (49-54).

Al lettore, a differenza di Brunetto, questo passo puó sembrare ambiguo per un intenzionaletacimento sulle cause morali del suo smarrimentoe sulla motivazione so- prannaturale del viaggio. La risposta,infatti, rimane in sintonía con ladomandae piü in generale con il modo di ragionare di Brunetto, e conferma implícitamente l’assenza della consapevolezza morale di quest’ultimo, laquale si fará sentiré anchepiü avanti.

Naturalmente non é escluso anche il fatto che essa, „troppo rapida e scialba” com’é, faccia allusione, per come lo pensa il Rossi27, alia univocitádell’opera del Latini op- postaalia complessitá polisemica della Commedia, ma ci pare piü importante sottoli- neare il suo contenutoideológico. Non a caso,quasi fin dall’inizio del canto, come ac-

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„M’insegnavate come l’uom s’ettema”: La cecità trágica del ser... 113

cade anche -e in una misura maggiore -per Pier della Vigna28, la realtá psicológica dominante nell’episodio trova il suo riflesso sul piano lingüístico: la, nel canto XIII, attraverso l’uso lessicale viene espressa 1’ idea della lacerazione, scissione, sdoppia- mento, qui, invece, in grado piú modesto, quella della cecitá morale ed intellettuale.

Neila citata seconda similitudine e in ció che la segue (17-23) appaiono diversi verbi appartenenti al campo semántico della vista: „riguardava” (18), „guardare” (19),

„aguzzavan le ciglia” (20), „adocchiato” (22). Inoltre, la stessa immagine del vecchio sarto che fatica ad infilare la cruna nell’ago, non solo rende piü familiare l’atmosfera ed é un modo implícito di ricordare, come la tenebrositá del luogo infernale risulta scarsamente rischiarata dalle falde del fuoco che cadono sui dannati, ma puó essere inoltre intesa come una metafora indicante la scarsa consapevolezza del protagonista dell’episodio. Ci sembra lecitofareuna osservazionesimile a proposito del passosuc- cessivo in cui Brunetto entra nel ruolo del maestro: egli non solo si permette, dannato com’é, di daré i consigli a chi, ormai, é da lui spiritualmente lontano, ma esprime il rammarico dinonaverpotuto portareil conforto all’operadi Dante:

Cfr. Leo Spitzer, // canto XIII dell'Inferno di Dante in Letture dantesche, a cura di Giovanni Getto, Firenze, Sansoni, 1962, p. 231; cfr. anche Maria Maslanka-Soro, Pier della Pigna tra Dante narratore e Dante personaggio nel Canto XIII dell'«Inferno», „Tenzone”, 3, 2002, p. 155.

29 C’é chi, come Umberto Bosco, intende il v. 55 nel senso metafórico interpretando la parola

„stella” come „destino” e Tespressione „seguiré la stella” come desunta dall’esperienza náutica: cfr.

Umberto Bosco, op. cit., p. 495, e idem, Dante vicino, Caltanisetta-Roma, Salvatore Sciascia Editore, 1966¿ pp. 101-02.

Cfr. idem, Dante vicino, op. cit., pp. 104 sgg.

(...) «Se tu segui tua stella, non puoi falliré a glorioso porto, se ben m’accorsi ne la vita bella;

e s’io non fossi si per tempo morto, veggendo il cielo a te cosí benigno, dato t’avrei a Topera conforto.» (55-60).

L’allusione astrológica alia costellazione dei Gemelli29 sotto cui era nato Dante, come egli stesso dichiara nel Paradiso (XXII, 112-14), che secondo le credenze dell’epoca donava le predisposizioni agli studi letterari ed un’intelligenza brillante, é un ulteriore segno della cecitá di Brunetto, non tanto per il fatto di seguiré una opi- nione diffusa, ma di limitarsi ad essa. Non meno fuori luogo sembra Taffermazione della seconda terzina (58-60), dove il Latini per „Popera” intende probabilmente l’attivita letteraria, come é riconosciuto dalla maggioranza dei commentatori. Sembra improbabile che eglinon si siaaccorto che il genio letterario deldiscepolo - cheaveva portato acompimento la VitaNuova prima del 1294, Tanno della sua morte - supe- rasse di gran lunga il suo e si sarebbe pur dovuto accorgere che aveva j?oco ad inse- gnarea Dante in questa materia. Tale ragionamento ha indotto il Bosco30 all’ipotesi - non seguitatuttavia da altri critici, conforme invece al suo rifiuto dell’interpretazione astrológica del v. 55 - che l’aiutodi Brunetto avrebbe potuto riferirsi solo all’impegno civile e morale di Dante, giovane ed ancoraagli inizi dellasua poco fortunata carriera política. Piü convincente appare la considerazione del Parodi, il quale arriva a conci­

llare le due ipotesi riconoscendo che „Brunetto, pur alludendo alia costellazione dei

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Gemini e purnon dimenticando affatto la presente e la futuragloria letteraria di Dante, non intende riferiresoltantoad essa lasuapredizione, ma a tutta l’attivitádi lui nel suo complesso - di uomo e dicittadino”31.

Cfr. Ernesto G. Parodi, Canto XV in Letture dantesche, a cura di Giovanni Getto, Firenze, San- soni, 1962. p. 279; cfr. inoltre il commento al v. 60 di Anna Maria Chiavacci Leonardi nell’edizione Dante Alighieri, Commedia, Inferno, a cura di A. M. Chiavacci Leonardi, Bologna, Zanichelli, 2001, p. 268.

32 Cfr. Pg XXV, 70-77, dove il poeta Stazio osserva, nell’ambito della teoria sull’anima umana, che al feto umano, dopo 1’anima vegetativa e sensitiva, viene „ispirata” direttamente da Dio anche quella razionale („spirito novo di vertu repleto”, v. 72) che diventa poi tutt’uno con le precedenti.

Cfr. il discorso di Marco Lombardo nel Canto XVI (73 sgg.) del Purgatorio sul libero arbitrio e le questioni etiche ad esso legate, dal quale diventa chiaro che la ragione umana e insufificiente a raggiungere il bene senza l’intervento della grazia; sul libero arbitrio cfr. inoltre Pg XVIII, 61-75; Pd V, 19-24.

L’errore di Brunetto, che farebbe parte della sua „colpa trágica” e che appartiene alia sua etica paganeggiante,sarebbe, aquanto cipare, quello di attribuireúnicamente alia Natura,all’influsso dei segni zodiacali, l’ingegno di Dante, il che sta in contraddi- zione con la dottrina cristianadi cui Dante autore si fa interprete nella Commedia, che pur ammettendo un ruolo margínale dell’influsso astrale sull’uomo riconosce l’importanza dellaGrazia divina nella distribuzionedelle doti spirituali od altre32, la cui utilizzazione dipendepero dallavolontá umana, dal suo libero arbitrio33. In questi ter- mini Beatrice spiegherá la colpevolezza di Dante - tanto maggiore quanto maggiori erano i doni elargitigli- nella drammatica scena al Paradiso Terrestre, che precede e stimola il suo pentimento (contritio cordis) e la susseguente confessione (confessio oris), necessari per raggiungere laperfetta purezza primadi salire al ParadisoCeleste:

Non pur per ovra de le rote magne, che drizzan ciascun seme ad alcun fine secondo che le stelle son compagne, ma per larghezza di grazie divine,

(...)

questi fu tal ne la sua vita nova virtüalmente, ch’ogne abito destro

fatto avrebbe in lui mirabil prova. (Pg XXX, 109-117).

D’altra parte Dante autorericonosce un indubbio mérito di Brunetto di avervo­

luta portare il „conforto”, cioé l’incoraggiamento alia sua attivitá letteraria per quanto riguarda il valore civile di essa. Tra l’esperienza biográfica di Brunetto e di Dante esistono dei parallelismi: non solo la comune esperienza del priorato e dell’esilio, ma anche il fatto che per entrambi le qualitá letterarie ed etico-civili non sono separabili.

Rimane significativo il giudizio di Giovanni Villani espresso nella sua Crónica (VIH, 10), che Brunetto fu il „granfilosofo (...) sommo maestro in rettorica, tanto in ben sa- per dire comeil bene dittare (...) dittatore del (...) Comune, cominciatore e maestro di digrossarei Fiorentini e fargli scorti in bene parlare, e in sapere guidaree reggere la (...) repubblica secondo la Política”. La „lezione” avutadal Latini,portata a perfezione da Dante,potrebbe essere quelladi mettere laretoricaal servizio civilee político, tant’

évero che il Trésor, secondoGianfranco Contini, andrebbe interpretato come „un ma-

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„M’insegnavate come l’uom s’ettema”: La cecitá trágica del ser... 115

nuale di formazione dell’uomopolítico”34. Brunetto si sarebbe quindi dimostrato ilse- guace fedele di Cicerone e non soltanto il suo traduttore - avendo volgarizzato e am- piamente commentato i primi 17 capitoli del De inventionenella sua Rettorica(crono­

lógicamente precedente il Trésor). A sua volta il Trésor, epiü esattamente il libro II, sarebbe stato uno dei modelli ideologici del Convivio dantesco, dove l’esposizione delle virtü morali ed intellettuali e in funzione della felicita umana, possibile da rag- giungere in questa vita. „Un’impronta brunettiana” porterebbe anche il De Vulgari Eloquentia, mentre il Convivio sarebbe dal punto di vista fórmale un’attuazione del d¡- segno brunettiano del prosimetrum annunciato nel Tesoretto, mamai realizzato35.

34Cfr. Gianfranco Contini, Poeti del Duecento, II, Milano-Napoli, Ricciardi, 1961, p. 172.

Cfr. la voce „Latini Brunetto” a cura di Francesco Mazzoni in Enciclopedia Dantesca, op. cit., p. 584. Lo studioso da li anche la rassegna di riscontri letterari tra l’opera di Brunetto e quella di Dante suggerendo che non sia da escludere che Dante abbia ricevuto dal Latini qualche stimolo alia sua ojsera letteraria (cfr. pp. 584 sgg.).

Cfr. Luciano Rossi, op. cit., p. 213.

37Citato da Anna Maria Chiavacci Leonardi nella sua edizione della Commedia, precisamente nel commento al v. 85 del Canto XV áeW'Inferno: cfr. op. cit., p. 270.

5.

Nondimeno la dichiarazione di Brunetto dei citati vv. 55-60, vistadallaprospetti- vadel poema sacro il cui obiettivoprimario é quello di condurrel’umanitáverso la sal- vezza eterna e non quello di portare Dante in quanto personaggio storico al „glorioso porto” (56), aliafama da intendere in termini esclusivamente terreni, puó essere letta come una implícita polémica dell’autore- rivolto ormai verso la trascendenza - nei confronti del vecchio maestro e segnauna distanza tra quest’ultimo e Dante nella sua qualitá siadi autore che di personaggio. La maggior scissione sarebbe da notare nelle parole del pellegrino che fanno parte della risposta data alia profezia di Brunetto dei versi 61-78, laquale concerne la sua sorte, dove si fa sentiré una forte accusa dei fio- rentini (impegno civile di Brunetto!), piena di disprezzoper lagente „avara, invidiosae superba” (68), discendente dai fiesolani privi di un passato antico e nobile; questa po­ lémica,nota bene, assume untono popolare con le espressioniawerbiali e proprie del linguaggio comico, le metafore la cui plasticitá trae la forza da questa prospettiva

„umile”: „trali lazzi sorbi / sidisconvien fruttare al dolcefleo” (65-66); „lungi siadal becco l’erba”(72); „bestiefiesolane” (73). Questo stile basso rendeindubbiamente piü efficace ed assoluta l’accusa.

Constatando che la fortuna (70) riserva a Dantetanto onore che sará l’oggetto di mira da parte siadei Bianchi che dei Neri, Brunetto la identifica qui con quella gloria terrena che era stata ,,il principale obiettivo della attivitá filosofico-letterariadel Latini inquanto personaggio storico”36.Infatti grazie ad essaegli era riuscitoad„ettemare” se stesso, ma ancora di piü grazie al fatto che cióche insegnavasu questa materia (cfr. v.

85: „m’insegnavate come l’uom s’ettema”) ha giovato - paradossalmente - al suo im- mortalamento nell’operadantesca.

Emoltosignificativo l’usodelverbo „ettemarsi”con cuisi indicava normalmente, come osserva Benvenuto da Imola37, il raggiungimento dellagloriaceleste. II fatto che

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116 Maria MaSlanka-Soro

qui viene riferito al T immortalité raggiuntacon la fama confermerebbe il suo uso, se non proprioironico, il che sarebbe difficile da aspettare da un passo cosí intriso di af- fetto corne quello dei w. 79-87, senz’altro pieno di unaimplicita amara tristezza per il fatto che l’insegnamento di Brunetto, nella prospettiva escatologica, era destinato al falli mentó:

«Se fosse tutto pieno il mío dimando», rispuos’io lui, «voi non sareste ancora de l'umana natura posto in bando ché 'n la mente m’è fïtta, e or m’accora, la cara e buona imagine paterna di voi quando nel mondo ad ora ad ora m’insegnavate corne l’uom s’ettema:

e quant’io l’abbia in grado, mentr’ io vivo convien che ne la mia lingua si scema». (79-87).

Brunetto stesso pronuncia nel suo Trésor un pensiero che sembra ignorare del tutto le idee cristiane concementi gli obiettiviprimari a cui l’uomodebba sottoporre la vita,elo awicina invece allacultura antica per cui il maggiorpremio che possa toccare all’essere umano è quello di soprawivere a lungonellamemoria degli uomini: „gloria dona al prodeuomounasecondavita, cioè a dire che, dopo la sua morte, lanominanza che rimane di sue buone opere mostra ch’egli sia ancora in vita”39. Questo pensiero sembrariecheggiato nell’unica preghiera che, dal profondo deU’infemo egli rivolge a Dante prima di scomparire: „Sieti raccomandatoil mió Tesoro, / nel quai io vivo anco­

ra, e più non cheggio” (119-20).

II V. 81, di controversa interpretazione, é stato riferito dalla maggior parte dei commentatori antichi e modemi alla morte di Brunetto. La recente ipotesi di Luciano Rossi che si tratti invece della sua esclusione dalla natura umana in quanto dan nato e sottoposto alia pena avvilente che ne deturpa l’aspetto (cfr. op. cit., p. 214) sarebbe, a nostro parere, accettabile se non ci fosse l’avverbio „ancora”.

D’altra parte é vero che nei dannati si effettua un abbruttimento proporzionale al loro valore che mette in crisi la loro umanitâ; esso é ben presente a livello segnico: la punta massima di questa ,,in- voluzione” viene raggiunta nel caso dei traditori che giacciono immersi nel ghiaccio del Cocito non dando nessun segno di vita; la loro morte spirituale é completa e vengono, infatti, paragonati alie pa- glie visibili sotto una superficie di vetro: cfr. //"XXXIV, 10-12).

// Tesoro volgarizzato II, VII, 72 nell’edizione II Tesoro di Brunetto Latini volgarizzato da Bono Giamboni, a cura di L. Gaiter, III, Bologna 1880, pp. 479-80.

Ilverso 85, citato pocosopra ed emblemáticamente posto nel titolo délia presente analisi, è una denuncia dell’erroretrágico di Brunetto chel’avevaindotto a non credere nelle leggi naturali stabilité da Dio, sebbene le proclamasse talvolta nella sua opera (cornesi è visto proprio nel caso délia sodomía!) e a farle invece sostituire da quelle umane che privilegiano pochi eletti, capaci di assicurarsi un posto nella pur mutevole memoria umana.

Dante autore testimoniandogli un immutato affettoe stima - nonostante la misera condizione attuale che corrisponde al suo veroettemarsi - dimostra che è soprattutto graziealla visione délia Commediache il suo vecchio maestroverra ricordato dai pos­ ten, ma in tutta la verità,anche quella che egli avevacosi scrupolosamente cercatodi nascondere e di separare da quella legata alla sua ricca attività intellettuale, morale e política. Quellaseparazione è anche „un rifiuto del divinonella suadimensione umana

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.M’insegnavate come l’uom s’ettema”: La cecità trágica del ser... 117

(...) alivellocorporeo”40, quindi una colpa che offende direttamente Dio, come infatti appare nellatradizione bíblica41 e come viene dichiarato da Dante autore in un passo delcantoXI dell’Inferno nel contestodi un discorso di carattere dottrinario:

Anna Maria Chiavacci Leonardi, La guerra de la pietate, op. cit., pp. 120-21.

Nell’Antico Testamento i profeti assumono Soddoma e Gomorra, nonché le altre città della Pentapoli, come figure esemplari della ribellione a Dio: cfr. Isaia 1, 4-10; 2, 8-9; Amos 4, 11; Ese- chiele 16; Osea 11, 8-9 (testi citati da Richard Kay, Dante ’s Swift and Strong. Essays on Inferno XV, Kansas, Laurence, 1978, pp. 231 sgg.).

Cfr. /fVII, 70 sgg. e la nota 25 del presente articolo.

Cfr. il V. 85 del Canto VII Ac\\' Inferno'. „vostro saver non ha contasto a lei” (= il vostro sapere non puô combatiere contro di lei, cioè contro la Fortuna), dove non si stabilisée un limite al libero arbitrio (come, invece, pensavano alcuni commentatori antichi: Bambaglioli, Boccaccio, Benvenuto da Imola), in quanto il libero arbitrio riguarda le azioni morali dell’uomo, ma non gli eventi estemi:

cfr. il commento a questo verso di Anna Maria Chiavacci Leonardi nell’edizione da lei curata (op.

ci7.,p4 131).

Sulla discussione intomo al significato di questo verso cfr. Luciano Rossi, op. cit., pp. 217-18.

„La” è il pronome neutro che significa „la cosa”, „le cose udite”.

Puossi far forza nella dei'tade,

col cor negando e bestemmiando quella, e spregiando natura e sua bontade; (46-48).

La separazione non si avràinvece nel caso del pellegrino che si dichiara prontoad affrontare i mutamenti della Fortuna acondizione che la sua coscienza non gli abbia niente da rimproverare:

Ciô che narrate di mío corso scrivo, e serbolo a chiosar con altro testo a donna che saprà, s’a lei arrivo.

Tanto vogl’io che vi sia manifesto, pur che mía coscíenza non mi garra, ch’a la Fortuna, come vuol, son presto.

Non è nuova a li orecchi miei tal arra:

pero giri Fortuna la sua rota

come le piace, e ’1 villan la sua marra». (88-96)

Anchese egli si serve dello stesso tipo di immagini che Brunetto in riferimentoa quella forza ritenuta damolti misteriosa e imprewedibile, èconsapevole ¡n seguito ad un excursus dottrinale di Virgilio42 cheessaèuna delle ministredi Dio eche contro di essanonvaletutta l’intelligenza e il sapere umano43. Perciónella frase conclusiva del pellegrino (95-96) l’accento cade ancora una volta sul contrasto tra il mondo di valori di Dante e quello di Brunetto: il primo „corregge”l’opinione di Brunetto-ereditá clas- sica per eccellenza - sulla casualitá degli eventi che „libera” l’uomo dalle scelte che nascono nel profondo della sua coscienza. Alia luce di questa interpretazione, la dis- cussa e discuttibile affermazione di Virgilio „«Bene ascolta chi la nota»” (99)44 po- trebbe riferirsi proprio aquel suo discorso sulla fortuna, ben conservato nella memoria del pellegrino45; nondimeno la sua ambiguità e allusivita permettonoanche di legarla

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118 Maria MaÉlanka-Soro

alla simile profezia di Farinata46, la quale allora aveva provocato una certa crisi nel pellegrino, seguitadaun consiglio da parte diVirgilio(«La mente tuaconservi quel ch’

udito hai contra te»:IfX, 127-28)di cui, appunto, il discepolo avrebbe „preso nota”. In ogni caso, l’attuale commenta del poeta latino, l’unico in questoepisodio, esprime una approvazioneper la sempre maggiore maturità morale del discepolo, che nel suo cam- mino verso la salvezza sa prendere le distanze da ciô che è per eccellenza terreno, si tratti dellesue antiche convinzioni o delle suerecenti debolezze.

Cfr. IfX, 79-81; a questa profezia sull’esilio di Dante si riferiscono qui i versi 89 e 94.

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